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Fashion, non solo e-commerce. Il punto vendita vive

(Luxuryandfinance.it) – Per questo 2020 che volge al termine i bilanci di fine anno sono davvero scivolosi. Per la moda, ad esempio, il McKinsey Global Fashion Index prevede un possibile calo del 90% dei profitti, con numeri in crescita solo per le vendite online. Non di soli pixel, però, vivono i fashion victim: per la fine del primo lockdown, ad esempio, aziende come Louis Vuitton e Dior hanno voluto vetrine capaci di emozionare e che, infatti, sono state visitate (fotografate, postate e ripostate) da moltissime persone. Lo sa bene Omar Pallante, Art director di Arte Vetrina Project – Creative Studio, che quei visual ha studiato e curato nei minimi dettagli. La sua azienda – fondata a Bologna alla fine degli anni Novanta dal fratello Igor, purtroppo venuto a mancare – è ora fra le più quotate in Italia per la progettazione di vetrine, pop up e interni di negozi: dodici professionisti interni fra cui architetti, ingegneri e designer e un nutrito gruppo di free lance, in grado di realizzare progetti anche molto ambiziosi in tutto il mondo.

 

Com’è andato questo anno a dir poco anomalo?

 

Posso dire che abbiamo avuto un fatturato migliore del 2019, pur essendo stati quasi fermi per due mesi. In che modo? Abbiamo trasformato il problema in una risorsa, investendo in formazione, migliorando i processi interni e organizzando nuove partnership a livello mondiale, sia per stare al passo con un mercato sempre più veloce, sia per anticipare i tempi ed essere pronti in caso di successivi lockdown, che poi si sono presentati. Molti operatori del settore lamentano perdite e parlano continuamente di tagli di budget, ma un’ottica di più ampio respiro potrebbe rasserenare gli animi: il mercato non si può fermare e le perdite di pochi mesi non possono pregiudicare il lavoro di anni.

 

La moda non si ferma mai, dunque?

 

“Noi produciamo per tutto il mondo e allestiamo in Italia, Europa e Middle East. Il fashion system – soprattutto nel segmento lusso – ha continuato a fare grandi numeri anche in lockdown grazie all’online, ma store e vetrine sono il primo biglietto da visita dei brand e parte integrante della comunicazione. In un anno difficile come questo abbiamo lavorato per le Hawaii ad esempio, e stiamo collaborando alla ripartenza del Luxury Department Store Aïshti Downtown, uno spazio di 25mila metri quadrati situato nel cuore di Beirut, devastato dall’esplosione del 4 agosto. La moda non si è fermata nemmeno lì”.

 

Da poco l’annuncio di Etro Home proprio sull’apertura a Beirut. Una città diversa dall’idea che ne abbiamo noi italiani?

 

“Quella che Beirut ha vissuto con l’esplosione del 4 Agosto al porto – centro pulsante della città e dell’intero Paese – è stata una tragedia assoluta, che si è aggiunta al default economico del novembre 2019. A parte le vittime dirette, peraltro, i malati di Covid concentrati fino a quel momento nei due principali ospedali cittadini, non lontani dal luogo del disastro, sono stati spostati in altre strutture e da allora l’epidemia ha cominciato a crescere anche nel Paese dei Cedri. Detto questo, i problemi del Libano sono nati molto prima ma non hanno fermato lo sviluppo di una città meravigliosa come Beirut, in cui hanno saputo crescere e prosperare realtà come Aïshti, catena di store del lusso in Libano, Giordania, Bahrain, Kuwait ed Emirati, nonché principale distributore di grandi brand in tutto il mercato mediorientale. Dal 2002 lavoriamo con l’imprenditore geniale che ne ha fatto la fortuna, Tony Salamè.

 

Com’è nata questa liaison fra Bologna e il Medioriente?

 

Il nostro tramite fu Andrea Bonaveri, patron dell’omonimo colosso mondiale dei manichini. Fino a quel momento il nostro cliente più importante era stato il Gruppo La Perla, per cui siamo stati responsabili immagine worldwide per quasi 10 anni. Lavorando con Salamè in Medioriente abbiamo avuto la possibilità di far conoscere il nostro lavoro anche ai grandi brand del lusso, anche italiani, a cui in Italia non eravamo ancora arrivati.

 

Che 2021 prevede?

 

Le previsioni sono la cosa più difficile al momento. Abitualmente, a ottobre lavoriamo sui budget per l’anno successivo: quest’anno no, quindi ce la giocheremo tutta con il rischio d’impresa. Siamo organizzati per lavorare ovunque e la situazione di incertezza ci ha allenati all’imprevisto. Certo non auspico che l’emergenza divenga abituale nelle richieste dei clienti: non sarebbe sostenibile.

 

A proposito di sostenibilità, il fashion system è accusato di inquinare parecchio. Vede una via possibile per una moda più green?

 

Già una decina di anni fa, AVP proponeva ai suoi clienti un progetto chiamato Ecologicool Window, ma solo più recentemente abbiamo riscontrato una sensibilità adeguata. Anche altri colleghi – come Harlequin Design e Studio XAG – hanno cominciato a studiare progetti in questo senso. Ci sono fasi della produzione in cui la CO2 si può abbattere, ma molte restano altamente inquinanti. La nostra proposta ai clienti è quella di acquistare crediti di emissioni per neutralizzare le emissioni prodotte durante produzione, trasporto e montaggio dei nostri progetti, con l’opportunità di comunicare questo impegno ai propri clienti in vetrina quanto sui vari media.

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