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Francesca Bria: La rivoluzione digitale è anche femminista

francesca bria

Francesca Bria, 40 anni, è presidente del Fondo nazionale per l’innovazione. La versione originale di questo articolo, a firma di Geraldine Schwarz, è disponibile sul numero di Fortune Italia di settembre 2020.

 

 

“La rivoluzione digitale deve anche essere una rivoluzione femminista. La tecnologia e l’innovazione se ben guidate e governate possono essere messe al servizio della società e diventare un’opportunità ed un diritto per molti. Anche per recuperare il gap delle pari opportunità”. Parola di Francesca Bria, 40 anni, da sei mesi presidente del neonato Fondo nazionale per l’innovazione, il più importante strumento di finanziamento per sostenere l’innovazione e il talento. Senior advisor delle Nazioni Unite per le città digitali e smart, negli ultimi anni è stata assessore alle tecnologie e all’innovazione digitale di Barcellona e il suo nome si affianca anche a Nesta, l’agenzia per l’innovazione del governo britannico. È tornata in Italia per mettere le sue competenze al servizio del Paese e ritiene che la ricostruzione post Covid, se ben gestita, possa rivelarsi una grande opportunità per sviluppare una Big Democracy, un nuovo umanesimo digitale.

 

Donne e innovazione. Come vede sviluppato questo binomio in Italia?

 

In Italia abbiamo un forte bisogno di alfabetizzazione digitale. Oltre 10 milioni di italiani non sanno usare Internet e l’Italia è quartultima in Europa nella classifica della Commissione Europea sulla digitalizzazione. Bisogna partire dalle scuole e dalla formazione digitale dei bambini e degli insegnanti nella scuola primaria, che significa formazione STEM (scienza, tecnologia, ingegneria e matematica) e nuove metodologie di apprendimento digitale. C’è ancora un forte gap di genere nel settore tecnologico come d’altronde in tutta la nostra società.

 

Lei si è costruita un ruolo e un profilo legato all’innovazione all’estero. E poi è stata chiamata in Italia a ricoprire il ruolo che ricopre oggi. È casuale o ci vede elementi culturali di un nostro ritardo rispetto all’estero? È contenta di essere tornata?

 

Sono tornata per mettere le mie competenze al servizio del mio Paese e sono contenta perché il Fondo nazionale per l’innovazione, che presiedo, è un progetto dinamico e stimolante che guarda al futuro. Se iniziamo ad investire di più in scienza, talento e giovani, mettendo in campo nuovi progetti green e digitali, credo potremmo attrarre molti altri italiani di talento che ora studiano o lavorano all’estero. La ricostruzione post-Covid, se utilizzata bene, è una grande opportunità.

 

Come donna, da un punto di vista professionale, si è mai sentita nel nostro Paese in una posizione secondaria rispetto ad un uomo? La verità…

 

Sì, credo sia una questione culturale, che bisogna superare. La condizione delle donne in Italia è ancora di forte discriminazione. Le donne sono state anche molto colpite dalla crisi, con smart working ed educazione a distanza, data l’assenza di robuste politiche di conciliazione vita-lavoro. Siamo ultimi in Europa per l’accesso femminile al mercato del lavoro. La differenza fra occupazione maschile e femminile è fra le più elevate d’Europa.
L’Italia è molto in fondo nella classifica Global gender gap del World Economic Forum, anche se ci sono dei miglioramenti con le norme sulle quote di genere nei board e nei cda delle quotate, che possono favorire più nomine di donne ai vertici. Ma ancora nelle posizioni apicali in politica, nelle imprese e nel business ci sono soprattutto uomini.

 

La tecnologia e l’innovazione in questo senso sono democratiche e danno pari opportunità secondo lei?

 

Purtroppo no, e non è solo un problema italiano. Secondo il rapporto dell’Uis (UNESCO institute for statistics) Women in Science le donne oggi impegnate nei settori STEM sono solo il 30%. Inoltre, quelle che riescono a trovare lavoro in questo settore sono pagate meno e hanno molte più difficoltà degli uomini a fare carriera. Bisogna dare più visibilità alle donne, a partire dalle bambine nelle scuole elementari, per invogliarle a cimentarsi in scienza e tecnologia.

 

Oggi è presidente del fondo nazionale di Venture Capital. Come si sta muovendo in questo ruolo? Quali sono le sue linee guida?

 

Il Fondo innovazione ha a disposizione più di 1 miliardo e va visto come una leva per rigenerare il tessuto produttivo e far emergere quello che c’è di innovativo nelle nostre università, nei centri di ricerca, il talento dei giovani imprenditori e ricercatori. Abbiamo già deliberato 100 mln di investimenti, con l’obiettivo di creare 1000 nuove startup con investimenti diretti e indiretti. Abbiamo avviato quattro fondi – uno da 80 mln per startup in fase seed-early stage e uno da 150 mln per le neo imprese innovative del sud Italia; il fondo di fondi Venture Italy di 300 mln, che ha il compito di investire in altri venture capital per allargare il mercato e un fondo dedicato a moltiplicare gli acceleratori di impresa. Poi ne lanceremo altri per il trasferimento tecnologico fra atenei e imprese, e uno di corporate venture capital, facendo leva sulle grandi imprese a partecipazione pubblica o private per investire in startup e acquisire l’innovazione che viene dai nostri talenti imprenditoriali e dai centri di ricerca avanzati. È nostro obiettivo allargare l’ecosistema di innovazione italiano e indirizzarlo verso settori e tecnologie strategiche, per supportare il rilancio del Paese post Covid ad esempio con il co-finanziamento di fondi su biotech e focus su nuove infrastrutture digitali, il 5G, transizione energetica, biomedicale, agritech, spazio, e trasferimento tecnologico. Con il Fondo innovazione l’Italia si sta allineando a quanto di virtuoso si sta facendo in altri Paesi europei, come Francia e Germania. Le startup sono importanti, ancora di più in questa fase, in cui dobbiamo progettare la ripresa in maniera nuova.

 

Quali altri strumenti, pubblici o privati, potrebbero ulteriormente aiutare la nostra crescita?

 

È molto importante colmare il digital divide infrastrutturale. Durante questa pandemia, le infrastrutture di Rete si sono rivelate infrastrutture critiche da cui dipendono i servizi essenziali della società, e quindi il loro accesso va visto come un diritto fondamentale di tutti i cittadini. Bisogna dunque connettere tutto il territorio italiano, aree interne e borghi, dal Nord al Sud, con la banda ultralarga, con una rete in fibra unica, e neutrale. Poi, bisogna anche mettere in campo progetti ambiziosi di innovazione sul 5G, cloud e intelligenza artificiale, riprendendo il controllo democratico sui dati che sono la materia grezza della società digitale e devono essere usati per creare valore pubblico. E infine, è fondamentale investire di più in capitale umano, scienza e ricerca.

 

Quali sono le sfide della società digitale oggi?

 

Bisogna dire chiaramente che questa trasformazione digitale che abbiamo in mente darà più potere ai cittadini e alle comunità, non creerà nuove disuguaglianze e migliorerà le condizioni di lavoro. È una questione centrale nell’agenda politica, in quanto bisogna non solo accelerare la digitalizzazione, ma dargli anche una direzione, perché si tratta di utilizzare le tecnologie digitali per raggiungere la sostenibilità sia sociale che ambientale. Al contrario di quello che si pensa comunemente, io credo che l’Europa abbia una grande occasione per riprendere una leadership sul digitale. Possiamo emanciparci dal modello del Big State cinese e del Big Tech della Silicon Valley e utilizzare il Recovery post-covid per sviluppare un modello di sovranità tecnologica europeo, una Big Democracy che significa un nuovo umanesimo digitale, con una democrazia sui dati, la partecipazione da parte dei cittadini e la tecnologia al servizio della società.

 

La versione originale di questo articolo, a firma di Geraldine Schwarz, è disponibile sul numero di Fortune Italia di settembre 2020. Ci si può abbonare al magazine mensile di Fortune Italia a questo link: potrete scegliere tra la versione cartacea, quella digitale oppure entrambe. Qui invece si possono acquistare i singoli numeri della rivista in versione digitale.

 

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