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Nagel (Aon): Il welfare aziendale ha un’anima ‘glocal’

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Il 60% dei lavoratori preferirebbe ricevere prestazioni aggiuntive di welfare, piuttosto che il controvalore come elemento retributivo. È una delle evidenze contenute dall’ultima ricerca “Health&Benefit” condotta da Aon. “Dalla nostra indagine – spiega Erica Nagel, direttore marketing e comunicazione della società di brokeraggio assicurativo e di servizi di consulenza per le imprese – si conferma che nonostante la pandemia il sistema di welfare aziendale ha tenuto. Non ci sono stati arretramenti, anzi, in particolari settori si è visto un incremento della domanda di welfare aziendale, che oggi ha un posto definito e strutturale nelle politiche di gestione delle risorse umane nelle aziende. L’esigenza di cura delle persone è al primo posto delle attenzioni delle organizzazioni del lavoro”.

Per Aon l’orizzonte di impegno sulle tematiche del welfare aziendale non è cosa recente. Dalla legge di stabilità del 2016 la società ha colto, tra le prime, una nuova area di consulenza e di servizio per le aziende. “Nella preferenza dei lavoratori per le prestazioni di welfare permangono tutti i servizi a sostegno della propria famiglia, come il rimborso delle spese mediche e quello delle spese scolastiche. È sentito anche l’uso dei buoni spesa, sempre fino al limite dei 258 € annui, una soluzione – spiega Nagel – che si inquadra nel momento economico difficile che stiamo attraversando. Il buono spesa è avvertito come più semplice e immediato, una risposta anche emozionale da parte dei lavoratori, anche se per un importo limitato. Le aziende, proprio per questo motivo, continuano a chiederci consulenza, perché è sempre più necessario personalizzare il basket delle offerte da mettere a disposizione dei lavoratori”.

Questo vale anche nella definizione delle convenzioni da attivare sul territorio, per assicurare quella prossimità del servizio/prestazione/consumo che offre un valore aggiunto all’utilizzo dei Flexible Benefits. “Noi siamo una realtà multinazionale, ma con forte vocazione ai territori – aggiunge Nagel – abbiamo una vera anima glocal. Che si tratti di confezionare una scelta di nuovi servizi convenzionati, o di definire una serie di possibili nuovi servizi sanitari aggiuntivi, siamo attenti a trovare le migliori soluzioni nel territorio in cui opera l’azienda e in cui vivono i lavoratori”.

Ovviamente il tema della salute non può non essere uno degli argomenti prioritari nella definizione di un piano di welfare, soprattutto nella condizione di emergenza sanitaria in cui siamo precipitati ormai da un anno. “Un italiano su quattro non ha dato corso alle visite mediche necessarie in questo ultimo anno – ricorda Erica Nagel – per motivazioni diverse, per la difficoltà di prenotazione nel contesto del distanziamento per l’epidemia, ma anche per un crescente problema economico. L’integrazione con i servizi del Ssn costa ogni anno agli italiani circa 40 miliardi di spesa out of pocket. E questo genera quella disparità sociale che un buon piano di welfare aziendale viene un po’ a mitigare”.

Ma tutte le aziende possono permettersi un piano di welfare per i propri dipendenti? O è una prerogativa solo delle grandi aziende? “Noi vediamo un’attenzione crescente anche nelle Pmi – risponde Nagel – sulla centralità delle persone tutti convengono, ovviamente non tutte le organizzazioni possono permettersi le stesse risorse. Welfare aziendale, flexible benefit, strumenti di wellbeing: sono tutte tessere che possono comporre un mosaico su misura delle aziende e dei loro collaboratori. Noi siamo in grado di accompagnare le imprese in questo percorso di scelta. Di certo “la persona al centro” non è più uno slogan o una semplice proposizione di marketing aziendale”.

L’orizzonte delle iniziative del welfare integrato a livello aziendale si inscrive in un inevitabile processo di integrazione della protezione sociale tra l’offerta pubblica e quella privata. “Pubblico e privato devono per forza incontrarsi. Ci vuole il committment delle aziende e una condivisione con la progettualità del pubblico, a livello statale così come a livello regionale – conclude Nagel –. Così come a livello di quel privato sociale, o Terzo settore, che offre opportune integrazioni di servizio sul fronte del caregiving. Dalla politica ci aspettiamo di più. Il mancato rinnovo dei nuovi limiti di deduzione fiscale per i flexible benefit è stato un segnale negativo. Un’occasione mancata. Speriamo che qualcosa cambi. E per questo confidiamo anche nell’azione della nostra associazione di categorie, Aiwa (associazione italiana per il welfare aziendale) della quale siamo soci fondatori”.

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