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Crescita zero. E la responsabilità è soprattutto di questo Governo. Il Centro studi di Confindustria non solo taglia ancora le sue stime ma indica con estrema precisione chi è il mandante di questa brusca frenata del Pil. Pesano, secondo viale dell’Astronomia, tre fattori principali: una manovra “poco orientata alla crescita”; “l’aumento del premio di rischio che gli investitori chiedono” sui titoli pubblici italiani, causa le fibrillazioni dell’ultimo anno; “il progressivo crollo della fiducia delle imprese” rilevato proprio a partire “da marzo, dalle elezioni in poi”.

Il giudizio degli industriali sancisce l’ennesima presa di posizione rispetto alle scelte di Cinquestelle e Lega, dopo una cauta apertura di credito iniziale. Il problema non è solo la congiuntura internazionale, pure peggiorata, ma è soprattutto la politica economica. Il dato più significativo, però, è un altro: potrà andare anche peggio. Senza un’inversione di rotta sostanziale, l’andamento del Pil potrebbe continuare ad avvitarsi in una spirale sempre più rapida. Lo dicono tutti i segnali che Confindustria e le altre associazioni di impresa raccolgono quotidianamente, sul campo. L’immobilismo, dato dalla somma di analisi costi-benefici, veti incrociati e decisioni rimandate, può portare a una recessione più profonda e più lunga di quanto i dati ufficiali abbiano finora evidenziato.

È una preoccupazione condivisa dagli analisti che lavorano nei principali uffici studi e che si fonda anche su un altro trend che in questi mesi è diventato sempre più consistente: diminuiscono gli investimenti in Italia dall’estero, a causa dell’incertezza che si avverte, e il canale dell’internazionalizzazione, che continua a rafforzarsi, produce l’effetto di spostare ricchezza fuori dall’Italia. È il paradosso di un ‘sovranismo’ tutto ideologico che, occupandosi di altro, dimentica proprio il fattore chiave: l’economia.

Anche all’interno del governo giallo-verde si confrontano diverse anime. E i tecnici dei ministeri più esposti, a partire dal Mef, in queste settimane hanno trasmesso ai loro referenti politici report tutt’altro che ottimistici. Tanto che le previsioni tendenziali del quadro macroeconomico che il governo si appresta ad inserire nel Def, quelle a legislazione vigente che si verificherebbero nel caso in cui da qui alla fine dell’anno non fossero varate altre misure economiche oltre a quelle della legge di bilancio, il Pil crescerà nel 2019 di appena lo 0,1% e dello 0,6% nel 2020. Un taglio netto rispetto all’1% e all’1,1% stimati per i due anni a fine dicembre (e ancora più drastico rispetto all’1,5% e all’1,6% della Nota di aggiornamento dell’autunno scorso).

Si tratta di una presa di coscienza che ha anche una potenziale implicazione strategica. Questi dati potrebbero essere utilizzati da Palazzo Chigi per fronteggiare la richiesta da parte di Bruxelles di una manovra correttiva per il 2019. Come dire, la crescita zero può servire a evitare altre misure per loro natura restrittive. E così si torna al punto di partenza: le cose vanno male ma potrebbero andare anche peggio.

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