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Huawei, la Cina minaccia gli Usa: poi non dite che non vi abbiamo avvisati

La Cina è pronta a reagire. E senza usare le manieri gentili. L’attacco Usa al colosso del tech di Shenzen, in un clima commerciale già teso, ha risvegliato il dragone che, direttamente da Pechino lancia un ultimatum. “Consigliamo agli Usa di non sottovalutare la capacità della parte cinese di tutelare i suoi diritti e i suoi interessi allo sviluppo. Non dite poi che non vi abbiamo avvisati”, è il commento sul Quotidiano del Popolo, voce del Partito comunista cinese, in cui è ventilata l’ipotesi di usare le “terre rare”, i minerali poco diffusi ed essenziali per i beni hi-tech e di cui la Cina è leader mondiale, come strumento di ritorsione.

Gli Usa hanno “sovrastimato del tutto la loro capacità di manipolare il processo di produzione e distribuzione globale. Il popolo cinese non sarebbe mai d’accordo che gli Stati Uniti utilizzino i prodotti fatti con le ‘terre rare’ esportate dalla Cina per frenare lo sviluppo della Cina”, si legge ancora nel commento. Gli Usa, inoltre, sono un primario acquirente di terre rare dalla Cina ed è “fortemente dipendente” da tali minerali. L’ipotesi terre rare è emersa subito dopo l’iscrizione di Huawei nella lista nera del commercio Usa, con il conseguente bando all’acquisto di componenti americani ad alta tecnologia, ed è stata citata ieri notte esplicitamente dal tabloid Global Times, costola del Quotidiano del Popolo: ha riportato le parole di un portavoce della National development and reform commission (Ndrc), agenzia pianificatrice statale di vertice di più alto livello, per il quale “se un Paese vuole usare prodotti fatti con l’export di terre rare della Cina per contenere lo sviluppo della Cina, il popolo cinese non sarebbe contento di ciò”.

L’azione del governo di Trump si ripercuoterebbe non solo sulla Cina e su tutti i paesi che trattano con Huawei, ma produrrebbe un effetto negativo a boomerang sugli stessi Stati Uniti. L’inserimento di Huawei nella lista nera del commercio, che impedisce alla società cinese di comprare prodotti e servizi ‘made in Usa’, “minaccia di danneggiare i tre miliardi di consumatori che usano prodotti e servizi Huawei in 170 Paesi del mondo”. Ma non solo: “impedendo alle aziende americane Usa di fare affari con Huawei, il governo degli Stati Uniti danneggerà direttamente più di 1.200 aziende statunitensi, e questo colpirà decine di migliaia di posti di lavoro americani”, afferma Song Liuping, responsabile degli affari legali di Huawei, in occasione della mozione per giudizio sommario avanzata dalla compagnia presso un tribunale texano. “I politici negli Stati Uniti stanno usando la forza di un’intera nazione contro un’azienda privata, utilizzando qualsiasi strumento a disposizione inclusi i canali diplomatici, legislativi e amministrativi”, in un’azione “senza precedenti”, è l’accusa di Song. “Riteniamo che ciò costituisca un precedente pericoloso”.

Huawei affila così le armi e si prepara a chiedere alla giustizia americana di dichiarare incostituzionale il divieto imposto alle sue apparecchiature, riporta il Wall Street Journal. Il riferimento è alla normativa approvata che prevede il divieto di apparecchiature Huawei per le agenzie federali e per i contractor federali. Una mossa che Huawei ritiene sia per cacciarla dal mercato statunitense. In dettaglio Huawei – si legge in una nota della società – ha presentato una mozione di giudizio sommario presso un tribunale federale del Texas, a cui la compagnia chiede di pronunciarsi celermente e dichiarare incostituzionali le restrizioni imposte dal governo Usa all’azienda cinese. Il riferimento è al divieto stabilito dal National defense authorization act, una legge sulla sicurezza che vieta ad agenzie federali e contractor federali di servirsi di apparecchiature Huawei per ragioni di cybersicurezza, divieto contro cui Huawei ha intentato una causa in Usa lo scorso 6 marzo. Nella causa, la società sostiene che gli Usa avrebbero ‘condannato’ Huawei senza prove e senza darle la possibilità di difendersi, in una sorta di processo celebrato dall’organo legislativo e non da quello giudiziario, e perciò incostituzionale. L’udienza per la mozione si terrà il prossimo 19 settembre, rende noto Huawei. La compagnia ribadisce la richiesta al governo Usa di “interrompere la campagna sanzionatoria di Stato contro Huawei, perché non genera sicurezza informatica”.

Secondo il legale di Huawei “la causa verte su cosa è giusto”. La legge, dice Song, “è negativa per Huawei, ma toglie anche la libertà di scelta agli operatori e ai consumatori americani. Negli Stati Uniti – prosegue – molte persone nelle aree rurali sono state dimenticate. Non hanno ancora accesso a reti a banda larga a prezzi abbordabili”, sostiene Song. “Per molti anni abbiamo lavorato a stretto contatto con gli operatori rurali per garantire che tutti gli americani abbiano parità d’accesso”. “Crediamo che i politici statunitensi stiano usando la sicurezza informatica come una scusa volta a ottenere il sostegno pubblico ad azioni che sono progettate per raggiungere altri obiettivi”, prosegue Song. Di fronte a questo, “il sistema giudiziario è l’ultima linea di difesa”, sottolinea. “Huawei ha fiducia nell’indipendenza e integrità del sistema giudiziario statunitense. Speriamo che gli errori nel Ndda possano essere corretti dal tribunale”.

Nel frattempo vanno avanti i lavori per trovare valide alternative ai servizi che Huawei sta gradualmente ‘perdendo’ a causa della stretta Usa, come le restrizioni e limitazioni dei rapporti commerciali con colossi Usa come Microsoft e Google. creare un nuovo sistema operativo che dovrebbe sostituire Android di Google, una “nuova casa” per Huawei che potrebbe chiamarsi Ark. Secondo il sito Androidheadlines la società avrebbe depositato presso l’ufficio per la proprietà intellettuale europeo il possibile nome internazionale del software che invece a Pechino prenderebbe il marchio Hongmeng, nome circolato nei giorni scorsi. L’esistenza di un sistema operativo che sostituisca Android è stata confermata dalla stessa Huawei, la data del lancio potrebbe essere in autunno. Il marchio Hongmeng è stato recentemente depositato presso l’ufficio per la proprietà intellettuale di Pechino. Nel frattempo, l’azienda guidata da Ren Zhengfei, è stata riammessa nella SD Association, il consorzio delle schede di memoria da cui era stata esclusa nei giorni scorsi, una mossa che aveva il sapore di una ulteriore messa al bando tecnologica. Il dietrofront è stato confermato dalla stessa associazione al sito Android Authority. Le schede di memoria SD e microSD sono quelle che si inseriscono negli smartphone e hanno dimensioni estremamente ridotte. Con lo sblocco Huawei potrà partecipare allo sviluppo dei nuovi standard e anche usare queste schede nei dispositivi futuri.

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