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Perché Tim è un rebus difficile da risolvere

tim telecom 5g

La società che ha in mano una delle principali infrastrutture del Paese è al bivio tra l’offerta Kkr e il piano di scissione autonoma in due società. Intanto, c’è il problema enorme del debito dimenticato. La versione completa di questo articolo è disponibile sul numero di Fortune Italia di febbraio 2022.

LA SITUAZIONE È TALE che ci sarebbe da sperare che l’Opa di Kkr su Tim vada in porto, amichevole o no che sia. Per lo meno farebbe un po’ di chiarezza nell’azienda. Con un azionista unico a capo della società, un progetto di scorporo della rete, vero, sul modello di quello a suo tempo fatto con Terna, ma anche un gruppo di manager capaci e non troppo addentro alla politica italiana, l’operazione potrebbe risultare utile a rivitalizzare la società.

E, invece, con molta probabilità gli amministratori di Tim la lasceranno cadere, magari dopo averla tenuta in stand by per qualche tempo. Il tempo necessario a Pietro Labriola, nuovo amministratore delegato (al suo posto in Tim Brasil è arrivato Alberto Mario Griselli), per mettere insieme le linee di un progetto analogo: separazione in due del gruppo, una Tim servizi e una Tim per la rete, entrambe quotate, che una volta approvata dal consiglio di amministrazione sventi l’Opa fatta dagli americani e riesca a convincere gli azionisti Vivendi, la Cassa depositi e prestiti e i grandi fondi.

Pietro Labriola, nuovo Ad di Tim – Foto Courtesy Tim

 

La girandola delle nomine

Sei amministratori delegati in un decennio. Idee, piani e strategie sempre freschi, ma che hanno seguito tutti la stessa strada: cestinati con i loro ideatori dopo qualche mese. È il segno di soci meteoropatici oppure nel colosso delle comunicazioni italiane c’è un lato oscuro che nessun manager, italiano o straniero che sia, è in grado di risolvere?

La domanda potrebbe essere fittizia, in un periodo di cambiamenti per i vertici aziendali e dopo le prime indiscrezioni sulle nuove mirabolanti strategie di spacchettamenti e valorizzazioni degli asset, che il primo gruppo italiano delle comunicazioni intende affrontare. Ma non lo è.

Tim controlla una delle principali infrastrutture che fanno il Pil del Paese e dal suo stato di salute dipendono servizi oramai divenuti quasi esistenziali per imprese e consumatori, tanto più necessari in questi anni di pandemia da Covid 19. Interrogarsi sullo stato di salute della società è legittimo. Le tre revisioni al ribasso delle stime di crescita, annunciate in un solo anno dall’ex Ad Luigi Gubitosi, dopo anni di vacche magre, portano a chiedersi se Tim rischi di imboccare una strada simile ad Alitalia, “di un lento ma inesorabile declino”, come dice preoccupato un sindacalista del settore che ha chiesto di rimanere anonimo.

Tim: il debito dimenticato

Come la ex compagnia di bandiera, Telecom ha un problema enorme. Il debito lasciato in eredità dalla scalata dei capitani coraggiosi agli inizi del secolo. Da allora non è stato adeguatamente accudito, visto che non si è riusciti a scalfirlo durante quindici anni di bassi tassi di interesse e, negli ultimi sei anni, addirittura negativi. E ora che si intravedono i rialzi che succederà?

Secondo Marco Mencini, Senior portfolio manager di Plenisfer investments, nel settore delle telecomunicazioni “la leva finanziaria sembra destinata a raggiungere un livello record di 2,9 volte nel 2022”. Ma per l’agenzia di rating Fitch, i multipli finanziari elevati sono una caratteristica del mercato dei servizi telefonici, soprattutto per le aziende che hanno fatto acquisizioni. Anche se Telecom, per mantenere il proprio merito di credito a BB+, ha pochi spazi di manovra visto che ha già un rapporto fra debito e flussi di cassa di 4,1 volte, secondo Fitch.

Questo significa che l’eventuale acquisizione da parte di Kkr o la ristrutturazione che deciderà il management non dovranno aggiungere debito, pena conseguenze negative e revisioni al ribasso del rating.

Tim ha certamente spalle larghe, l’anno scorso ha beneficiato di un aumento di capitale voluto nel 2020, dal governo Conte. Una rivalutazione degli asset societari, non solo per Tim, che ha lasciato un bonus fiscale da 6,6 mld nei bilanci. Insieme agli altri operatori la società sta trattando con il governo il rinvio del saldo, da 1,7 mld, da pagare a settembre per l’acquisto delle licenze 5G. Quindi nel breve la società non corre pericoli, anche perché i ricavi calano ma nel complesso tengono. Ma è pur sempre vero che il gruppo si muove in un mercato fra i più complessi e competitivi.

I ricavi medi per cliente di Tim, secondo l’Agcom, sono intorno ai 30 euro mensili, contro i 60 dollari incassati dagli operatori negli Stati Uniti. L’Italia, poi, è forse l’unico Paese al mondo dove il governo abbia promosso la realizzazione di una seconda società della rete, Open Fiber, per spingere il monopolista ad accelerare l’ammodernamento dell’infrastruttura creandogli non poche difficoltà.

Telecom Italia, ricorda ancora il report di Fitch, ha recuperato solo la metà “dell’impatto finanziario causato dall’entrata sul mercato italiano dell’operatore francese low cost Iliad e della società a promozione pubblica Open Fiber”. L’integrazione con Open Fiber e la creazione di una sola società della rete indipendente (collocata in borsa come Terna o Snam) che possa essere centrale nelle strategie di Kkr e dell’Ad Labriola, “fatta insieme a una ristrutturazione che tagli i costi, che completi la rete in fibra”: sono tutti elementi che, secondo Fitch, “potrebbero portare a incrementi di valore” nella compagnia telefonica italiana.

La versione completa di questo articolo è disponibile sul numero di Fortune Italia di febbraio 2022. Ci si può abbonare al magazine di Fortune Italia a questo link: potrete scegliere tra la versione cartacea, quella digitale oppure entrambe. Qui invece si possono acquistare i singoli numeri della rivista in versione digitale.

 

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