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Guerre in famiglia, da Esselunga a Repubblica

Padre contro figli. Figli contro. Parenti in guerra per anni. Il controllo delle società, legato a vicende ‘familiari’, in Italia è un tema sempre più caldo. E’ di queste ore lo scontro tra Carlo De Benedetti e i suoi figli sulla gestione di Repubblica. Lo schema, con protagonisti e modalità diverse, si ripete in altri casi eccellenti, con uomini di impresa ormai sopra la soglia degli ottant’anni che non vogliono, o non possono, abdicare. Ne vengono in mente subito tre: Silvio Berlusconi, Leonardo Del Vecchio, Giorgio Armani. Così come torna in mente la lunga querelle tra il patron di Esselunga, Bernardo Caprotti, e i suoi figli.

E’ il grande capitalismo italiano a porre una questione che fatica a trovare soluzione: il passaggio generazionale o non avviene o è traumatico. Si confrontano spesso due tendenze che finiscono per convergere nello stesso risultato: da una parte l’incapacità di lasciare degli ottantenni, dall’altra nuove generazioni spesso consumate nell’attesa di una promozione che non arriva mai. Anche per responsabilità proprie.

Nello scontro in casa De Benedetti c’è rappresentata in maniera plastica anche la distanza culturale e l’incapacità di dialogare tra le generazioni. La partita finanziaria è piuttosto lineare, l’offerta irrevocabile di Romed (società di Carlo De Benedetti) per l’acquisto di quote Gedi (la società editrice di Repubblica) viene rifiutata da Cir (la società presieduta da Rodolfo De Benedetti che ne è azionista). Fin qui, normale dialettica tra società. E’ nelle motivazioni che spiegano le due decisioni, offerta e rifiuto, che c’è il senso di un velenoso ritorno al passato. “Sono profondamente amareggiato e sconcertato dall’iniziativa non sollecitata né concordata presa da mio padre e il cui unico risultato consiste nel creare un’inutile distrazione, della quale certo non si sentiva il bisogno”, attacca il presidente di Cir. La replica dell’Ingegnere è ancora più ferma. “Trovo bizzarre le dichiarazioni di mio figlio Rodolfo. È la stessa persona che ha trattato la vendita del Gruppo Espresso a Cattaneo e Marsaglia. La gestione sua e di suo fratello Marco hanno determinato il crollo del valore dell’azienda e la mancanza di qualsiasi prospettiva, concentrandosi esclusivamente sulla ricerca di un compratore visto che non hanno né competenza né passione per fare gli editori”. Nei fatti, una clamorosa marcia indietro rispetto al passaggio generazionale che si è compiuto nel 2013 con la firma di un patto di famiglia. Un istituto giuridico previsto dalla legge che, di fatto, anticipa la successione. Uno strumento pensato proprio per evitare pericolosi scontri fra eredi. Alla luce di quello che sta avvenendo, un paradosso.

Claudio, Marisa, Paola, Leonardo Maria, Luca e Clemente. Sono tutti figli di Leonardo Del Vecchio, il patron di Luxottica, che ha portato il suo gruppo alla fusione con i francesi di Essilor. Ora sta comprando azioni Mediobanca e punta al cuore della finanza italiana, dopo aver messo in sicurezza l’azienda di famiglia. Nella sua visione, soprattutto dal rischio che la conflittualità tra i figli potesse destabilizzarla.

Cinque sono i figli di Silvio Berlusconi. Se il Cavaliere non ha mai trovato un suo erede politico, bruciando di volta in volta tutti i potenziali candidati, ha progressivamente dato spazio ai figli nelle aziende di famiglia. Marina Berlusconi è presidente di Fininvest e di Mondadori, Piersilvio è amministratore delegato di Mediaset, Barbara è stata amministratore delegato del Milan. Gli ultimi due, Eleonora e Luigi, sono imprenditori ma non hanno ruoli nelle aziende di famiglia.

Un caso a parte, quello di Giorgio Armani. Non ha avuto figli ma si è occupato comunque, forse a maggior ragione, della sua successione. Con una formula piuttosto complicata in cui il patrimonio personale passerà alla famiglia, le attività di business ad una apposita fondazione. La decisione deriva dalla convinzione dello stilista che la gestione della casa di moda sia “un peso troppo grande” da lasciare sulle spalle della famiglia.

Degna di una saga la gestione di Esselunga e il rapporto tra il patron Bernardo Caprotti e i suoi figli. Il re dei supermercati ha tenuto in mano il gruppo fino a 88 anni, revocando nel 2011 il contratto fiduciario che concedeva ai figli Giuseppe e Violetta la proprietà delle azioni della società Supermarkets italiani. Si è aperto un contenzioso giudiziario che ha dato ragione al vecchio patron. L’apertura del testamento ha poi sancito definitivamente la scelta di lasciare la società alla sua ‘seconda’ famiglia. La spartizione del capitale (70% di Esselunga e 55% dell’immobiliare alla seconda moglie Giuliana Albera e a sua figlia Marina, il resto in parti uguali ai figli di primo letto, Giuseppe e Violetta) ha garantito una chiara guida azionaria al gruppo. “Famiglia non ci sarà. Ma almeno non ci saranno lotte. O saranno inutili, le aziende non saranno dilaniate”: la sintesi nelle parole dello stesso Caprotti nel testamento fotografano bene un problema, quello del conflitto tra eredi, che riguarda buona parte del capitalismo familiare italiano. Al quale si deve aggiungere quello che, da Caprotti a De Benedetti, resta uno scontro tra generazioni, tra padre e figli.

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