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Commercialisti, Tar annulla il regolamento elettorale, serve parità di genere

Il regolamento elettorale per l’elezione dei Consigli degli Ordini dei dottori commercialisti e degli esperti contabili e dei collegi dei revisori in carica dal 1° gennaio 2021 al 31 dicembre 2024 è contrario alle norme sulla parità di genere. Per questa ragione la Prima sezione del Tar del Lazio, con una sentenza depositata oggi, ha annullato il provvedimento “per violazione del principio di parità di accesso alle cariche elettive e della sua obbligatoria promozione di cui all’art. 51 della Costituzione”.

Nella sentenza, i giudici invitano “le amministrazioni interessate ad adottare le conseguenti determinazioni in modo da indire nuove elezioni da svolgersi nel rispetto delle prescrizioni in materia di parità di genere”. Il regolamento in questione, approvato dal ministero della Giustizia con decreto del 14 settembre 2020, era stato impugnato da una commercialista di Pescara che aveva lamentato, si legge nella sentenza, l’assenza di “disposizioni in materia di contrasto alla discriminazione di genere e promozione delle pari opportunità, in violazione dell’art. 51 della Costituzione, aggiungendo che risulterebbe sintomatico della presenza di uno squilibrio di genere la circostanza che su 131 presidenti dei collegi territoriali solo 14 sono donne e che solo 2 di loro fanno parte dei 21 membri del Consiglio Nazionale”. Per le stesse ragioni, lo scorso autunno la commercialista aveva chiesto di sospendere in via cautelare le operazioni elettorali. Richiesta respinta a novembre dal Tar e poi accolta, invece, dal Consiglio di Stato.

All’udienza di merito del 14 aprile sia il Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili che il ministero della Giustizia si erano costituiti in giudizio, sollevando una serie di questioni di inammissibilità e chiedendo al Tar di respingere il ricorso.

“Il ricorso merita accoglimento”, si legge nella sentenza del Tar, alla luce dei principi dell’articolo 51 della Costituzione, che recita: “Tutti i cittadini dell’uno e dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge. A tale fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini”.

In questo modo, sottolineano i giudici, viene sancito “il principio di parità di accesso alle cariche elettive e della sua obbligatoria promozione, che costituisce una naturale declinazione del principio di uguaglianza sostanziale di cui all’art. 3 della Costituzione”. È importante sottolineare, proseguono, “che la norma fa riferimento alla ‘Repubblica’, così implicando che l’impegno per le pari opportunità riguarda e coinvolge tutti i soggetti dell’ordinamento costituzionale”.

Nella sentenza si ricorda, tra l’altro, che nelle sue difese, il Consiglio nazionale dei commercialisti aveva sostenuto “che non aveva modo di inserire autonomamente, senza un intervento legislativo, disposizioni a tutela della parità di genere nel proprio regolamento elettorale”, in quanto le relative previsioni di legge (il decreto legislativo 139 del 2005) “limitavano in modo stringente il margine discrezionale rimesso al Consiglio nazionale”. Il Consiglio nazionale aveva anche fatto presente “che, nella piena consapevolezza della esistenza di un problema di sotto-rappresentanza del genere femminile, aveva sottoposto per quattro volte al ministro della Giustizia una proposta di modifica del d.lgs. n. 139 del 2005, onde renderlo conforme ai princìpi costituzionali vigenti in materia di pari opportunità di genere, senza tuttavia ottenere riscontro”. Da parte sua, il ministero si era difeso “sostenendo che il regolamento impugnato, oggetto di approvazione ministeriale, sarebbe un atto meramente attuativo del d.lgs. 139 del 2005, che regola le elezioni dei consigli territoriali senza prevedere alcuna riserva di genere e come tale legittimo”.

Per il Tar entrambe le tesi difensive “non possono essere condivise” perché l’articolo 51 della Costituzione “non è una norma che impone una soluzione puntuale ma che, invece, obbliga, a seconda dei contesti, alla ricerca della misura più adeguata al fine di rimediare alla lamentata disparità di genere nell’accesso alle cariche elettive”. Il Consiglio Nazionale avrebbe dunque “dovuto tenere conto della necessità di conformarsi al parametro costituzionale”, a maggior ragione se si considera che “era avvertita dallo stesso Consiglio Nazionale l’esigenza di porre rimedio alla condizione di sotto-rappresentanza del genere femminile nei propri organi elettivi e, di conseguenza, nel testo del regolamento si sarebbe dovuta inserire, nel rispetto della disciplina legislativa (che, pacificamente, non conteneva previsioni discriminatorie bensì si limitava, prima della riforma del 2020, a ignorare la problematica della parità di genere) una misura per contrastare la situazione esistente”.

Nella sentenza, infine, il Tar evidenzia che le elezioni per i nuovi Consigli degli ordini territoriali “risultano essere state indette e attualmente in corso, benché sospese” e invita sia il Consiglio nazionale dei dottori commercialisti che il ministero della Giustizia “ad adottare tutte le conseguenti determinazioni, nell’ambito delle rispettive competenze, di modo che, a seguito della riadozione del regolamento e nel rispetto del dettato legislativo (che ora contempla un meccanismo a tutela della parità tra i sessi, attraverso la previsione di una riserva di quota nella formazione delle liste elettorali), siano indette nuove elezioni da svolgersi nel rispetto delle prescrizioni in materia di parità di genere”.

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