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Il grafene 3D, una rivoluzione per l’idrogeno

Il grafene ha il potenziale per aumentare le capacità di stoccaggio: la ricerca del Cnr. La versione originale di questo articolo è disponibile sul numero di Fortune Italia di aprile 2022.

Nel 2010 due scienziati russi emigrati a Manchester, Andrej Gejm e il suo studente Konstantin Novosëlov, hanno ricevuto il premio Nobel per la Fisica per essere riusciti a isolare il grafene. Questo, ‘nuovo materiale’, descritto dal comitato di Stoccolma come il primo a due dimensioni, è il più sottile e resistente in natura, leggero eppure densissimo, praticamente trasparente e flessibile. È formato da un elemento molto comune, il carbonio, ed è un buon conduttore di elettricità.  Insomma i due studiosi russi,  avevano scoperto un tesoro.  Schermi flessibili, smartphone, device indossabili, sensori tecnologici di incredibile precisione ma anche batterie flessibili e produzione di energie verdi. Solo una parte di ciò che può nascere dal grafene. Per questo, da una decina d’anni, sulla scena scientifica e innovativa internazionale il grafene è il wonderful material e l’obiettivo delle numerose ricerche che lo vedono protagonista è portarlo dai laboratori alle applicazioni. I limiti e le maggiori difficoltà si incontrano quando è necessario produrlo in grandi quantità pur mantendolo di qualità elevata con tutte le sue proprietà al massimo potenziale.

Un passo in questa direzione è stato appena compiuto da un team di ricercatori dell’Istituto nanoscienze del Cnr (Consiglio nazionale delle ricerche) che ha realizzato grafene di alta qualità con una struttura tridimensionale, che potrebbe aumentare la capacità di stoccaggio dell’idrogeno e la precisione di sensori chimici. Il nuovo materiale che hanno identificato gli scienziati presso il Laboratorio Nest della Scuola Normale di Pisa e dell’Università tecnica di Vienna, in collaborazione con l’Università di Anversa, è il cosiddetto Grafene 3D e si presenta come lo scheletro di un cristallo, con appunto tre dimensioni, ricoperto di grafene. Questo – come spiegano dal Cnr Nano – potrebbe diventare molto utile in tutta una serie di applicazioni che beneficiano di un elevato rapporto superficie volume, perché grazie a questa struttura a tre dimensioni, si amplia la superficie disponibile dove far crescere grafene, anche in un volume molto piccolo. “I materiali bidimensionali, in primis il grafene, offrono la possibilità di sviluppare dispositivi con caratteristiche uniche”, spiega Stefano Veronesi di Cnr-Nano e primo autore dello studio pubblicato sulla rivista Carbon.

“La loro natura bidimensionale è però un fattore limitante per molte applicazioni che hanno bisogno di grandi superfici attive, come lo stoccaggio e la rilevazione di gas, la realizzazione di supercondensatori ed elettrodi per batterie. Per questo riuscire ad assemblare grafene in tre dimensioni senza perdere le sue eccezionali proprietà è una sfida aperta della ricerca scientifica”.

Con una competenza molto avanzata, gli studiosi del team dell’Università di Vienna, coordinati da Stefan Heun di Cnr-Nano e Ulrich Schmid hanno ottenuto la prima crescita di uno strato di grafene su uno ‘scheletro’ cristallino tridimensionale, combinando una serie di tecniche avanzate di lavorazione dei materiali. Il blocco di cristallo è diventato poroso e grazie a un processo elettrochimico, in una seconda fase i ricercatori del Cnr Nano del Nest (National Enterprise for Nano Science and Neurotechnology) della Normale di Pisa sono riusciti a ricoprirlo di grafene con la tecnica della crescita epitassiale che permette di sviluppare un materiale sopra un altro. In tal modo strati di grafene di alta qualità hanno ricoperto l’intricata superficie della nanostruttura 3D. In soli 20 micron (micron è un millesimo di millimetro) di materiale poroso si ottiene una superficie utile 200 volte superiore a quella del materiale solido perché il grafene cresce anche all’interno dei pori.

Il risultato è una organizzazione tridimensionale di grafene con un elevato rapporto superficie-volume. “Questo ci ha permesso di ottenere grafene di alta qualità in maggiore superficie, concentrato in poco volume – spiega Stefano Veronesi – Siamo in una fase iniziale della ricerca, adesso andremo a studiare l’efficienza di stoccaggio di idrogeno sul campione poiché è possibile immagazzinare idrogeno su una superficie di grafene, maggiore è la superficie e maggiore è la quantità di idrogeno accumulabile”. L’ampia superficie è un vantaggio decisivo anche per aumentare le prestazioni degli elettrodi nelle celle a combustibile, in batterie di nuova generazione, per la produzione di idrogeno assistita dalla luce solare (il cosiddetto solar Hydrogen) e nei sensori chimici, ad esempio per rilevazione di sostanze rare nei gas.

La versione originale di questo articolo è disponibile sul numero di Fortune Italia di aprile 2022. Ci si può abbonare al magazine di Fortune Italia a questo link: potrete scegliere tra la versione cartacea, quella digitale oppure entrambe. Qui invece si possono acquistare i singoli numeri della rivista in versione digitale.

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