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Parità di genere, le italiane in California

Anche in California, stato campione della parità di genere e culla della cultura liberal americana, è attiva una Rete Rosa di supporto alle professioniste espatriate che vogliono far carriera in uno dei mercati del lavoro più appetibili (e competitivi) del mondo. La notizia non desterebbe particolare sorpresa – difficile tenere il conto dei network femminili nati ovunque negli ultimi anni – se non fosse per due dettagli non certo marginali: Rete Rosa (https://it.reterosanetwork.com/) nasce su iniziativa dell’italiana Elisabetta Ghisini, navigata esperta di corporate marketing e presidente dei Comites di San Francisco, gli organismi rappresentativi dei nostri connazionali residenti all’estero. E il suo progetto, lanciato appena un anno fa, si rivolge esclusivamente alle italiane che intendono farsi strada negli Usa e far valere il loro diritto alle pari opportunità.

L’appuntamento con il glass ceiling

Insomma, anche nella patria globale dell’emancipazione, dell’affermazione dei diritti e dell’innovazione, le italiane hanno sentito il bisogno di unirsi per rispondere al problema della leadership e non farsi trovare impreparate all’appuntamento col “glass ceiling“, la barriera invisibile che ancora limita le opportunità di crescita professionale delle donne in moltissime parti del mondo. Nel nostro Paese si è poco disposti a credere che negli Stati Uniti le questioni di genere, specie quando si deve conciliare famiglia e lavoro, siano quasi più stringenti che nel Vecchio Continente. Eppure è proprio così, complice uno stato sociale debole e scarsamente protettivo che si sovrappone ai retaggi di una “bro-culture tipica dei club maschili a stelle e a strisce. Un problema, quello della gender diversity, che la pandemia anche qui ha ulteriormente accentuato, tanto a livello di prospettive professionali che salariali.

Il rapporto annuale McKinsey

Come evidenzia il rapporto annuale Mckinsey “Women in the Workplace 2020”, in Usa una mamma lavoratrice su tre ha dovuto accettare un demansionamento oppure l’abbandono del posto di lavoro durante i lunghi mesi di lockdown. E sempre il Covid ha reso ancor più stridente il noto problema del divario salariale: benché la grande maggioranza della forza lavoro femminile Usa, cioè almeno 34 milioni di donne secondo lo U.S. Bureau of Labor, sia occupata in settori giudicati “essenziali” in tempi di pandemia (sanità, istruzione, servizi) queste hanno continuato a guadagnare in media 184 dollari in meno alla settimana del collega uomo, a parità di qualifica e di ore lavorate.

Anche in California la parità non esiste

Ghisini non ha difficoltà a confermare che il suo progetto al femminile si è rivelato tanto utile quanto necessario perché “anche qui la parità non esiste”, taglia corto. “In California, a differenza di altri stati americani – spiega – c’è maggiore sensibilità rispetto le questioni di genere e maggiore apertura verso gli immigrati che sono sempre benvenuti ma entro certi limiti temporali, perché comunque ci si aspetta un’integrazione rapida nella cultura e nei modelli di lavoro del posto”. Per le professioniste italiane che approdano nella West Coast, magari con un curriculum eccellente in mano e con ambizioni di carriera nella Silicon Valley, “le differenze culturali sono penalizzanti e si esprimono – a detta di Ghisini – in molti modi”. Le italiane non hanno generalmente una cultura di partecipazione attiva sul posto di lavoro e spesso manca loro quel “piglio” aggressivo e interventista che invece risulta premiante ai fini di una carriera negli Stati Uniti. Inoltre, sono escluse dagli influenti network universitari di “alumni” e non hanno facile accesso agli eventi che contano come i dibattiti e le conferenze istituzionali, dove raramente figurano tra i “panelist”. In una società storicamente organizzata a livello comunitario e competitiva, come quella americana, “le italiane partono con qualche svantaggio”, osserva Ghisini, giustificando il bisogno di una Rete che, ad oggi, è “l’unico gruppo di networking dedicato alle donne professioniste italiane residenti nella San Francisco Bay Area, fondato insieme ai Comites locali, con il sostegno del Consolato Generale di San Francisco e del Ministero degli Affari esteri”.

Chi vi ha aderito finora?

Inizialmente – risponde – pensavamo di rivolgerci solo a profili “senior”, donne con una carriera già avanzata alle spalle, ma abbiamo rapidamente capito che Rete Rosa sarebbe stata molto utile anche alle tantissime italiane arrivate prima della pandemia e all’inizio del loro percorso professionale, per aiutarle ad adattarsi al nuovo ambiente e a navigare tra gli scogli. Oggi il nostro database conta circa 300 profili, tutti locali, ma la community è molto più ampia poiché ad ogni nostro evento partecipano anche professioniste che non ne fanno parte o che risiedono in altri stati. I profili delle aderenti sono diversissimi ma condividiamo tutte un patrimonio culturale e sfide comuni in quanto donne leader. E il network permette a tutte noi, a prescindere dal settore lavorativo, di creare relazioni sociali significative a scopo professionale.

In cosa Rete Rosa può fare la differenza?

Come tutte le organizzazioni professionali, Rete Rosa agevola le nostre colleghe che vogliono intrecciare relazioni utili e conoscere nuove opportunità lavorative. Le aiuta a districarsi nel labirinto della leadership al femminile, esponendole a nuovi modelli di successo e facilitando il confronto sulle difficoltà che condizionano molte di noi: insieme è più facile trovare soluzioni a queste problematiche. Il Consolato di San Francisco, che è stato uno dei nostri maggiori sostenitori, per esempio, ha già consultato varie volte il nostro database per attingere nomi da inserire in diversi eventi. Il database sarà ancora più utile all’insediamento di un nuovo Console che, per definizione, non può conoscere bene la comunità italiana residente. E’ stata la pandemia, “un colpo quasi mortale per le professioniste con i figli piccoli” – ribadisce Ghisini – ad accelerare un’iniziativa “etnica” che non poteva più attendere visto che anche settori di punta come l’hi-tech, in Usa, soffrono dichiaratamente di sessismo. “Basti ricordare – ci rammenta – che solo l’8% di tutti i CEO americani è donna, che solo il 20% di donne occupano un posto nei Board e che la California è uno dei pochi stati americani ad aver imposto per legge, nel 2018, (n.d.r. dopo l’Italia) una quota rosa nei Cda delle società quotate e residenti legalmente sul suo territorio. Da presidente di un Comites di un grande stato a forte presenza italiana, alla fondatrice di Rete Rosa – che e’ anche Cmo dell’americana ContinuumLab.ai, societa’ di venture capital per startup – non manca certo il polso della situazione…

Con che problemi devono fare i conti le italiane in carriera, a San Francisco e negli Usa?

I problemi sono quelli tipici: mancanza di rappresentatività femminile in ruoli dirigenziali e di modelli di successo in alcuni settori. Tutte le speakers invitate ai nostri eventi hanno ammesso di avere fatto i conti con difficoltà che vanno dal dover lavorare molto di più e dimostrare molte più capacità per ottenere gli stessi riconoscimenti, al fatto di non credere abbastanza in se’ stesse e quindi rinunciare a priori a certe candidature. Veniamo confuse a volte con l’assistente, siamo più esposte al cyber bullismo o criticate in base all’apparenza. Le professioniste italiane negli Usa, in genere, sono ben inserite e apprezzate, ma spesso parlare con un accento resta penalizzante ed esprimere la propria femminilità incide negativamente su come veniamo percepite. Tutte abbiamo sperimentato la dicotomia tra simpatia e competenza: è difficile bilanciare un piglio manageriale con la consapevolezza che più si è considerate competenti, meno si è percepite come persone piacevoli . Le questioni di genere anche in America sono numerose e complesse. “Impensabile risolverle solo con un network”, chiarisce Ghisini. Infatti, “più che i problemi, destinati a durare per un bel po’, a noi interessano le soluzioni, cioè sensibilizzare le professioniste italiane sui cosiddetti comportamenti premianti: come affrontare correttamente le nuove logiche di assunzione e di promozione dell’era Covid, sfruttare a proprio vantaggio le dinamiche competitive femminili, combattere gli stereotipi di genere, in azienda o nei media, o come ribaltare i pregiudizi che tuttora portano a escludere dai dibattiti i nomi di donne protagoniste nei loro settori”. Rete Rosa oggi può contare solo su pochissime risorse volontarie. Ma la qualità delle iniziative sinora organizzate e la determinazione delle aderenti a giocare pragmaticamente la carta della soluzione (invece della rivendicazione) fa prevedere una veloce espansione dell’orizzonte geografico del network…Verso la East Coast e, magari, l’Italia.

Rapporto della società di consulenza McKinsey

https://www.mckinsey.com/featured-insights/diversity-and-inclusion/women-in-the-workplace

Studi su gender gap e divario salariale:

https://www.census.gov/library/stories/2021/03/unequally-essential-women-and-gender-pay-gap-during-covid-19.html

https://www.census.gov/library/stories/2021/03/unequally-essential-women-and-gender-pay-gap-during-covid-19.html

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