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Startup e innovazione, questione di impatto e crescita

Startup e innovazione. Un binomio che nella mente di molti è indissolubilmente legato alla componente tecnologica. Un assunto vero a metà, perché nel nostro Paese, l’innovazione introdotta da molte startup affonda le proprie radici nella solida base della tradizione economico-culturale italiana, ne attualizza i processi produttivi rispondendo alla richiesta del mercato di oggi con la medesima qualità di ieri.

Parliamo di una specie di ‘bottega 4.0’ che, essendo carente di quella componente “ad alto contenuto tecnologico” non consente a queste nuove imprese di essere ritenute innovative e quindi inserite nel Registro tenuto dal Mise che a fine 2021 contava circa 14000 startup innovative.

Un registro che (ci) permette di monitorare e misurare l’andamento di questo comparto e il suo impatto sull’economia del Paese, così come quello degli strumenti posti in campo dal Governo per supportarlo.

L’impatto, quindi, come discriminante: ciò che determina il successo o il fallimento di un investimento. Ed è ciò su cui vorrei soffermarmi oggi.

Vorrei farlo, partendo da quelle 14.000 startup a cui accennavo prima. Un dato non da poco se pensiamo che la Francia, che ha un tessuto imprenditoriale simile al nostro e che ha intrapreso la strada di supporto e incentivo alle startup nel 2012 come noi, ne registra 19.000 (dati French Tech) ed è ormai considerata un startup nation.

Perché l’Italia, invece, non può considerarsi (ancora) una startup nation?

A causa di due problemi: l’impatto delle nostre startup e la loro capacità di crescita. Una realtà che emerge anche dall’ultima Relazione annuale al Parlamento presentata dal MiSE su dati del 2020.

Proviamo ad analizzare alcuni dati, così da provare a capire cosa intendo.

Impatto – nel 2020 le nostre startup hanno registrato una produzione aggregata di circa €1,7mld, eppure il 60% di queste imprese ha un fatturato inferiore a €100.000 e contribuisce a circa l’8% della ricchezza complessiva. Un problema che si ripete anche in ambito scaleup, solo l’8,6% supera un fatturato di €500.000 e di queste, quelle che arrivano a €1mln sono solo il 3,7%.

Crescita – A fine 2020 erano presenti in Italia erano 261 scaleup (circa il 2,7% di quelle presenti in Europa) e 6 scalers capaci di raccogliere €2,7mld di capitali. Un dato in crescita, tuttavia, ma ancora lontani dagli standard europei, circa 1/3 di quanto fatto dalle omologhe spagnole (407 scaleup), 1/10 dei risultati ottenuti in Germania (865) e, per l’appunto, in Francia (1.216).

Cosa si evince da questi dati?

Che gli italiani non hanno paura di credere, perseguire e investire nelle proprie idee (per tale motivo abbiamo un tessuto imprenditoriale caratterizzato da PMI) e ciò spiega la crescita esponenziale del numero di startup registrato negli ultimi anni; tuttavia il Sistema Italia non ha imparato a credere in questo settore e ha, invece, sviluppato una specie di “avversione al rischio di investimento” sia a livello pubblico che privato.

Difatti, nonostante le politiche incentivanti adottate dal Governo negli ultimi anni, degli 8900 investimenti avviati a livello privato sulle startup, oltre il 70% registra cifre inferiori a €10.000.

E lo Stato? Finora non è stato da meno, se ragioniamo con le dovute proporzioni.

Qualche giorno fa il ministro dello Sviluppo Economico ha annunciato lo stanziamento di 2,5mld per le startup: bene ma non benissimo se pensiamo che la sola Bpifrance (Banca pubblica di investimenti francese) ne ha stanziati 5,4mld di euro.

In effetti, gli investimenti pubblici sono troppo esigui se si vuole davvero creare un ecosistema stabile, forte e competitivo.

L’Italia dimostra, ancora una volta, di non essere in grado di muoversi con una direzione univoca al fine di creare le condizioni più agevoli per raggiungere i risultati delineati: decide di investire sulle nuove imprese ma non semplifica la burocrazia, definisce gli strumenti di incentivazione alla nascita, ma non il determinante supporto alla crescita di queste nuove imprese.

Abbiamo un’occasione per invertire il trend nei prossimi anni avremo due strumenti a nostra disposizione, il Pnrr e il Next generation Eu, che dovremo utilizzare come testa di ariete per creare un ecosistema di startup snello e agile che sia di reale supporto all’innovazione e alle imprese. Solo così anche l’Italia inizierà a festeggiare i propri unicorni totalmente italiani e inizierà la salita verso la trasformazione in startup nation a cui ambisce.

Pensiamo in grande, perché l’unico modo per cambiare il nostro approccio al rischio è iniziare a rischiare.

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