Cerca
Close this search box.

Burocrazia, debito e terre rare: le armi della Cina contro gli Usa

recessione trump xi jinping dazi usa cina
Di Erik ShermanLa guerra commerciale in corso tra Usa e Cina è sempre più intensa. Anche le controversie con altri Paesi sono state spesso usate come modi per attaccare indirettamente la Cina. Nel complesso, Pechino ha trovato varie strategie per battere Donald Trump nella sua guerra commerciale, anche se ha subito a sua volta un danno economico. Ma deve ancora schierare completamente le proprie armi. Qui di seguito ci sono tre cose che il Paese asiatico potrebbe fare – e in alcuni casi ha già iniziato a farle – se sceglierà di colpire gli Usa con tutta la sua forza.

Burocrazia infernale

Il passo più probabile sarebbe un’estensione aggressiva delle attuali pratiche burocratiche. La Cina si è spesso rivolta alle leggi sulle autorizzazioni al commercio e ad altri requisiti ufficiali per rallentare le imprese di proprietà straniera, lasciando libero spazio ai campioni nazionali.

Ci sono prove che la Cina abbia già iniziato ad aumentare le misure per ostacolare le società statunitensi a creare una pressione corporativa sull’amministrazione Trump. Poco più del 52% delle imprese ha segnalato l’aumento di tali ‘misure qualitative’, secondo un’indagine congiunta della Camera di commercio americana in Cina e della Camera di commercio americana a Shanghai tra il 29 agosto e il 5 settembre 2018. La percezione era che le attività fossero una forma di pressione dalla Cina sulla disputa commerciale in corso. Circa il 27,1% ha visto un aumento delle ispezioni, il 23,1% ha registrato uno sdoganamento più lento e il 19,2% ha segnalato altre complicazioni da un maggiore controllo ufficiale.

“Possono rallentare le cose quanto vogliono, al punto che farti perdere un sacco di soldi”, ha detto John Scannapieco, presidente del team di business globale dello studio legale Baker Donelson. Le spedizioni doganali possono essere trattenute fino a quando non perdono valore, come nel caso delle merci deperibili, oppure vengono direttamente respinte. Una compagnia può essere costretta a cessare le sue attività fino a quando non viene risolto un ostacolo normativo che le costi troppo denaro.

“Gran parte di questo tipo di attività non viene necessariamente dal livello nazionale perché gli affari sono fatti a livello distrettuale”, ha detto Scannapieco. “È come se lo facesse il governo di una regione”. Ma i funzionari locali non fanno altro che seguire il fervore nazionalistico cinese.

Vendere il debito

La Cina è uno dei più grandi detentori del debito degli Usa, secondo le cifre del Dipartimento del Tesoro. L’ammontare che detiene è 1,12 trilioni di dollari, che rappresenta il 27,5% del debito in possesso di paesi stranieri e il 5,1% del debito totale di 22 trilioni degli Stati Uniti. E venderne un po’ potrebbe avere effetti negativi per l’economia americana, dice Amit Batabyal, professore di economia al Rochester Institute of Technology. L’azione potrebbe influenzare il valore delle obbligazioni statunitensi e del dollaro, aumentando forse la difficoltà degli Stati Uniti di raccogliere denaro con la facilità attuale.

“Non penso che lo venderanno tutto insieme”, ha detto Batabyal. “Se vendono molto, grandi quantità di debito USA, considerando quanto è interconnessa l’economia globale, nessuno sa cosa accadrà e potrebbe essere un’arma a doppio taglio”. Ovvero, il valore delle loro partecipazioni rimanenti potrebbe anche diminuire.

Tuttavia, a metà maggio è arrivata la notizia che la Cina ha venduto un netto di 20,5 miliardi miliardi dei suoi buoni del Tesoro USA, secondo i dati del Dipartimento del Tesoro. Questo è il massimo dalla fine del 2016, l’anno in cui è iniziata la guerra commerciale. Sebbene gli esperti concordino generalmente sul fatto che la Cina non sia in grado di trasformare le sue partecipazioni in un’arma, si tratta di uno sviluppo preoccupante.

La minaccia delle ‘terre rare’

Il terzo strumento sono le esportazioni di alcuni beni che sono fondamentali per alcune importanti industrie statunitensi.

Uno di questi sono le cosiddette ‘terre rare’, un gruppo di minerali vitali per l’elettronica avanzata e i sistemi di alimentazione, inclusi smartphone, batterie per molte applicazioni – tra cui i veicoli elettrici – e armi militari super tecnologiche. La Cina è la fonte dell’80% dell’approvvigionamento mondiale e ci sono segnali che il paese abbia minacciato una potenziale restrizione delle esportazioni di ‘terre rare’ a società statunitensi, secondo la CNBC.

Le terre rare sono un gruppo di 17 minerali che hanno una vasta gamma di usi, tra cui elettronica, magneti, laser, batterie, attrezzature mediche e ottiche. Il nome può essere fuorviante, in quanto, in teoria, i materiali sono abbondanti. Ma sono sottilmente distribuiti. Il termine ‘rare’ è dovuto al fatto che è difficile trovarne concentrazioni abbastanza consistenti da rendere economicamente possibile l’estrazione mineraria. Una complicazione è l’impatto ambientale, perché la lavorazione utilizza sostanze chimiche pericolose e calore elevato che possono rilasciare sostanze inquinanti.

La Cina è di gran lunga il più grande produttore e ha anche i maggiori giacimenti, secondo i dati dell’US Geological Survey. L’Australia e gli Stati Uniti sono il secondo e il terzo produttore, ma insieme forniscono il 29% della capacità della Cina. Secondo diversi rapporti di mercato, quest’anno i prezzi di alcuni materiali sono aumentati con variazioni dal 50% al 70%.

La Cina avrebbe difficoltà a tagliare semplicemente le esportazioni , dato che un precedente tentativo, in questo senso, ha portato a una sentenza dell’Organizzazione mondiale del commercio contro questo tipo di pratica. Ma potrebbe ridurre la sua quota mineraria del secondo semestre a giugno e, sebbene gli Usa siano un piccolo cliente del commercio di terre rare in Cina, con una percentuale del 4% – le aziende americane come Apple, che produce in Cina, potrebbero trovarsi di fronte a procedure molto più lente del solito, per ottenere ciò di cui hanno bisogno.

E poi ci sono i materiali di base utilizzati nella produzione farmaceutica. “La Cina produce circa il 40% delle sostanze chimiche di base (i principi attivi) necessari nel settore farmaceutico”, ha scritto Michael Gravier, professore associato di marketing presso la Bryant University, in una e-mail a Fortune. Non parliamo dello stesso tipo di dominio sulla catena produttiva, ma potrebbe essere abbastanza da creare problemi.

Qualsiasi di queste misure potrebbe rivelarsi dolorosa per la Cina, che sia attraverso la perdita dell’industria sostenuta dagli Stati Uniti, il valore degli investimenti o importanti mercati di esportazione. Tuttavia, ciò che poteva essere considerato impensabile diventa tanto più plausibile, ma mano che la guerra commerciale va avanti.

ABBIAMO UN'OFFERTA PER TE

€2 per 1 mese di Fortune

Oltre 100 articoli in anteprima di business ed economia ogni mese

Approfittane ora per ottenere in esclusiva:

Fortune è un marchio Fortune Media IP Limited usato sotto licenza.