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Gli affitti guidati dall’intelligenza artificiale

Con la data science Sean Dobson ha fatto una fortuna, durante il crollo del mercato immobiliare. Ora sta usando l’intelligenza artificiale per costruire un impero di case unifamiliari, ottenendo profitti da proprietà a cui la maggior parte degli investitori non si avvicinerebbe neanche.

Articolo apparso sul numero di Fortune Italia di settembre 2019.

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Erin Burrus ha subito alcune disgrazie negli ultimi anni: le è stato diagnosticato il cancro, le è stata pignorata la casa. Oggi è di nuovo in salute, e un lavoro stabile nel retail le ha permesso di aggiustare le sue finanze. “Sto cominciando a risalire”, spiega Burrus. Un simbolo del suo ritrovato equilibrio è la casa con due camere da letto in cui vive con il marito e i figli a Greenwood, un sobborgo medio-borghese di Indianapolis. La famiglia vive lì in affitto. Ma per Burrus era importante non stare in un appartamento. “Volevo una casa con un cortile per i bambini, per avere quell’atmosfera familiare”, spiega. Il proprietario della casa di Burrus è un’agenzia che si chiama Main Street Renewal; l’ha scoperta grazie a sua madre, che ha preso in affitto una casa dallo stesso gruppo (e guida insieme a Burrus un fiorente business nell’ambito della sartoria). Entrambe, nel loro piccolo, fanno parte di un ambizioso esperimento.

Main Street Renewal è una costola della Amherst Holdings, una società di investimenti immobiliari con un giro di affari di 20 mld di dollari. Possiede o gestisce circa 16mila case unifamiliari, sparse tra il Midwest statunitense e la Sun belt (gli Stati meridionali). Un portafoglio che rende Amherst uno dei player più grandi e in rapida crescita nel business delle case in affitto possedute da grandi fondi, un settore dell’industria immobiliare che vale 45 mld di dollari e che a malapena esisteva prima della Grande recessione del 2008.

Sean Dobson, amministratore delegato di Amherst, è un texano grande e grosso, un esperto di dati che ha lasciato il college per entrare nel trading dei mutui. Una decina di anni fa ha fatto un sacco di soldi con la vendita allo scoperto durante il crollo immobiliare. Oggi il suo impero immobiliare cresce di mille case al mese grazie all’intelligenza artificiale; viene utilizzato il data modeling per fare decine di offerte al giorno per abitazioni potenzialmente redditizie.

Le case della Main Street costituiscono un investimento da 3,2 mld di dollari che genera circa 300 mln di reddito all’anno, ma Dobson nutre ambizioni ben più grandi: “vogliamo arrivare a 1 milione di case nei prossimi 15 anni o giù di lì”, dice. Nonostante la proiezione rifletta parecchia spavalderia – è più di 60 volte il numero di case che Amherst possiede oggi – il fatto che questo obiettivo sia più che plausibile mostra quanto il mercato immobiliare sia cambiato, e come la tecnologia stia aiutando gli investitori a trarre profitto da questi cambiamenti.

L’ascesa dell’industria degli affitti di case unifamiliari riflette un profondo cambiamento delle finanze e dei comportamenti delle famiglie americane. La proprietà di una casa, per lungo tempo fondamento della stabilità finanziaria, è diventato un obiettivo irraggiungibile o non più desiderabile per molti lavoratori a reddito medio, per ragioni varie: dall’irrigidimento dei criteri per l’erogazione dei mutui, all’aumento dei costi (e dei debiti) per il college, fino all’assenza di risparmi e di aumenti salariali.

Secondo ¬Yar¬deni Research, più di una famiglia su tre che prima della crisi finanziaria avrebbe comprato una casa, ora vive in affitto o con i genitori. Questi trend si traducono in circa 5 milioni di famiglie attualmente in affitto in case unifamiliari, e questo è il target di mercato su cui punta Amherst.

La sua specialità è scovare proprietà fatiscenti in zone benestanti, grazie all’utilizzo di algoritmi che aiutano l’azienda a evitare aste difficili e perdite di denaro, per poi renderle disponibili per un nuovo round di affitti.

I clienti tipici di Amherst sono coppie sulla quarantina con uno o due figli e redditi familiari complessivi sui 60mila dollari annui, che pagano un affitto medio di 1.450 dollari al mese. “Questo è quasi esattamente ciò che pagherebbero per un mutuo e altre spese se possedessero la casa”, dice Dobson. “Stiamo servendo una nuova classe di americani, quelli che una volta sarebbero stati proprietari, che ora sono affittuari forzati o affittuari per scelta”. E Dobson scommette che questa nuova classe sia permanente.

Il business degli affitti di case unifamiliari è stato a lungo dominato da imprenditori locali, attività familiari o piccoli uffici che possiedono e gestiscono non più di un paio di dozzine di proprietà (e spesso solo una). Storicamente, quando i pesci più grandi come gli hedge fund e i fondi di investimento immobiliari (REIT, real estate investment trust, ndt) investono in alloggi da affittare, si concentrano su grandi edifici residenziali, ovvero asset più grandi la cui densità abitativa li rende più convenienti da gestire.

Il crollo immobiliare degli anni 2000 ha cambiato le carte in tavola. Mano a mano che i proprietari di casa tartassati dalla crisi cedevano le loro proprietà e aumentava la domanda di affitti, gli investitori hanno realizzato che le case unifamiliari potevano diventare una fonte di reddito più stabile rispetto agli appartamenti.

Un locale vuoto è una perdita di denaro, e le case, rispetto agli appartamenti, più difficilmente rimanevano vuote. Tom Barrack, capo della società di investimenti immobiliari Colony Capital, spiega che nelle case unifamiliari, “le famiglie soggiornavano per due o tre anni, rispetto a quanto avveniva negli appartamenti, dove questo periodo oscillava dai sei mesi a un anno”. La domanda è rimasta alta, aggiunge, in parte perché i consumatori che una volta vedevano la casa come un possibile investimento non sono più sicuri che i prezzi possano salire in futuro.

Il business rimane altamente frammentato: i fondi possiedono solo circa il 2% delle 15 milioni di case unifamiliari in affitto in America. Ma negli ultimi sette anni, questi investitori hanno accumulato un portafoglio considerevole di circa 300mila case in tutto. Tra i più grandi player sul mercato ci sono: American Homes 4 Rent, Amherst e Invitation Homes (Reit, nato dalla fusione delle divisioni ‘rental’ di diverse società, tra cui Blackstone, Starwood Capital e Colony Capital). Tutti utilizzano la ricerca automatizzata di case per incrementare la propria crescita. Ma Amherst, a differenza dei suoi competitor, focalizza i suoi modelli matematici – e il suo modello di business – su periferie medio-borghesi a prezzi accessibili, nel cuore del settore immobiliare statunitense.

Dobson ha trascorso la sua infanzia lontano da quei sobborghi, in una roulotte in un parco statale del Texas orientale dove la sua famiglia possedeva una concessione per gestire un campeggio. “Mia madre e mio padre affittavano bungalows e vendevano gas”, ricorda Dobson. “Poi il prezzo del petrolio è salito, la gente non poteva permettersi vacanze, e quella è stata la fine del paradiso dei ‘redneck’ americani”. La famiglia si trasferì a Houston quando Sean stava iniziando il liceo, e suo padre gli comprò qualcosa che gli avrebbe cambiato la vita per sempre: un computer Radio Shack TRS-80.

Il dispositivo generava così tante interferenze, racconta Dobson, che quando era acceso saltavano le immagini della tv di famiglia. Ma Dobson divenne un abile programmatore, e l’estate dopo la sua laurea nel 1987 fu assunto come informatico per un trading desk di mutui. È diventato un pioniere nella costruzione di modelli matematici sofisticati per calcolare i mutui delle case, e nell’utilizzo di questi modelli per scovare casi in cui gli investitori stavano sbagliando il rating dei titoli garantiti da mutui ipotecari (MBS, mortgage-backed securities, ndt) sulla base di proiezioni errate dei loro rischi.

Nel 1994, Dobson diede vita a una prima bozza della sua società; nei primi anni 2000, Amherst stava vendendo 25 mld di dollari all’anno in MBS a fondi pensionistici e società assicurative. I semi dei grandi risultati di Dobson sono stati piantati durante la bolla immobiliare, quando i suoi modelli matematici avevano previsto che ci sarebbe stato un disastro con le security Alt-A, pacchetti di mutui erogati a proprietari che spesso avevano fatto ricorso diverse volte a rifinanziamenti.

“Il mercato prevedeva un tasso di default del 5%, mentre i nostri modelli mostravano che sarebbe potuto arrivare al 30%, sempre che i prezzi delle case non crollassero del tutto” ricorda Dobson. Così ha reclutato un gruppo di investitori nello shorting di Alt-A, raccogliendo un profitto di 10 mld di dollari non appena il prezzo delle case è crollato, ben 10 volte tanto l’investimento iniziale fatto, secondo Dobson.

Il posto in prima fila di Dobson durante il crollo del mercato immobiliare lo ha aiutato a riconoscere l’opportunità offerta dal mondo degli affitti. Nel 2011 ha iniziato una campagna per convincere gli investitori a finanziare una nuova venture, un fondo per l’acquisto e l’affitto di case unifamiliari su scala industriale. Alcuni dei suoi ex soci hanno creduto nel potenziale. “Gli affitti di case unifamiliari sono fondamentalmente un grande gioco di informazioni” dice Curtis Arledge, a capo del Mariner Investment Group. “È possibile raccogliere ogni genere di informazioni se si acquista su larga scala. I dati gli danno un vantaggio competitivo”.

Gli scettici erano parecchi. Per rafforzare la sua iniziativa, Dobson acquistò 215 case a Phoenix e Dallas. “Il portafoglio non era ideale – ammette – Avevamo case ricoperte di graffiti nel centro della città e case nei sobborghi distanti sei miglia l’una dall’altra. E una di queste era un ex-bordello”.

Molti investitori vedevano in questa collezione di abitazioni la rappresentazione di tutti i possibili problemi che un proprietario possa avere: dalle condizioni deteriorate delle case alla gestione di un portafoglio di così vasta portata. “Hanno detto che ero pazzo, che questo era un business impossibile che sarebbe sicuramente morto presto”, racconta Dobson.

Servì un intero anno di duro lavoro a Dobson per raccogliere 200 mln di dollari. Ma quel denaro è stato sufficiente a dimostrare la validità del suo progetto. Le sue prime proprietà infatti avevano generato abbastanza profitto da convincere gli investitori a finanziare nuovi round. Dal 2011, Amherst ha fatto nascere otto fondi ‘rental’ per un totale di 5 mld di dollari. Nella maggior parte dei casi, ha collaborato con un unico grande investitore, come il gigante di private equity Tpg.

Secondo gli investitori, i fondi hanno prodotto un ritorno medio annuale pari alla metà del valore delle loro quote, unendo gli affitti e lo sfruttamento dell’incremento dei prezzi (quando i prezzi si alzano molto Amherst vende pacchetti di case, anche ad altri investitori). È grazie alla ‘caccia agli affari’ guidata dall’approccio digitale dell’azienda che questi rendimenti sono così elevati.

Durante un giro in macchina tra Arlington e DeSoto, due sobborghi di Dallas, il direttore generale di Amherst, Joe Negri, individua al volo le case da ristrutturare. Circa una casa su cinque si qualifica come possibile affare. Negri mi mostra i segni tipici: finestre sbarrate, impianti per l’aria condizionata lasciati a arrugginire in giardino. All’interno, spiega, probabilmente troveremmo maioliche rovinate e scollate dai pavimenti di cemento. Trovare dimore come queste e trasformarle in abitazioni dignitose è la colonna portante della strategia di Amherst. Per individuare città, paesi, e quartieri dove le case da ristrutturare possano diventare redditizie Amherst usa i suoi dipendenti, ma per la scelta della singola abitazione si affida all’automazione. Negri, 31 anni, è a capo del team ‘umano’. Trascorre 150 giorni all’anno sulle strade a supervisionare le operazioni di Main Street Renewal, da Atlanta a Denver, alla ricerca di quartieri ‘ideali’ dove si trovi il perfetto connubio tra affitti convenienti e una forte base di lavoratori a reddito medio. Circa il 70% delle 16mila case di Amherst si trovano in città dislocate lungo la Sun belt: circa 5.300 tra Atlanta e Dallas, ma anche Houston, Charlotte e Jacksonville sono luoghi importanti. Ad Amherst piacciono anche le città della Rust belt che abbiano un solido mercato del lavoro, come Indianapolis, Louisville e St. Louis. Questi mercati sono tutti modellati da forze che tengono sotto controllo i costi delle abitazioni. Nelle città della Sun belt, questo ruolo lo giocano le nuove costruzioni; nella Rust belt invece è una crescita economica relativamente modesta a consentire di mantenere basso il prezzo delle abitazioni. Entrambe queste aree sono l’antitesi dei mercati costieri come Los Angeles e Boston, dove una carenza di nuove abitazioni e un’economia locale sempre in forma determinano un rigonfiamento dei prezzi. Concentrarsi su case da ristrutturare in mercati dove la media dei prezzi è modesta consente ad Amherst di mantenere bassi i costi delle abitazioni (riparazioni comprese), per un totale che varia dai 140mila dollari a Memphis ai 208mila dollari a Dallas. Il prezzo medio delle case, negli Usa, è pari a 267.300 dollari, e spesso i prezzi di Amherst sono inferiori anche a quelli delle singole città dove hanno investito.

Assicurarsi che i prezzi bassi non siano causati dalla povertà del quartiere prescelto è compito di Negri. “Il criterio numero 1 è capire che tipo di lavoro si fa in quella zona”. Prima che Amherst scelga una nuova area metropolitana, Negri esplora i quartieri in prima persona. “Mi stabilisco in un hotel per un mese di fila, girando con un iPad”, dice. “Una mattina stavo girando la zona di Florissant, a St. Louis, e una persona su due o tre era vestita con un’uniforme della Boeing. Un elemento incoraggiante”. Un buon motivo per non investire in una certa zona? Vialetti pieni di macchine in pieno giorno, segno che molti residenti sono senza lavoro.

Basandosi su ricerche come quelle di Negri, Amherst ora punta su circa mille codici postali in 30 aree metropolitane. Una volta scelte le zone, vanno scelte le case: un compito che spetta al sistema ad elevata automazione di Amherst. In un ufficio al 19esimo piano sulla Madison Avenue di New York una dozzina di specialisti dell’acquisto da remoto lavorano dalle loro postazioni utilizzando un software proprietario chiamato Explorer, una costola del programma che Dobson aveva sviluppato per calcolare i prezzi dei mutui. Ogni mattina, il team riceve alert su nuove case che rientrano nei criteri geografici e di prezzo selezionati, per un totale di circa 1.400 annunci al giorno. Explorer fa anche una stima dei costi di ristrutturazione. Si tratta di machine learning vero e proprio: la stima si basa sull’esperienza di Amherst con case costruite negli stessi anni e di dimensioni simili nelle medesime aree geografiche. In una casa più vecchia, la ristrutturazione potrebbe includere la sostituzione dell’aria condizionata; per una casa dalle cui foto nell’annuncio si intravedono crepe o usura delle strutture, si potrebbe prevedere una sostituzione del tetto. (I membri del team aiutano il software in questa analisi). Explorer è diventato così preciso, spiega Negri, che gli effettivi costi di ristrutturazione si discostano al massimo del 5% rispetto alle stime effettuate.

Explorer esegue poi un calcolo separato: cerca altre tre case in affitto entro un raggio di due miglia dalla casa sotto esame, che abbiano caratteristiche simili (età, dimensioni, numero di camere e bagni). Explorer poi sforna una stima effettiva di ‘rental yield’, di rendimento: il canone di locazione, compreso di spese come tasse e manutenzione, diviso per i costi iniziali. Se questo rendimento raggiunge l’obiettivo di Amherst (che Fortune stima essere tra il 5% e il 6%), il team farà un’offerta. Ogni giorno, circa il 20% dei nuovi annunci presentano caratteristiche tali da spingere Amherst a fare un’offerta. E ciò avviene entro 12 ore dalla pubblicazione dell’annuncio, con offerte in contanti. Circa il 10% delle offerte fatte, per un totale di circa 30 case al giorno, vanno a buon fine e si traducono in un acquisto. Amherst invia degli ispettori a valutare le condizioni di ogni casa durante il periodo di ‘tolleranza’ iniziale. A meno che non trovino brutte sorprese, come delle fondamenta incrinate, le case entrano nel portafoglio di Main Street Renewal.

Dopo aver acquistato una casa da ristrutturare, ovviamente, cominciano i lavori. Amherst spende in media 28mila dollari a casa, circa il 20% del prezzo di acquisto, per le ristrutturazioni. Molte delle famiglie della classe media che fanno parte della base di clienti di Amherst potrebbero mettere da parte abbastanza soldi da riuscire a pagare l’acconto per acquistare queste case, ma pochi hanno risparmi sufficienti a finanziare anche eventuali ristrutturazioni. Visitando una dozzina di abitazioni di Main Street -Renewal tra Dallas e Atlanta, sono rimasto impressionato da come le case, soprattutto gli interni, sembrassero di nuova costruzione. Avevano tutte diverse planimetrie ma, pescando da un unico pacchetto di vari allestimenti, Amherst aveva utilizzato sempre le stesse componenti base: arredamenti e brand tipici di una borghesia di fascia medio-alta.

In una casa di quasi 288 mq e sei anni di età, a Douglasville, un sobborgo di Atlanta, Amherst aveva installato quattro nuovi scintillanti elettrodomestici della GE appliances: fornelli, lavastoviglie, frigorifero e microonde. I piani di lavoro erano in quarzo; sul pavimento robuste piastrelle di ceramica; ventilatori a soffitto Hampton Bay nel soggiorno e nella camera da letto principale. L’affitto: 1.850 dollari al mese. Nella vicina Austell, una casa di Main Street Renewal più piccola, più economica, e più vecchia (circa 172 metri quadrati, costruita nel 1997) stava subendo una ristrutturazione radicale. La moquette era strappata e macchiata, il controsoffitto della cucina si era incurvato. Ma gli operai stavano installando elettrodomestici, pavimenti, e altri allestimenti simili a quelli utilizzati per la casa a Douglasville. Le ristrutturazioni di Austell alla fine sarebbero costate circa il doppio di quelle fatte a Douglasville. Ma quella casa sarebbe stata affittata a 1.695 dollari, abbastanza da raggiungere il rendimento stabilito da Amherst.

Le economie di scala aiutano a ripagare queste ristrutturazioni. I miglioramenti che ad Amherst costano 28mila dollari, secondo le stime della società, ad un acquirente normale costerebbero almeno 44mila dollari. Questo perché Amherst compra volumi talmente elevati che può acquistare apparecchiature con contratti nazionali fortemente scontati. Ad esempio: i quattro elettrodomestici GE, che l’azienda paga 1.850 dollari, a un privato costerebbero circa 3.000 dollari. Le ristrutturazioni sono gestite da costruttori terzi, ma molti si affidano ad Amherst per la maggior parte della loro attività, quindi i costi sono prevedibili e il superamento del budget preventivato è raro. Anche gli affittuari di Amherst beneficiano di un privilegio: non devono occuparsi delle riparazioni. A Dallas e nella sua periferia, per esempio, una squadra di 28 addetti alla manutenzione pilota una flotta di 10 furgoni bianchi per le riparazione, tutti forniti di logo Main Street Renewal e piastrelle di ricambio, elegante vernice color ‘moth gray’ e ventilatori a soffitto.

Amherst ha capito come servire al meglio una nuova schiera di affittuari in rapida espansione. La domanda che si sta ponendo Dobson è se quella folla continuerà a crescere. Alcuni esperti ritengono che la contrazione degli acquisti sia temporanea e che gran parte dei millennial e delle famiglie passeranno dall’affitto all’acquisto. Non sarebbe per forza la fine del modello di business di Amherst, ma metterebbe certamente un freno all’entusiasmo degli investitori, dice Ed Pinto, un economista all’American Enterprise Institute ed ex chief credit officer dell’agenzia specializzata in mutui Fannie Mae. “A Wall Street non hanno tempo da perdere”, afferma Pinto. “Cercheranno una via di fuga, o ridimensioneranno gli investimenti”.

Dobson riconosce che un aumento della domanda potrebbe danneggiare la sua strategia. Se crescessero i prezzi nelle zone scelte dall’azienda, aumenterebbero anche i costi, per Amherst. Inoltre dato che gli affitti unifamiliari tendono a seguire i prezzi delle case, i clienti potrebbero tornare a scegliere gli appartamenti piuttosto che le case. “Se l’aumento dei prezzi delle case è superiore alla crescita dei ricavi, il business degli affitti potrebbe non essere più così redditizio”, dice.

Tuttavia, Dobson non vede minacce di questo tipo all’orizzonte, e pensa che la maggior parte degli attuali trend vadano a suo favore. Amherst potrebbe trarre beneficio in due modi da un’eventuale rallentamento dell’economia: i prezzi delle case si abbasserebbero, creando nuove opportunità di acquisto per gli investitori, e la domanda di affitti aumenterebbe. Qualunque cosa faccia l’economia, sostiene, la sua industria ne trarrà vantaggio man mano che cresce. È convinto che il pool di case a disposizione di Amherst crescerà di milioni di unità nel momento in cui i figli dei vecchi proprietari, invece di riparare vecchi bagni e dannarsi per cercare di affittare le case, preferiranno optare per la vendita. “Ho pronti da investire dai 5 ai 6 mld di dollari che arrivano da investitori esterni” dice Dobson. “Alla fine, arriveremo a 1 milione di case”.

Per quanto grande diventi l’impero, è improbabile che questo possa includere la casa di Dobson. Lui, sua moglie e i loro due figli condividono una magione da 700 metri quadrati, completa di cantina per il vino, in una zona alla moda di Austin. Potrebbe non essere enorme per gli standard del Texas, ma è il tipo di casa che non rientrerebbe mai negli algoritmi di Amherst. Il tipo di mercato a cui Dobson, il padrone di casa, non si avvicinerebbe.

 

Articolo apparso sul numero di Fortune Italia di settembre 2019.

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