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Coronavirus, Mes o non Mes servono soldi veri

Fino al 23 aprile il dibattito ‘Mes o non Mes’ continuerà a riempire di dichiarazioni e polemiche le nostre giornate. E anche a nascondere il problema principale che rischiamo di sottovalutare. Servono soldi veri, bonifici, pagamenti a chi è in questo momento senza lavoro e alle imprese che sono ferme.

Finora si sono fatte scelte, alcune discutibili, per creare la cornice normativa che consenta di iniziare a sostenere un Paese messo in ginocchio dall’emergenza Coronavirus. Ma ancora non sono arrivate le risorse che servono. La liquidità immediata, comprensibilmente sbandierata ai fini della comunicazione, ancora non c’è. Non sono ancora arrivati i 600 euro per i lavoratori autonomi, non è stata ancora pagata la cassa integrazione, nessuna impresa ha potuto accedere a un euro di finanziamento.

Servono tempi tecnici, servono processi e procedure. Ma non c’è più tempo. La macchina della burocrazia va accelerata, vanno fatte scelte in una sola direzione: accorciare il più possibile il percorso che porta i soldi dalla carta, quella dei provvedimenti, alle tasche di chi li deve ricevere. In questo senso, potrà dare un contributo anche il Comitato guidato da Vittorio Colao. Se sarà messo nelle condizioni di incidere.

Restano però alcuni temi di fondo. Il governo e le forze politiche devono ancora comprendere fino in fondo la portata di quello che è successo. Tornerà il tempo del confronto per la ricerca di consenso, e quello per i giochi di potere. Ma non è oggi quel tempo. Ci sono due fronti aperti che rappresentano bene questa distanza tra le pretese della politica e le urgenze della realtà.

Il dibattito sul Mes è la fotografia del problema. Anche tralasciando insulti e repliche, il nodo tornano le risorse. È essenziale ottenere dall’Europa il maggior aiuto possibile, nelle forme e con gli strumenti che saranno decise dal Consiglio Ue del 23 aprile. Incluso quello che potrà arrivare dall’utilizzo del Mes senza condizioni, per le spese sanitarie. Rinunciare a qualcosa di concreto, e utile, per scelte ideologiche, è un’opzione che non abbiamo. Così come i passi avanti sulla strada della condivisione delle sforzo necessario, con il recovery fund, possono aprire nuovo spazio, che va però conquistato con l’unica arma a disposizione: il negoziato.

L’altro fronte decisivo è quello della liquidità alle imprese. Si è scelto di affidare quasi tutta la partita a Sace, portandola sotto il controllo del Tesoro. Una scelta politica che dovrà trovare in queste settimane una legittimità strategica. Va costruito un nuovo processo e va strutturata una nuova organizzazione. Sarebbe stato più immediato lasciare a Cdp un ruolo che già ha, ad esempio con le garanzie per gli interventi post sisma, seguendo quello che avviene anche negli altri Paesi europei con le rispettive Casse nazionali. Ma, anche in questo caso, le polemiche servono a poco. Se il sistema funzionerà, e i finanziamenti alle imprese arriveranno subito, saremo tutti pronti a riconoscere il risultato raggiunto. Altrimenti, insieme al fallimento della politica, dovremo iniziare a contare anche i fallimenti delle imprese.

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