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Smart working, cosa fare degli spazi aziendali inutilizzati?

ufficio smart working lavoro

Se il latino fosse ancora la lingua universale, parleremmo di “genius loci”. Visto che a essere universale è l’inglese, Daniele Di Fausto, ceo di Efm, preferisce spiegarsi con “engaging places”: “Lo spazio, la sua gestione, la sua organizzazione, ha un ruolo importante nel cambiamento. I luoghi hanno una loro intelligenza. E il cambiamento innescato dalla pandemia è destinato a modificare molte abitudini, con l’obiettivo costante di utilizzare lo spazio come leva del benessere delle persone che lavorano”.

Ed ecco individuato l’incrocio meno prevedibile del welfare – aziendale e non solo, anche e soprattutto di territorio – con il mercato immobiliare. Efm è una società attiva da più di quindici anni, per la gestione e la riorganizzazione del patrimonio immobiliare delle grandi aziende. Sono clienti Eni, Enel, Ferrovie dello Stato, Leonardo… Ma a questo elenco si sono aggiunte nel tempo nuove tipologie di aziende, seguendo l’evoluzione del business e di una intuizione.

“Ben prima della pandemia abbiamo stimato che il 50% degli spazi utilizzati dalle sedi operative delle aziende era sostanzialmente inutilizzato, o almeno ampiamente sottoutilizzato. Dopo il Covid la percentuale è cresciuta oltre il 70%”, racconta Di Fausto. E aggiunge: “Prima che scoppiasse l’emergenza sanitaria abbiamo avuto un’intuizione e ci siamo dotati di uno strumento che ci ha fatto cambiare radicalmente la nostra attività. Nel 2016 abbiamo realizzato una piattaforma, MySpot, che funziona più o meno come l’App di AirBnb. E nel 2018 questa App è diventata funzionale all’idea di una startup nata al nostro interno, che scommetteva sulla gestione della città come luogo di lavoro diffuso”.

L’esplosione dello smart working – o della sua versione durante la pandemia: remote working – ha imposto l’esperienza maturata in anticipo da Efm attraverso la piattaforma MySpot.

“La piattaforma ha consentito di incrociare le esigenze di razionalizzazione degli spazi aziendali o commerciali con i provider e i fornitori che offrivano strumenti e soluzioni più idonee per ottimizzare l’uso degli spazi. Solo il 5% dei luoghi di lavoro è destinato alla socializzazione, al dialogo, al confronto. Ed è paradossale, visto che l’80% del valore aggiunto di una impresa nasce proprio dall’attività creativa e intellettuale prodotta dall’incontro”.

Di Fausto traccia della sua impresa un profilo che scavalla dalla consulenza aziendale – “lavoriamo spesso con tutte le Big Four” – alla gestione e organizzazione del design e dell’architettura degli interni. Un prezioso ircocervo che nel 2020 ha fatturato poco meno di 30 milioni di euro (nel 2019 era a 22 milioni) e conta 360 collaboratori, con sedi e business in Germania, Stati Uniti, Brasile.

“L’obiettivo triennale, entro il 2024, è quello di fatturare 70 milioni, con il 50% del lavoro prodotto all’estero e con un equilibrio tra le due vocazioni, consulenziale e ingegneristico” continua Di Fausto. E precisa: “La differenza viene dalla digitalizzazione. La sharing economy ha trasformato l’economia tradizionale e la mobilità in particolare, da quando è stato possibile introdurre la chiave digitale, quella che ci consente di aprire e avviare una vettura o di utilizzare una bicicletta o un monopattino. Lo stesso strumento, la chiave digitale, è quello che ci proietta nella sharing economy dello spazio immobiliare”.

E non è semplice coworking. Daniele Di Fausto ha un claim e una certezza: “Dagli headquarter aziendali stiamo arrivando a costruire degli hubquarter multiaziendali. Non si tratta di creare nuove realtà immobiliari dove convogliare i lavoratori che non possono più lavorare da casa e non vogliono andare nella sede aziendale se non per due-tre giorni alla settimana. Ci sono molte grandi aziende che hanno spazi da mettere a disposizione per attività interaziendali. E qualcosa si sta già facendo”.

Il Covid ha reso tangibile la possibilità di lavorare al di fuori delle aziende; con molte difficoltà, per chi si è trovato catapultato in cucina o nel salotto di casa: ma con una nuova libertà e una possibilità di crearsi nuove sorgenti di contaminazione intellettuale, oltre l’azienda, oltre il capoufficio, oltre il dirigente che l’impresa ha a disposizione.

L’innovazione digitale rende possibile la gestione a distanza di molti strumenti di razionalizzazione.

“Vale anche per l’evoluzione degli spazi commerciali – aggiunge Di Fausto – dove l’acquisto non è l’unica attività possibile. Lo shopping store diventa luogo di esperienza e di incontro. Chi renderà più attrattivi i propri luoghi, più ne beneficerà con le vendite”.

E questo vale anche per l’attrattività dei luoghi di lavoro. Una nuova leva di retention oltre ai benefit del welfare aziendale tradizionale. Gli spazi di lavoro condiviso in azienda possono diventare occasione di eventi, incontri, esperienze, che aggiungono attrazione e motivazione al lavoratore.

Formazione/educazione, salute e lavoro sono le tre parole che guidano il cambiamento e che devono qualificare i nuovi spazi delle organizzazioni. Se non è “new normal” è almeno “next normal”. E il welfare abiterà lì.

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