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Il rischioso business dell’industria mineraria spaziale

Nessun altro settore è tanto rischioso quanto remunerativo come scavare un asteroide.

Articolo di Andrew Zaleski apparso sul numero di Fortune Italia di gennaio 2019.

 

L’estrazione di minerali o di acqua presenti negli asteroidi non è una fantasia bizzarra. In un’intervista di tre anni fa, l’astrofisico Neil deGrasse Tyson disse che il primo uomo trilionario della terra sarebbe stato colui che “avrebbe sfruttato per primo le risorse naturali presenti sugli asteroidi”. Un certo numero di imprenditori ci sta provando. La startup di miniere spaziali che ha fatto più clamore, Planetary Resources, è stata fondata nel 2012 e vanta investitori del calibro del produttore cinematografico James Cameron e del co-fondatore di Google Larry Page. All’inizio del 2018, Planetary Resources aveva letteralmente spiccato il volo. Aveva appena lanciato un satellite in miniatura nuovo di zecca progettato dalla stessa azienda, dotato di una telecamera a infrarossi a onde medie in grado di fiutare la presenza di acqua al di là dell’atmosfera terrestre. È stato il primo passo di una missione a lungo termine mirata a soddisfare un’eventuale prima richiesta di estrazione mineraria su asteroidi.

Due anni prima, l’azienda aveva raccolto 21 mln di dollari, e poi ulteriori 28 mln, grazie a una partnership con il governo del Lussemburgo – un paese che vorrebbe posizionarsi come l’hub ‘terrestre’ di tutta l’industria estrattiva interplanetaria.

Ma la venture del commercio spaziale con sede a Redmond, Washington, nel giro di poco tempo si è trovata in difficoltà: il fallimento di una raccolta fondi si è tradotto in un drastico taglio di personale – con una riduzione complessiva dello staff da circa 70 impiegati a 10 – e con la vendita da parte del Lussemburgo della sua quota del 10% dell’azienda. Alla fine di agosto, il ceo Chris Lewicki, che non ha voluto rilasciare dichiarazioni sulla vicenda, stava progettando di mettere all’asta laptop e altre apparecchiature.

Benché l’estrazione mineraria sugli asteroidi sia un business potenzialmente molto redditizio – secondo un rapporto della Goldman Sachs la valutazione del platino trovato su un asteroide sfiora i 50 mld di dollari – ci sono ancora enormi sfide tecniche da superare. Gli osservatori esterni sostengono che le aziende interessate alle perforazioni delle rocce spaziali siano destinate ad una lunga attesa.

“Ci saranno numerosi ostacoli sulla strada che porta alla creazione di questo nuovo settore, quindi qualsiasi startup che abbia questa grande ambizione deve essere pragmatica nel costituire un solido flusso di entrate”, afferma George Sowers, professore del programma di risorse spaziali della Colorado School of Mines. La Deep space industries (Dsi), azienda concorrente di Planetary resources, con sede a San Jose, ha deciso di abbandonare l’idea di effettuare estrazioni minerarie sugli asteroidi fino a quando non avrà la certezza che le spese di viaggio non si traducano in un biglietto di sola andata per la bancarotta. Negli scorsi 18 mesi, Dsi si è focalizzata sullo sviluppo di navicelle spaziali a basso costo: meno di 10 mln di dollari a unità. “C’è una grossa richiesta di mezzi di trasporto low-cost per lo spazio profondo”, afferma il ceo dell’azienda Bill Miller. “Una strategia percorribile da un punto di vista commerciale; questo è ciò su cui siamo focalizzati oggi”, aggiunge.

Successivamente, a fine ottobre, l’industria dell’estrazione mineraria sugli asteroidi è andata in collisione con un’altra tecnologia in lizza per la posizione di possibile rivoluzione del secolo. Gli asset di Planetary Resources sono stati acquisiti da ConsenSys, una società di blockchain con base a Brooklyn fondata da Joe Lubin, cofondatore della criptovaluta Ethereum. Ora, ciò che una startup di blockchain possa volere da un’azienda che si occupa di estrazione mineraria spaziale è qualcosa difficile da indovinare. I dettagli sulle transazioni sono confidenziali, e in una nota rilasciata da Lubin, il responsabile fa suonare quest’acquisizione come se avventurarsi nello spazio fosse il naturale sviluppo del business aziendale, osservando che “riflette la nostra convinzione di democratizzare e decentralizzare le imprese spaziali”. Tuttavia, il messaggio che si cela dietro all’ampio sforzo di fare a pezzi la galassia a scopo lucrativo, è solo uno: trovare una fonte di guadagno alternativa, almeno per il momento.

Secondo Dante Lauretta, professore all’Università dell’Arizona, e primo ricercatore della missione sull’asteroide Osiris-Rex della Nasa, l’idea che l’estrazione mineraria spaziale diventi una realtà entro la fine del prossimo decennio sembrava un obiettivo più che papabile fino allo scorso anno. Quest’anno, afferma, sembra molto più ambizioso. “Ci vuole molto tempo per salire su un asteroide, lavorare il materiale e consegnarlo a destinazione. È una prospettiva pluridecennale”, afferma Lauretta, che è membro del comitato scientifico di Planetary Resources (che si è riunito l’ultima volta a dicembre 2017). Ma ciò non significa che sia irraggiungibile un futuro in cui le estrazioni sugli asteroidi saranno normale amministrazione. La navicella spaziale Osiris sta approcciando un asteroide ribattezzato Bennu e tenterà di atterrare sulla sua superficie nel 2020 per raccogliere un campione e riportarlo sulla Terra. “Sono ancora dell’idea che le sfide scientifiche e ingegneristiche dell’estrazione di asteroidi siano completamente superabili. Non c’è niente che non possiamo risolvere – afferma Lauretta – è solo questione di mettere in piedi un piano economico”.

 

Articolo di Andrew Zaleski apparso sul numero di Fortune Italia di gennaio 2019.

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