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Quibi e la nuova strana coppia di Hollywood

Jeffrey Katzenberg e Meg Whitman hanno grandi piani per i video brevi. Quibi, la loro app, mira a dominare il mercato con piccoli contenuti di alta qualità da vedere sul telefono. Hanno raccolto 1 mld di dollari e investito molto per attrarre grandi talenti. Articolo di Sheila Marikar apparso sul numero di Fortune Italia di marzo 2019.

È l’ora di pranzo di un giorno lavorativo da Craig’s, uno dei ristoranti delle celebrità di Los Angeles, e Jeffrey Katzenberg e Meg Whitman stanno tenendo banco in un tavolo d’angolo ben in vista. Se Hollywood fosse il bar di un liceo, il loro sarebbe il tavolo dei ragazzi ‘fichi’. Gli altri commensali sorridono e annuiscono nella loro direzione. Il dirigente discografico Tommy Mottola si ferma al loro tavolo. Il proprietario del ristorante, Craig Susser, arriva per stringere la mano alla coppia. “Non ho sentito molto parlare di voi ultimamente”, dice Susser. “State facendo qualcosa?”. Tutti ridono a crepapelle. Una presa in giro a chiunque abbia pensato che un mucchio di soldi e la fine del loro ruolo da dirigenti avrebbe convinto la coppia ad andare in pensione.

A prima vista, Whitman e Katzenberg sembrano un po’ come l’olio e l’aceto che condiscono l’insalata di cavolo da 16 dollari servita al ristorante. Lei si è fatta un nome nella Silicon Valley, guidando eBay e poi Hewlett-Packard. Lui ha ancora un peso notevole sulla creativa Hollywood, in quanto ex presidente di Walt Disney e Ceo di lunga data della DreamWorks. Lei ha corso per la poltrona di Governatore della California con i repubblicani. Lui ha raccolto un sacco di soldi per i democratici. Lei indossa sciarpe a motivi cachemire. Lui va in giro in scarpe da ginnastica. È già difficile immaginarli mentre si godono un pasto insieme, figuriamoci vederli unire le forze per creare Quibi, una piattaforma di video ‘brevi’ – il nome sta per ‘quick bites’, assaggi veloci – che ha raccolto un miliardo di dollari da aziende come Disney, Fox, Time Warner e NBC Universal, ancora prima di scrivere una riga di codice o rilasciare un frammento di video.

Eppure i due finiscono le frasi l’uno dell’altro come amici che si conoscono da decenni. Cosa che, in effetti, è vera. Si sono incontrati nel 1989 alla Disney, dove Whitman lavorava nel famoso gruppo strategico del gigante dell’intrattenimento, mentre Katzenberg era impegnato a rilanciare la branca cinematografica della Disney. Katzenberg sostiene che Whitman fosse l’unica, tra quelli che si occupavano di business, con cui gli piacesse parlare. Anni dopo, quando lei era Ceo di eBay, le ha chiesto di entrare nel consiglio di DreamWorks Animation. Whitman rimase per cinque anni, prima di dimettersi per la sua campagna da governatrice nel 2010: “mi stai prendendo per il culo?”, fu la reazione di Katzenberg quando seppe che Whitman avrebbe corso con i repubblicani. Fu poi distrutta dal democratico Jerry Brown.

Così quando HP annunciò a fine 2017 che Whitman avrebbe lasciato il suo ultimo ruolo aziendale, Katzenberg, che aveva appena iniziato a raccogliere fondi per un’impresa video allora senza nome, la chiamò entro pochi minuti dall’annuncio per chiederle cosa avesse in mente di fare. Nonostante solo pochi mesi prima fosse in corsa per la guida di Uber, Whitman disse a Katzenberg che stava pensando di prendersi un periodo di pausa. “Dissi ‘no, intendevo dire, che fai domani sera?’”, ricorda Katzenberg. Il giorno dopo volò a San Francisco per una cena di tre ore e mezza al Nobu, un ristorante giapponese di alta classe, per proporre a Whitman la gestione della sua nuova società. “Risposi ‘sai una cosa? Potrebbe essere divertente’”, dice Whitman.

‘Divertente’, per due persone con un’ambizione spropositata, è progettare un piano così grandioso da diventare, in caso di successo, la ‘next big thing’ dell’industria dell’intrattenimento. Whitman, l’amministratore delegato della nuova società, e Katzenberg, il suo presidente, vogliono che Quibi stia ai video di breve formato (10 minuti o meno e visibili sul telefono) come Kleenex sta ai fazzoletti e Google alla navigazione Internet.

“Creeremo il prossimo capitolo della narrativa cinematografica”, dice Katzenberg, mai a corto di ambizioni. “Tra cinque o dieci anni, ci guarderemo indietro e diremo ‘c’è stata un’era dei film, c’è stata un’era della televisione, e ora c’è l’era di Quibi’”.

Fiduciosi, ma consapevoli della grandiosità del loro piano, i due si danno da fare come due apprendisti, proponendo idee fino a quando le loro voci diventano rauche. Quibi non ha nemmeno lanciato il suo servizio, che è previsto entro fine anno. Ma grazie alla prodigiosa capacità di networking dei suoi due elementi di punta, ha già assoldato un’impressionante quantità di talenti, dai registi di prima fascia a grandi nomi del settore come la giornalista Janice Min e il dirigente musicale Doug Herzog.

In effetti, l’aspetto più redditizio di Quibi potrebbe essere proprio l’apporto di Katzenberg e Whitman al progetto. Lena Waithe, attrice, produttrice e sceneggiatrice premiata con un Emmy, attribuisce il suo interesse per Quibi a “Katzenberg e la sua fama, e il fatto che abbia dimostrato chi sia più e più volte”. Waithe sta sviluppando per Quibi una docu-serie sulla ‘sneaker culture’; proprio quando era vicina a venderla ad un servizio di streaming, Katzenberg è arrivato in picchiata. Per quanto riguarda Whitman, “la sua rete di contatti è gigantesca, piace a tutti e tutti si fidano di lei”, afferma l’investitore Marc Andreessen, un altro membro del board HP.

La sola reputazione non garantirà il successo di Quibi, ovviamente. L’obiettivo della compagnia è una fascia di età che va dai 18enni ai 35enni – sfruttando i loro momenti ‘in-between’: sul treno per andare a lavoro, in fila in attesa a Starbucks, all’imbarco per un volo. Il modello di business della compagnia prevede di vendere abbonamenti ai suoi giovani spettatori, nonostante l’era attuale, fatta di infinita offerta di video gratuiti. “Cercare di creare, essenzialmente, contenuti ‘da divano’ – da guardare nei momenti di relax, o comunque ‘passivamente’ – anche se più brevi, e distribuirli esclusivamente alle piattaforme mobili, è un vicolo cieco”, afferma Paul Verna, un video analyst della società di consulenza eMarketer. “Le persone che saranno il pubblico dell’azienda non hanno idea di chi Jeffrey Katzenberg o Meg Whitman siano. A loro non importa, e non vogliono pagare”.

Se sembra audace per due ‘dinosauri’ pensare di aver decifrato cosa vogliono vedere persone abbastanza giovani da essere loro nipoti – Katzenberg ha 68 anni, Whitman ne ha 62 – è anche un’opportunità per ciascuno di loro di riscrivere la propria eredità. Katzenberg ha iniziato a raccogliere fondi per Quibi poco dopo aver venduto DreamWorks Animation a NBCUniversal nel 2016, una mossa vista come una sconfitta a Hollywood, anche se si portò a casa 420 mln di dollari. E Whitman, una miliardaria già dai suoi giorni a Ebay, accettò il lavoro da HP solo dopo la fine della sua breve carriera politica. Entrambi hanno scalato montagne, eppure tutti e due hanno ancora qualcosa da dimostrare.

 

QUIBI È FRUTTO DELLA FERTILE MENTE DI KATZENBERG ed è la punta di diamante della sua WndrCo, una società di tecnologia di consumo fondata nel 2017. WndrCo fa da incubatore alle proprie startup (come Quibi) e investe in aziende già esistenti, come The Infatuation, una guida ristoranti digitale, e AnchorFree, che si occupa di software di sicurezza. Katzenberg ha modellato WndrCo a immagine e somiglianza di IAC, la holding dei media e della tecnologia guidata dal suo mentore, Barry Diller – Katzenberg si trasferì da New York a Los Angeles nel 1977 per rispondere ai telefoni di Diller, allora amministratore delegato di Paramount Pictures.

Proprio come IAC è stata pioniera nell’applicare la tecnologia Internet ai media tradizionali, Quibi mira ad aggiornare le tecniche video vecchia scuola all’era del mobile. Lasciando da parte i trailer dei film, i video musicali e gli spot pubblicitari, che ci fanno compagnia già da molto tempo, il video in formato ridotto fino ad ora ha fatto parte di due categorie: contenuto generato dall’utente, come le saghe di gattini che popolano YouTube, e piccole produzioni, create con una frazione di quello che costerebbero alla televisione tradizionale. Il contenuto generato dall’utente ha successo a causa dell’elemento sorpresa, la percepita ‘disorganizzazione’ dei soggetti dietro e davanti alla telecamera. I video a basso costo di servizi come Facebook Watch invece ricordano i prodotti disponibili in un grande magazzino molto economico: ci sono alcune perle, certo, ma più che altro ci si trova robaccia.

Questo tipo di contenuto può catturare l’attenzione, ma è poco attraente per gli inserzionisti, ed è quasi impossibile farlo pagare al consumatore finale. “Se il video per dispositivi mobili è tutto ciò che stai facendo, stai limitando te stesso”, dice Verna, l’analista di eMarketer. “Se osserviamo Facebook Watch e Instagram TV, stanno avendo già abbastanza problemi a ottenere risultati, e sono gratuiti”. YouTube, per esempio, ha annunciato a novembre che abbandonerà un modello basato sugli abbonamenti per i suoi contenuti originali e renderà gratuiti tutti i suoi video.

La proposta di Quibi è quella di rendere più esclusivo il mercato dei video brevi. La società prevede di addebitare 5 dollari al mese per la visione con annunci pubblicitari limitati e 8 dollari al mese per una versione senza pubblicità. Facendo pagare per l’accesso, Quibi calcola di poter spendere circa 100mila dollari per ogni minuto dei suoi show a pagamento. Questo è molto meno dei 200mila o 300mila dollari al minuto che, secondo Katzenberg, Netflix e HBO pagano per le produzioni più costose, ma più di quello che i produttori pagano per i video brevi attuali. “Perché questa cosa abbia successo, serve ‘qualità in quantità’”, per Katzenberg.

Quibi ha venduto partecipazioni a 10 compagnie cinematografiche e televisive. Secondo alcune fonti, le 10 case di produzione hanno investito circa 25 mln di dollari ciascuna nella startup – che non ha confermato la cifra – abbastanza da dare a ciascuno una parte del suo successo. L’obiettivo di tali accordi, in parte, è consentire a Quibi di venire a contatto con il talento creativo e le risorse degli studios.

Combattere contro le aziende tecnologiche che hanno invaso Hollywood è un altro incentivo per le industrie dell’intrattenimento che sostengono Quibi. “Google, Facebook, Snap e altri hanno chiesto alle persone di creare contenuti brevi per loro”, afferma Peter Rice, presidente della 21st Century Fox. “Ma non è stato un vero modello di business. Era solo per accrescere il prestigio delle proprie piattaforme”.

I budget a livello delle case di produzione di Quibi sono riusciti ad attirare anche acclamati collaboratori creativi. Il regista premio Oscar Guillermo del Toro, il regista di Spider-Man Sam Raimi, il produttore di Get Out Jason Blum, il regista di Training Day Antoine Fuqua e la regista di Twilight Catherine Hardwicke stanno tutti sviluppando serie per Quibi.

Oltre al fattore denaro, perché i paladini del box-office sono disposti a fare video da 10 minuti per gli schermi dei cellulari? “Si adattano ai nostri brevi intervalli d’attenzione”, dice Hardwicke, la cui serie per Quibi segue una ragazza adolescente alle prese con i problemi del futuro così come con i noti dolori dell’adolescenza. Le creazioni di Quibi saranno brevi, ma una serie potrebbe essere composta da un qualsiasi numero di episodi. Quindi una storia che avrebbe potuto essere raccontata su uno schermo cinematografico in 120 minuti può essere spezzettata e trasmessa nel corso di due settimane. “Amiamo l’idea che ne venga vista una al giorno, perché pensiamo che contribuisca al passaparola”, dice Katzenberg. “Il problema con lo streaming è che, da un lato, è molto comodo; ne hai il controllo. Ma dall’altro, io e te non guarderemo mai la stessa cosa”. A differenza degli show di Netflix, i programmi di Quibi saranno pubblicati episodicamente e solo dopo saranno disponibili on demand, un ibrido tra appuntamento periodico e binge-watching.

Posto che parliamo di un tipo di offerta visiva nuova di zecca, anche Quibi userà l’arma dei diritti esclusivi sui contenuti che sta acquistando. Per due anni, Quibi mantiene il diritto di trasmettere e distribuire il contenuto che ha ordinato. Dopo quel periodo, i produttori possono unire insieme gli episodi e venderli altrove. “È un grande punto di forza”, afferma Blum, il produttore di Get Out. “È sempre più difficile possedere la tua proprietà intellettuale, specialmente con i servizi di streaming. Netflix e Apple vogliono possedere tutti i diritti. Nel mondo del cinema è impossibile, a meno che tu non sia un distributore”.

Tutto bello e giusto, a condizione che Quibi riesca a registrare clienti, cosa che quest’anno sarà al centro dei suoi sforzi di marketing. Se non ci riesce, i suoi abili approcci alla creazione di contenuti conteranno poco. “Se loro non ottengono abbonati – e ci sono forti probabilità che non li otterranno – la tua serie non sarà un successo, e chi avrà intenzione di comprarla a quel punto?” si chiede Dan Rayburn, che tiene traccia del business dello streaming per la società di consulenza Frost & Sullivan. “In giro non si vede gente che chiede a gran voce di ritrasmettere roba fatta da ‘go90’”, dice, riferendosi alla piattaforma mobile-video di Verizon oscurata lo scorso luglio.

WHITMAN E KATZENBERG ARRIVANO ogni giorno nello stesso ufficio, una costruzione in acciaio e vetro, bassa e senza fronzoli, in una strada secondaria di Hollywood. Whitman ha iniziato da Quibi lo scorso marzo, dopo aver messo in vendita la sua casa nel lussuoso sobborgo di Atherton, nell’area della Baia, e essersi trasferita in un condominio di West Hollywood, anche se è riuscita comunque a infilare un viaggio in Africa con la sua famiglia tra i due incarichi da Ceo. Quibi si trova in un complesso di uffici, con spazio per crescere. Secondo Whitman “possiamo prenderci uffici uno dopo l’altro come PacMan, man mano che aggiungiamo personale”.

Whitman si sta occupando molto di reclutamento e assunzioni, nei mesi che portano al lancio previsto verso la fine dell’anno. “Ora come ora è tutto molto simile a eBay”, nel quale è entrata nel 1998, quando il neonato sito di aste aveva 30 dipendenti – a differenza di Quibi, eBay aveva già entrate che crescevano in maniera incredibilmente veloce quando Whitman arrivò, un fattore che l’aveva convinta a lavorare lì. A gennaio, Quibi aveva 75 dipendenti, tra cui un numero incredibile di veri e propri titani dell’industria dell’intrattenimento. Includono Diane Nelson (ex presidente della DC Entertainment), Doug Herzog (ex presidente di Viacom Music and Entertainment), e Juan Bongiovanni, ex direttore del marketing digitale di Netflix. “Capire come lavorare insieme, assumere le persone giuste, con l’azienda che cambia ogni mese, mi è tutto molto familiare”, afferma Whitman.

Recentemente, Whitman ha guidato un tour di visitatori nello spazio del secondo piano in cui Quibi si è appena allargata: passando davanti alla sua scrivania (una copia tascabile del suo libro sulla leadership, The Power of Many, riposa accanto alla tastiera), e oltre una stanza vuota che sta per essere occupata dal team finanziario, il Ceo spiega tutti i suoi piani di espansione. Prima di arrivare alla sala conferenze – che Quibi condivide con un altro inquilino – Whitman saluta Janice Min, ex redattore capo dell’Hollywood Reporter che ora sovrintende ai contenuti di Quibi, e si ferma per un’ultima sosta. Apre una porta di legno e armeggia con le luci, rivelando una sala proiezioni con grandi, accoglienti poltrone. Una sala proiezioni non è un miglioramento insolito, per un locale di Hollywood. Ma Quibi non ha motivo di usarla.

“Qui abbiamo tenuto le riunioni tra dipendenti”, dice Whitman. “Quando l’abbiamo vista per la prima volta, qualcuno ha detto ‘oh guarda, possiamo guardare il nostro prodotto qui dentro’, e io ho risposto “sì, ci siederemo su queste poltrone con i nostri telefoni. Non metteremo le nostre cose su quello’”, dice indicando in modo derisorio lo schermo, per poi spegnere le luci.

Whitman, decisa a dimostrarsi una rampante dirigente del techno-entertainment, sta seguendo in tutto e per tutto la strada del contenuto mobile. Sostiene – anche se è improbabile – che non guarda più programmi TV o film su qualcosa di più grande di uno schermo del telefono. “Ho impostato il cursore della luminosità al massimo guardando Bodyguard”, il thriller a tema terrorismo britannico distribuito da Netflix, “durante il fine settimana, ed era comunque buio”. “E questo perché il film originale non è stato girato con abbastanza contrasto”. Mentre Katzenberg mette in cantiere il talento di prima fascia per creare i contenuti, Whitman sta cercando di capire in che modo l’azienda può rendere la visualizzazione da dispositivi mobili più coinvolgente, più profonda, più simile all’esperienza che si avrebbe in quella sala proiezioni usata solo per le riunioni. Oltre a spingere sulla luminosità, vuole ottimizzare il suono. “Mentre sei sull’autobus è tutto abbastanza tranquillo, poi all’improvviso esci e c’è tutto questo rumore, ma tu vuoi ancora guardare lo show”, dice.” Sapete cosa mi fa impazzire? Quando fanno gli annunci di volo, e tu non riesci a sentire nulla. Anche se è un suono molto forte e prolungato”.

Quibi non ha ancora un lettore multimediale da testare, e neanche un video promozionale per invogliare i potenziali collaboratori. Al loro posto ha Katzenberg e Whitman, che girano per Hollywood con una presentazione di 32 pagine rilegata a spirale, vendendo a stanze piene di produttori, dirigenti e agenti il motivo per cui loro e i loro clienti dovrebbero dedicare del tempo a Quibi. Hanno dimostrato di generare curiosità: “in genere, quando arriva qualcuno di persona a raccontarci cosa sta succedendo alla Warner Bros o alla HBO, ti ritrovi con 20 persone in stanza”, dice Ari Greenburg, un partner dell’agenzia di talenti William Morris Endeavor. “In questo caso si trattava di una singola e-mail, e si sono presentate 150 persone”.

Ultimamente, Quibi ha fatto abbastanza rumore da portare i creativi del settore a proporre le loro idee. Una mattina, a novembre, l’attrice Zoe Saldana (Avatar; Avengers: Infinity War) scivola nella sala conferenze con le sue sorelle, Cisely e Mariel Saldana. Katzenberg e quattro membri dello staff Quibi le seguono, prendendo posto attorno a un grande tavolo quadrato illuminato da una lampada che sembra un gigantesco fagiolo bianco.

All’inizio sono le Saldana ad essere in modalità ‘idee a raffica’, raccontando di come i millennial latinoamericani come loro siano “stufi delle cameriere, dei gangster, dei narcotrafficanti”. “Voglio vedere un Riverdale con un cast multiculturale, e che sia di alto livello”, dice Zoe, facendo riferimento alla sovversiva versione TV dei personaggi dei fumetti di Archie. La compagnia di produzione delle sorelle Saldana, Cinestar Pictures, ha in serbo show giovani e multiculturali alla ricerca di una collocazione, e le sorelle lanciano le loro idee sul tavolo.

Ma a circa 15 minuti dall’inizio dell’incontro, Katzenberg prende il sopravvento, descrivendo una serie dopo l’altra, un cast stellare dopo l’altro. Snocciola nomi su nomi, parlando di come ha incaricato Justin Timberlake di chiedere ad altri famosi musicisti quale canzone li abbia ispirati e spinti ad entrare nel settore, e poi di farci un duetto. Ha convinto Zac Efron e suo fratello ad andare in un remoto angolo della terra per tentare di sopravvivere senza cibo, acqua, e tecnologia per un numero di giorni ancora da stabilire (Katzenberg dice di avergli detto “questa cosa la facciamo solo se sarete in serio pericolo”). Ha incastrato Chris Rock per la narrazione di mini documentari sulla natura selvaggia prodotti da National Geographic, che suonano come un mix tra Planet Earth e la parodia di Planet Earth doppiata dal rapper Snoop Dogg. “È solo una specie di cerchio della vita di un singolo animale, un elefante una settimana, una salamandra la prossima settimana. In realtà non importa quale sia l’animale”, dice Katzenberg scrollando le spalle. Se ci fosse una nuvoletta da fumetto sopra la sua testa, si potrebbero leggere i suoi pensieri: “a chi importa degli animali? Abbiamo Chris Rock”.

Mentre inizia a concludere con Zoe e le sue sorelle, Katzenberg si appoggia al tavolo che li separa con una richiesta: “abbiamo bisogno di te, abbiamo bisogno della tua celebrità, abbiamo bisogno dei tuoi amici. Dobbiamo portare le stelle, le persone che significano qualcosa per questo pubblico, sulla nostra piattaforma”. “Intendi davanti alla telecamera?” chiede Zoe, con circospezione. “Assolutamente”, dice Katzenberg. Il tavolo dei ragazzi ‘fichi’, dopo tutto, poggia sulla percezione. Quello che serve ora a Katzenberg e Whitman sono facce conosciute, che significano tanto per il target demografico di Quibi, quanto Quibi significa per questi due ambiziosi boomers.

 

Articolo di Sheila Marikar apparso sul numero di Fortune Italia di marzo 2019.

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