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Imprese, si punta sempre di più sul digitale: +4% investimenti nel 2022

investimento digitale

Il 2020 è stato l’anno d’oro della digital transformation. Un tornante storico a livello globale per le aziende di ogni settore, che hanno dovuto ripensare le proprie dinamiche interne alla luce della fortissima spinta alla modernizzazione impressa dalla pandemia. Le imprese, soprattutto, hanno dovuto ridefinire le priorità di investimento, dando più spazio agli investimenti nel digitale.

Un trend dunque innescato dalla Covid, ma destinato a sopravviverle e a modellare il futuro delle imprese. Lo dicono i risultati di due importanti survey: quella di Aruba Enterprise e CIONET Italia, svolta su un campione di più di 230 aziende italiane; e la ricerca degli Osservatori Startup Intelligence e Digital Transformation Academy della School of Management del Politecnico di Milano, che ha coinvolto oltre 1800 tra Chief Innovation Officer e Chief Information Officer, Amministratori Delegati e C-level di PMI, fondatori di startup italiane, Innovation Manager e responsabili R&D.

Digital first, anche in futuro

Il giudizio sul futuro degli investimenti nel digitale è unanime da ambo le parti: il 61% delle imprese italiane (quindi 3 su 5), ritiene che siano destinati a crescere nel corso dei prossimi anni. E infatti, nel 2022 quasi la metà delle imprese – grandi e Pmi – aumenterà il budget ICT. Le previsioni sono quindi di una crescita di investimento superiore al 4%, scavalcando così il rallentamento registrato nel 2021 (+0,9%). Gli investimenti ICT delle grandi imprese nel 2022 si concentreranno soprattutto su sistemi di Information Security e su sistemi di Business Intelligence, Big Data e Analytics.

La ricerca di Aruba-Cionet illustra anche le possibili conseguenze della svolta digitale, secondo il campione. Il primo e principale beneficio, dicono gli intervistati, sarà la valorizzazione delle risorse umane e il passaggio verso una gestione aziendale più dinamica e reattiva. Ancora, la possibilità di alternare lavoro in presenza e lavoro in smart, insieme ad un’organizzazione meno gerarchica, che significa meno “capi funzione”, più responsabili di processo e progetto.

La transizione digitale, quindi, sembrerebbe aprire la porta ad un modello più incentrato sulle risorse umane. Tuttavia, secondo gli intervistati, il reparto HR risulta essere attualmente tra quelli meno coinvolti dal processo. Al contrario, il 63% degli intervistati ritiene che l’area di business maggiormente impattata dalla Digital Transformation è il reparto IT, per via del ruolo centrale nel rivedere e digitalizzare i flussi di gestione degli altri reparti e della loro centralità per gestire il business. I servizi Trust, in particolare, stanno intervenendo in maniera massiccia sui processi organizzativi delle aziende agevolando il processo di dematerializzazione e digitalizzazione (parliamo perlopiù di soluzioni di gestione di processi approvativi e firma, servizi di identità e conservazione digitale).

Ma dal Politecnico arriva un pronostico alternativo: le aziende stanno allargando le maglie del budget per l’innovazione digitale anche a settori diversi dal solo ICT. Più della metà delle grandi imprese lo fa già, e verso questa direzione andranno in breve tempo anche le piccole e medie imprese. Segno, questo, di una spinta a uno sviluppo diffuso dell’innovazione nelle organizzazioni.

Le novità degli investimenti nel digitale

L’aumento di investimenti nel campo dell’innovazione digitale porta con sé due importanti novità. La prima, è la ridefinizione da parte delle aziende di una governance efficace, capace cioè favorire un processo di cultura digitale. Per questo il 39% delle grandi imprese è già alle prese con la strutturazione di una “Direzione Innovazione”. Un salto di qualità indispensabile, che però stenta ancora a prendere piede nelle Pmi. Si registra inoltre una sempre maggiore diffusione della Corporate Entrepreneurship, attività volta a creare stimoli imprenditoriali nella popolazione aziendale (che si traduce in formazione su competenze digitali e imprenditoriali).

La seconda novità riguarda invece la “open innovation”, ovvero l’esigenza di individuare i meccanismi per stimolare l’ecosistema esterno di innovazione. Ad oggi, l’81% delle grandi aziende italiane adotta azioni di open innovation, attraverso collaborazioni con università e centri di ricerca, azioni di startup intelligence, o azioni di partner scouting con imprese consolidate. Anche qui si nota una disparità tra le grandi e le piccole e medie imprese: mentre il 49% delle grandi imprese già collabora attivamente con startup, per le PMI questo è un approccio ancora poco diffuso.

La digitalizzazione è necessaria, ma non convince tutti (per ora)

È stato più volte e da più parti ribadito come questo salto in avanti sia di fatto imprescindibile per le aziende. Basti pensare che il Pnrr vincola alla transizione digitale la maggior parte dei propri fondi. Con grande soddisfazione delle imprese, peraltro, visto il 69% delle grandi aziende ritiene che il Piano sia effettivamente utile per la propria organizzazione e l’80% che lo sia in generale per supportare il Paese.

Ma questo non basta a vincere le remore di tutti. Lo spiega bene l’indagine di Aruba, facendo luce sugli ostacoli che rallentano l’avvio del percorso di Digital Transformation all’interno delle aziende italiane. Il problema principale, per oltre la metà degli intervistati, è il dato culturale. Accanto, la complessità dei processi organizzativi, insieme ai costi e tempi di implementazione delle soluzioni. Sfiducia nella capacità di introiezione del cambiamento da parte degli individui, e nella rapidità con cui gestire i grandi cambiamenti che porterà l’innovazione, quindi. Dall’altra parte però grande fiducia nella capacità di adattamento dei dipendenti: quasi nessuno si è detto preoccupato dalla mancanza di competenze digitali in seno alle aziende.

I benefici della digitalizzazione, ormai è noto, sono parecchi. Il primo e principale, come emerge da queste analisi, è la semplificazione dei processi aziendali ed il conseguente aumento di flessibilità. Il che rende la transizione una leva fondamentale per la crescita e la competitività a livello globale.

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