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Beyoncé e Serena Williams: la lezione delle mamme di successo

È passata poco più di una settimana da quando Serena Williams ha annunciato il suo ritiro dalla carriera sportiva e io sono ancora scossa. Non appena ho letto che Olympia, sua figlia di 4 anni, le ha chiesto una sorellina o un fratellino, ho iniziato a piangere perché ho capito immediatamente cosa questo implicasse: la fine dell’illustre carriera tennistica della Williams. Il mio cuore si è spezzato quando ho continuato a leggere e ho capito che nemmeno lei ne fosse esattamente entusiasta.

In un accorato saggio per Vogue, Williams ha scritto: “Credetemi, non ho mai voluto dover scegliere tra il tennis e una famiglia. Non credo sia giusto. Se fossi un ragazzo, non lo scriverei perché sarei là fuori a giocare e vincere mentre mia moglie fa il lavoro da madre. Forse somiglierei di più a un Tom Brady se avessi questa opportunità”.

È qualcosa che ho sperimentato anch’io. Quando io e mio marito ci siamo sposati, avevo 27 anni e ho deciso che avrei aspettato fino a 30 anni per mettere su famiglia perché non volevo mettere in pausa la mia carriera. A quel tempo, ero responsabile delle relazioni con i media in un’organizzazione no profit locale e volevo ottenere un ruolo a livello di regista (con il conseguente aumento di retribuzione) prima di prendermi una pausa per mettere al mondo e poi crescere un figlio.

Poi, mentre sul calendario si avvicinava quella data, quel compleanno importante, ho iniziato a ripensarci, incerta di voler rinunciare alle mie ambizioni personali e professionali per mettere su famiglia. Sembrava ingiusto che mio marito non dovesse considerare lo stesso compromesso. La femminista che c’è in me era furiosa. C’era ancora così tanto che volevo raggiungere in ambito professionale, e non avevo visto e sentito altro che storie dell’orrore su come la maternità avrebbe alterato le mie ambizioni.

Poi ho trovato modelli da seguire in donne come Williams e Beyoncé, donne che ammiro e che adesso si destreggiano con successo tra carriera e maternità. Certo, io non faccio il tutto esaurito nelle arene e non ho milioni di persone che guardano attente ogni mia mossa. Ma ho imparato molto su come possano essere la maternità e l’ambizione sulla base dei loro esempi.

Dopo tutto, la “Queen Bey” è stata la protagonista indiscussa del Coachella, portando sul palco probabilmente la migliore performance della sua carriera, un anno dopo aver dato alla luce due gemelli. La Williams ha vinto il suo 23esimo titolo del Grande Slam proprio mentre era incinta di Olympia.

Queste donne ce la stanno chiaramente facendo a conciliare le due cose (anche se hanno sicuramente molto più aiuto nel farlo rispetto al genitore medio). Eppure l’annuncio del ritiro della Williams mi ha lasciato come un senso di sconfitta. Se Williams non può avere tutto, allora che speranza ho io, una comune mortale, di ottenere lo stesso? Mi ricordo quella frasi di Michelle Obama che una volta disse: è impossibile avere tutto, almeno allo stesso tempo. Ma è irritante dover scegliere.

All’inizio di quest’estate, ho letto ‘Ambitious Like a Mother: Why Proritizing Your Career Is Good for Your Kids’ dell’autrice e professoressa di diritto Lara Bazelon. Il titolo da solo mi ha fatto tirare un sospiro di sollievo. Quando è nata mia figlia ero in congedo di maternità autoimposto dalla scrittura freelance a tempo pieno ed ero preoccupata per l’impatto che avrebbe avuto il ritorno al tradizionale 9-5 ore lavorative al giorno mentre ero anche impegnata a scrivere il mio primo libro.

In un capitolo sull’accettazione dello squilibrio, Bazelon ha scritto di come Pamela Metzger, direttrice del Criminal Justice Reform Center della Southern Methodist Law School in Texas, l’ha rassicurata: “I tuoi figli lo capiranno, lo prometto”.

“I nostri ragazzi ci guardano sempre, anche quando non siamo con loro”, ha continuato Metzger. “E non stiamo scegliendo il nostro lavoro rispetto ai nostri figli. Il mondo che vogliamo per i nostri figli deve essere costruito, mattone dopo mattone“.

Così sto costruendo, mattone dopo mattone. O, nel mio caso, parola dopo parola, un mondo migliore, più vario ed equo, non solo per mia figlia, ma per le generazioni future. E questo richiederà molto lavoro. Significherà anche il mancato incontro scuola-famiglia, la gita o la festa di compleanno.

Diamine, ho già perso un appuntamento dal dottore e la “notte del rientro a scuola” all’asilo. E per “mancato”, intendo che il mio altrettanto competente marito ha tenuto duro per entrambi mentre mi occupavo di questioni di lavoro. E indovina cosa? Tutti sono sopravvissuti, anche se ho sentito un minuscolo senso di colpa perché ci hanno portate a credere che le ‘brave mamme’ siano sempre presenti, sempre attente, sempre lì. Dove con , si intende accanto ai propri figli.

Mi sento in colpa a lasciare mia figlia all’asilo ogni giorno? No, e in effetti mi sono sentita spesso in colpa per non essermi sentita in colpa, come se la quantità di colpa che si provi in un dato giorno fosse una correlazione diretta con le nostre capacità genitoriali.

Ho sogni e ambizioni che sono fuori dalla mia casa (beh, lavoro da casa, ma si capisce cosa intendo), e personalmente credo di essere una mamma migliore per questo. Questo non deve essere affatto inteso come qualcosa di negativo per quei genitori che invece a casa ci stanno. Il mio lungo congedo di maternità non è stato certo una passeggiata.

E anche se non mi illudo di poter avere tutto, sono disposta e sto lavorando per dare tutto sia per la mia carriera che per la maternità poiché le vedo come due parti ugualmente importanti di me, non forze in competizione.

All’inizio di quest’anno, quando ho letto i commenti tratti dal discorso dell’allora candidato alla Corte Suprema Ketanji Brown Jackson sulla maternità mentre allattavo mia figlia, ho tirato un sospiro di sollievo. Durante l’audizione, ha rivolto il seguente messaggio alle sue figlie: “So che non è stato facile perché ho cercato di affrontare le sfide destreggiandomi tra carriera e maternità. E ammetto pienamente che non sempre ho trovato il giusto equilibrio. Ma spero che voi abbiate visto che con duro lavoro, determinazione e amore è possibile.

È possibile. Non sempre lo farò bene, ma darò il massimo. E come hanno dimostrato queste donne, i miei sogni, le mie ambizioni non devono fermarsi adesso che sono madre. Se non altro, la maternità mi ha dato il permesso e la speranza di sognare sogni nuovi e più grandi, come la Williams che entra pienamente nel suo ruolo di fondatrice della sua società di venture capital, Serena Ventures, dove si impegna sul sostegno finanziario delle donne e delle persone di colore. Così, consentendo ad altre donne di colore, alcune delle quali potrebbero anche essere mamme, di realizzare i propri sogni e le proprie passioni.

L’articolo originale è disponibile su Fortune.com

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