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Referendum, No all’antipolitica

«Approvate il testo della legge costituzionale concernente “Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari”, approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n.240 del 12 ottobre 2019?». A questo quesito gli italiani risponderanno sì o no al referendum di domenica e lunedì. Da settimane si rincorrono gli endorsement, più o meno autorevoli, per l’una e l’altra parte. Con una geometria variabile, che travalica gli schieramenti tradizionali.

 

Sintetizzando al massimo, il sì al referendum è legato a una promessa, quella di ridurre il numero dei parlamentari, che è soprattutto una misura di bandiera del MoVimento Cinquestelle. Valga per tutti il post di Beppe Grillo: “Il popolo italiano potrà riappropriarsi del proprio potere ricacciando nella foresta i dinosauri del Giurassico, destinati alla estinzione dalla cometa della riforma costituzionale. E’ ora di svecchiamento, modernizzazione e di maggiore consapevolezza sociale”. Il Partito Democratico, con il segretario Nicola Zingaretti, si è allineato per non ‘tradire’ l’accordo che di fatto sostiene e garantisce l’attuale maggioranza. Nonostante il no dei padri nobili, da Romano Prodi a Walter Veltroni. Giorgia Meloni, leader di Fdi, ha fatto una buona sintesi: “Io sono per il ’si, abbiamo sostenuto la legge e penso che il 99% degli italiani, sulla carta, sia favorevole al taglio dei parlamentari. Però l’idea che magari la vittoria del ‘No’ possa creare un sommovimento nel governo, rischia di avere la meglio”. La Lega di Matteo Salvini, nonostante il ‘No’ di peso di Giancarlo Giorgetti e altri, resta coerente con la sua posizione storica: “non facciamo come Renzi e il Pd. Penso che il Parlamento possa lavorare bene anche con 300 parlamentari in meno”. In realtà, il leader di Italia Viva ha lasciato libertà di voto, liquidando il referendum come “abbastanza inutile”: “riduce il numero dei parlamentari e, sono molto laico, non mi sembra il punto decisivo”, ha detto.

 

Il ‘Sì’ è strettamente legato anche alla nuova promessa di ridurre lo stipendio di deputati e senatori. Anche perché il taglio del numero dei parlamentari senza una riforma organica della democrazia parlamentare, e quindi del funzionamento e delle competenze di Camera e Senato, ha poco senso anche agli occhi di chi associa il taglio a un risparmio economico. Ci sono i numeri a sentenziare che è pari allo 0,007% della spesa pubblica italiana.

 

Le ragioni del ‘No’ partono da qui e prendono strade diverse. Veltroni ha sintetizzato la tesi di partenza: “Penso che non si possa fare un taglio dei parlamentari senza una riforma complessiva perché se si tocca il Parlamento, bisogna farlo tenendo conto degli equilibri necessari. Il vero problema è il bicameralismo perfetto”. Silvio Berlusconi è in linea: “Fatto così, il taglio dei parlamentari è solo una riduzione degli spazi di rappresentanza, di democrazia”. Prodi, nel suo editoriale sul Messaggero con cui ha annunciato e motivato il suo voto, ha scritto: il no serve a “evitare che si pensi che la diminuzione del numero dei parlamentari costituisca una riforma così importante per cui non ne debbano seguire le altre, ben più decisive per il futuro del nostro Paese”.

 

C’è però un tema che va oltre le posizioni dei leader, oltre il referendum e il taglio dei parlamentari: come porsi di fronte all’antipolitica e, più in generale, al ruolo che deve svolgere la politica. In questo caso, il ‘No’ va oltre un endorsement per il voto di domenica e lunedì. Il Parlamento e i parlamentari devono ritrovare la loro centralità, il costo della politica deve essere un investimento sulla politica, lo stipendio dei parlamentari deve essere proporzionato al contributo che possono dare al futuro di questo Paese. Non servono tagli ideologici. Serve una riforma organica della nostra democrazia parlamentare. Poi, possiamo scegliere quanti parlamentari servono e quanto devono essere pagati. Per ora, ‘No’. Soprattutto all’antipolitica.

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