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Autostrade: il tasso di remunerazione ha un impatto irrilevante sui pedaggi

Il tasso di remunerazione incluso nel piano finanziario della convenzione tra Autostrade e Governo ha un impatto “irrilevante” sui pedaggi. Il rendimento lordo del 10,21% (6,25% netto), reso pubblico tra mille polemiche sia dall’azienda che dal Ministero, secondo Autostrade per l’Italia “remunera solo gli investimenti richiesti dallo Stato dopo il 2008, che oggi sono di importo trascurabile. Tale remunerazione ha avuto dunque un impatto irrilevante sulle tariffe (meno di 0,05% all’anno dal 2008 ad oggi)”.

Per il quinquennio 2018-2022 “la proposta di aggiornamento del Piano Finanziario presentato da Autostrade in applicazione della direttiva Cipe prevede una remunerazione al 7,61% lordi, che corrisponde a un 5,4% dopo le tasse“. Il rendimento lordo del 10,21%, secondo l’azienda, è stato calcolato “sulla base delle delibere Cipe vigenti e fissato a metà 2012 per il quinquennio 2013-2017 nei periodi di tassi più elevati (il btp decennale medio 2012 è stato pari al 5,69%, con un rendimento per l’investitore di circa il 5%, al netto delle imposte)”. Tali rendimenti “sono basati su principi di calcolo -costo medio ponderato del capitale – comuni a tutte le utilities”.

Le dichiarazioni di Autostrade non convincono Massimiliano Dona, presidente dell’Unione nazionale consumatori: “non c’è azienda in Italia che, in barba al rischio di impresa, non sarebbe felice di avere una remunerazione fissata e garantita per legge al 5 per cento. In questi anni tutte le concessionarie autostradali ed i relativi azionisti si sono arricchiti grazie ai pedaggi pagati dagli italiani che hanno subito rincari esagerati, ben superiori all’inflazione”.

Intanto il Ministero ha pubblicato le convenzioni con tutte le altre concessionarie: secondo Roberto Zucchetti, professore del Certet della Bocconi, i tassi di remunerazione riconosciuti alle concessionarie sono “elevati”. I rendimenti sarebbero stati resi possibili dall’assenza di meccanismi di aggiustamento dei piani finanziari e dalla carenza di una classe dirigente all’interno dei ministeri in grado di negoziare alla pari con le grande aziende, per il professore. “Le convenzioni confermano quello che si sapeva e cioè che quelle più vecchie hanno un tasso di remunerazione elevato, attorno al 10%”, come nel caso di Autostrade, “mentre quando ne è stato negoziato il prolungamento sono stati stabiliti tassi più bassi”. Per Zucchetti i rendimenti dei privati hanno fatto leva sull’assenza di meccanismi di adattamento delle convezioni.

“Le concessioni stabiliscono una remunerazione media del capitale, sia di rischio che di debito. Se il capitale di debito ha un prezzo molto basso, come in questa fase, vuol dire che una buona parte o la quasi totalità di quell’investimento lo posso fare indebitandomi a un tasso molto basso e questo fa andare molto in alto la remunerazione del capitale di rischio”. Grazie ai tassi bassi le concessionarie hanno potuto rinegoziare ed ampliare il ricorso al debito, riducendo le spese per interessi e aumentando i loro margini. “Da parte di Atlantia c’è stata una gestione finanziaria molto aggressiva ed efficiente, si sono trovati una convenzione fatta male, troppo rigida per evitare che, al mutare delle condizioni di mercato, un’equa remunerazione diventasse una remunerazione fuori mercato”.

Ma i super-rendimenti, spiega Zucchetti, hanno origine anche nella “sproporzione della competenza professionale delle due parti” che trattano, Stato da una parte e privati dall’altra, in una materia di “grande complessità tecnica e giuridica”. Per il professore “sono tutti ossessionati dal tema corruzione ma è importante che un dirigente pubblico non stia al suo posto solo due o tre anni perché altrimenti abbiamo persone competenti solo in procedure amministrative. Perché il dirigente pubblico si dovrebbe lasciar corrompere e quello privato no? Certamente il dirigente privato è incentivato a far funzionare bene l’azienda e se questa va molto bene riceverà remunerazioni molto alte. Ma questo nel pubblico scandalizza”.

“Le convenzioni ci dicono un’altra cosa – conclude Zucchetti – Il costo delle manutenzioni straordinarie non rientra nei costi standard. Autostrade non guadagna nulla a non fare la manutenzione straordinaria del Ponte Morandi, anzi ci perde perché se la fa il capitale le viene remunerato al 10%. Non diciamo che non facevano la manutenzione straordinaria del ponte perché lucravano: a farla ci avrebbero guadagnato tanti soldi perché le convenzioni sono fatte così”

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