NF24
Cerca
Close this search box.

Lo ‘smart’ working e le aziende ‘best’

smart working

Nell’aggettivo smart c’è quasi tutto quello che serve dire sullo smart working. Nella parola inglese, come succede quasi sempre, c’è una sintesi che nella traduzione italiana richiede più parole: intelligente, ma anche brillante, astuto, addirittura furbo. In una spiegazione più articolata, lo smart working deve migliorare le condizioni del lavoro per tutti: aziende, lavoratori, società.

 

 

La premessa si può chiudere con un’altra considerazione. Il concetto e la teoria nascono in contesti diversi da quello italiano e si fondano su tre pilastri: il livello di trasformazione digitale, la conformazione geografica e urbanistica, il sistema di welfare. Lì dove lo smart working già funziona ci sono condizioni peculiari che, almeno per ora, non sono le nostre.

 

 

Oggi, per come lo stiamo conoscendo in Italia, è essenzialmente la prosecuzione disordinata del lavoro da remoto imposto dall’emergenza Coronavirus. Una reazione straordinaria e necessaria che tenta di diventare una soluzione strutturale. Le opportunità, enormi, sono almeno pari ai rischi che stiamo correndo. Perché quella che si annuncia come una rivoluzione epocale potrebbe anche rivelarsi una gigantesca trappola. L’uno o l’altro destino, alternativi, dipendono dalla capacità che si avrà di pianificare, regolare e gestire una trasformazione che va ben oltre il semplice rapporto di lavoro.

 

 

Ce ne occupiamo, a partire dal titolo che abbiamo scelto – Smart (?) working – ponendo una serie di domande e cercando risposte, anche diverse tra loro, che pongano temi da approfondire e non rilancino tesi precostituite. Il punto di partenza è la legge. Nel caso specifico, la legge 81 del 2017 che divide anche gli avvocati giuslavoristi che abbiamo interpellato. Poi ci sono i due fronti naturali su cui andare a verificare le conseguenze del nuovo assetto: le aziende e i lavoratori. Da una parte, i responsabili delle risorse umane che si confrontano con le linee guida dei top management e con la tentazione di incidere non poco sui bilanci: parla della necessaria attenzione alle persone Federica Terrenzio, di Salesforce. Dall’altra, le singole persone. Raccontano storie di ordinaria preoccupazione, come nel caso della improvvisa scomparsa degli straordinari. Poi, ci sono gli aspetti macro e di lungo periodo. Il sociologo Domenico De Masi ragiona su come può e deve trasformarsi la città dal punto di vista della fruizione dello spazio e del tempo; gli urbanisti si interrogano sulle soluzioni concrete. Intanto, il mercato immobiliare resta ‘sospeso’ in attesa di capire se e come sarà superata l’emergenza.

 

 

Interrogarsi sul futuro del lavoro vuol dire anche guardare alla tenuta delle aziende. Lanciamo la nostra classifica Fortune Italia 100 – Best regional companies, per segnalare le imprese che crescono e che hanno uno stretto legame con il territorio in cui operano (sono regional per questo e non certo per una riduttiva dimensione regionale). È una fotografia pre-Covid, scattata grazie alla base dati di Bureau Van Dijk – a Moody’s Analytics Company, e la sorte di molte di queste aziende dipenderà dalla capacità di reagire alla crisi in corso. Ma è a questo tessuto produttivo, fatto soprattutto di medie aziende capaci di essere competitive in mercati sempre più globali, che si deve guardare per costruire un percorso di ricostruzione e rilancio dell’economia italiana.

 

Ci si può abbonare a Fortune Italia seguendo questo link: potrete scegliere tra la versione cartacea, quella digitale oppure entrambe. Qui invece si possono acquistare i singoli numeri della rivista in versione digitale.

ABBIAMO UN'OFFERTA PER TE

€2 per 1 mese di Fortune

Oltre 100 articoli in anteprima di business ed economia ogni mese

Approfittane ora per ottenere in esclusiva:

Fortune è un marchio Fortune Media IP Limited usato sotto licenza.