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Ilva, la sconfitta di un Sistema

Difficile riuscire a salvare qualcuno o qualcosa. La vicenda dell’Ilva, con il passare delle ore, si sta trasformando nella sconfitta, clamorosa, di un intero Sistema. Nel drammatico negoziato che riguarda la sorte di migliaia di lavoratori e di una quota rilevante della nostra capacità industriale, ci sono responsabilità chiare di una multinazionale come ArcelorMittal, della politica, delle Istituzioni e dei sindacati. Il rischio, però, è quello di generalizzare, di appiattire ogni giudizio e ogni valutazione, finendo per ridimensionare gli errori, annacquandoli in una mediocrità diffusa.

Non tutte le responsabilità hanno la stessa origine e lo stesso peso. ArcelorMittal non rispetta i suoi stessi piani: sta vivendo una fase complicata, causa anche l’andamento del mercato dell’acciaio, e reagisce come spesso accade alle grandi multinazionali, guardando i numeri e sacrificando ogni remora sociale. Attua un piano elaborato già da mesi e concretizzato anche nella scelta di un amministratore delegato, Lucia Morselli, abituata a non fare sconti a nessuno per soddisfare le aspettative degli azionisti che la pagano.

La politica mostra in questa vicenda il suo lato peggiore. Si arriva al corto circuito di oggi per anni di scelte sbagliate, di compromessi di comodo, all’insegna di un’abitudine ormai diventata cronica: rimandare i problemi, facendoli diventare sempre più grandi. Il balletto sullo scudo penale per ArcelorMittal nel rilancio dell’Ilva è la fotografia della relazione, a tratti perversa, tra partiti che non sono da tempo in grado di assumere posizioni tali da assicurare il requisito minimo per essere un interlocutore credibile: la certezza delle regole. La coerenza del Movimento Cinquestelle ha assunto in questa partita il carattere che spesso ne compromette l’azione, diventando esclusivamente ideologica. I calcoli della Lega prima, e del Pd poi, hanno prodotto una complicità che non ne ridimensiona le responsabilità.

Il sindacato, che ora si trova nella posizione peggiore, poteva incidere di più. Poteva farlo, in diversi passaggi della storia dell’Ilva, scommettendo di più su una soluzione strutturale, anche a costo di sacrificare alcuni successi contingenti. Ora, potrebbe essere troppo tardi.

Una sintesi efficace la fa il ministro dello Sviluppo Economico, Stefano Patuanelli: “non avere l’Ilva significa non avere un piano industriale serio per il Paese”. Vero, ineccepibile. Scoprirlo oggi vuol dire avere consapevolezza ma anche ammettere di aver sottovalutato un problema cruciale. E il botta e risposta Lega-Di Maio, alleati fino a ieri, dimostra che neanche l’emergenza di queste ore aiuta a trovare un po’ di lucidità. Da una parte “A casa voi, non gli operai dell’Ilva”, dall’altra “Sovranisti camerieri delle multinazionali”. Così, davvero, non se ne esce.

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