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Meno offerte di lavoro, più unicorni: luci e ombre del tech italiano nel 2022

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Luci e ombre del tech italiano: due unicorni in un anno solo (Satispay e ScalaPay) e una capitalizzazione totale che resiste al 2022 delle tensioni economiche e geopolitiche. Ma anche meno posti di lavoro e investimenti più bassi. D’altronde, il 2022 è stato un anno di contraddizioni per tutto il tech europeo, secondo il rapporto del fondo d’investimento Atomico, ‘The State of European Tech: 2022 edition’. Le contraddizioni italiane, dicono gli autori a Fortune Italia, testimoniano le potenzialità del nostro Paese, ma anche le sue fragilità: non è un caso se le offerte di lavoro nel tech italiano sono diminuite.

Il report annuale di Atomico ricorda come si parli di un settore che in Europa è ancora leggermente in ritardo, rispetto a quella di altri ecosistemi, ma che ha già la forza per resistere alle sbandate economiche dell’ultimo anno.

I dati relativi al capitale investito nel tech: il 2022 costituisce comunque il secondo miglior risultato di sempre. Courtesy Atomico.

“Gli investimenti del 2022 nel settore tech si chiuderanno intorno agli 85 miliardi di dollari, cifra inferiore al record dello scorso anno (+100 miliardi di dollari), ma che resta il secondo importo più alto mai investito nell’ecosistema tecnologico europeo”, dicono da Atomico. Secondo il rapporto, infatti, “l’Europa raccoglie la quota maggiore degli investimenti in aziende tecnologiche early-stage e purpose driven su scala globale”.

Per early stage si intendono proprio le imprese che sono nelle prime fasi di raccolta di capitali. Le nostre aziende riescono ad attirare investitori, insomma, anche se il ritardo rispetto agli Stati Uniti è ancora evidente, dicono a Fortune Italia i due coautori del rapporto, Sarah Guemouri, Principal di Atomico, e Tom Wehmeier, Partner e Head of Insights di Atomico: “Dall’altra parte dell’Atlantico, i Venture capital hanno raccolto 2,9 volte più capitale all’anno negli ultimi cinque anni rispetto alle loro controparti europee, sulla base delle analisi di PitchBook. C’è anche un po’ di recupero da fare per quanto riguarda l’allocazione dei fondi pensione al capitale di rischio, per garantire che i contributi siano più alla pari con il contributo dei fondi pensione al VC negli Stati Uniti. Quindi c’è molto margine di miglioramento”.

Il numero di round nel corso degli anni: il crollo di quest’anno c’è stato nel secondo semestre. Courtesy Atomico.

Ma qual è la situazione italiana? Andando ad analizzare il grado di maturità dei vari ecosistemi di innovazione, l’Italia è ancora più indietro del resto del continente, anche se alcune cifre farebbero pensare il contrario. Prendiamo il dato sui soldi che vengono investiti nelle startup: il venture capital italiano è l’unico a crescere in un anno di difficoltà per il continente. Quest’anno le nostre startup hanno raccolto somme record, ma sono ancora lontane anni luce da quelle di Paesi come Francia, Inghilterra, Germania: essendo ancora all’inizio del nostro percorso di innovazione, i numeri possono trarre in inganno.

Il report di Atomico però aggiunge dati nuovi: quelli relativi all’occupazione.

Diminuiscono le offerte di lavoro, resiste il valore delle aziende

Di norma, la sfida comune alle aziende tecnologiche in tutto il mondo è quella del talento: non c’è abbastanza personale per soddisfare la richiesta di competenze da parte del tech.

In Italia, secondo il report di Atomico, c’è un ostacolo in più: sono diminuite anche le posizioni di lavoro nel tech, rispetto al totale delle offerte.

Confrontando questa percentuale tra settembre 2021 e settembre 2022, si vede come “la maggior parte dei Paesi continua a registrare un aumento dell’appetito per i ruoli tecnologici”, dicono da Atomico. “Gli aumenti più marcati si registrano in Francia, Svezia e Germania, mentre Danimarca, Portogallo e Italia hanno subito riduzioni: l’Italia ha registrato un  calo del 6,3%, il Portogallo del 5,2%”.

Insomma, la creazione di posti di lavoro nel settore tecnologico è rallentata rispetto al mercato del lavoro in generale. “Questa tendenza è più marcata in Italia. Se nel 2020, infatti, si registravano 44.723 annunci di lavoro nel settore tecnologico per 1 milione di annunci di lavoro, nel 2022 questo numero è sceso a 32.999. L’Italia, insieme al Belgio e ai Paesi Bassi, si distingue per l’elevata percentuale di ruoli difficili da coprire (Hard To Fill, HTF) negli ultimi tre anni”.

I lavori “difficili da riempire” significano che rimangono vacanti per più di 60 giorni dopo l’inserzione, spiegano Guemouri e Wehmeier.

I dati italiani si riflettono nell’opinione dei fondatori e dei team di gestione intervistati da Atomico: il 62% delle risposte dall’Italia ha dichiarato che è più difficile acquisire nuovi talenti ora rispetto a 12 mesi fa.

Come si spiega un rallentamento del genere? “Quello che stiamo vedendo in Italia è che ci sono molti giovani fondatori con meno di cinque anni di esperienza e un solido pool di fondatori tra i cinque e i 10 anni di esperienza. Se il Paese riesce a trattenere le persone nel settore tecnologico abbastanza a lungo, l’ecosistema maturerà e crescerà, poiché sappiamo che il successo genera successo, i finanziamenti favoriscono l’esperienza e il talento attira più talenti. Il volano in Italia prenderà velocità man mano che i fondatori diventeranno multi-generazionali, cioè acquisiranno esperienza in due o più aziende tecnologiche appartenenti a generazioni diverse e il talento verrà riciclato attraverso l’ecosistema”, dicono i due coautori.

Atomico nota infatti che nel continente sono quasi 700 i nuovi fondatori degli anni 2010 diventati oggi unicorni di successo, quasi 25 volte di più della coorte degli anni 2000: “Vediamo oggi la più grande pipeline di talenti che l’Europa abbia mai avuto”, dicono dal fondo di venture capital. “Un piccolo numero di aziende ha un impatto enorme, non solo guidando il ‘riuso’ dei talenti, ma anche tracciando la strada da seguire per le aziende successive e l’ecosistema. Con loro stanno portando con sé la mentalità, le prospettive, la cultura e gli strumenti dei loro precedenti datori di lavoro”.

Dato che quest’anno l’Italia ha coniato i suoi primi due unicorni fatti in casa, Satispay e ScalaPay, e ha visto le uniche due importanti Ipo europee quest’anno con Technoprobe e Tatatu, i segnali “sono positivi per il settore tecnologico italiano”.

Le due quotazioni di cui parla Atomico, infatti, si riflettono sul ‘valore’ dell’ecosistema tech italiano: rispetto al Continente l’Italia ha registrato il calo minore della capitalizzazione di mercato ed è ora l’ottavo Paese per capitalizzazione di mercato nel settore tecnologico in Europa. Intanto le aziende tecnologiche europee hanno registrato una perdita di circa 400 miliardi di dollari di valore dall’inizio del 2022: il valore totale dell’ecosistema è sceso a 2,7 trilioni di dollari, dopo il picco di 3,1 trilioni di dollari raggiunto alla fine del 2021, restando comunque di 5 volte superiore rispetto al 2015.

Nel 2022, inoltre, si sono contate solo tre IPO del settore tech con un valore di mercato superiore a 1 miliardo di dollari in Europa e negli Stati Uniti (due di queste in Europa): questo dato, confrontato con le 86 del 2021, anno record per le IPO, segna una riduzione del volume pari a 30 volte. Nel 2022 sono emersi “solo” 31 nuovi unicorni, contro il record di 105 del 2021, tornando così ai livelli degli ultimi anni, che hanno visto 25 nuovi unicorni nel 2020 e 35 nel 2019.

Il crollo delle quotazioni tech nel 2022. Courtesy Atomico

 

Ma per il nostro Paese ci sono dati in chiaroscuro anche per quanto riguarda gli investimenti. L’Italia, con la Spagna, continua a registrare livelli di investimento nettamente inferiori alla media, nonostante i progressi compiuti negli ultimi anni. L’attività di investimento in Italia tende a orientarsi verso i round early-stage, con un livello doppio di capitale investito (come quota del capitale totale investito per Paese) in round inferiori a 20 milioni di dollari, rispetto al Regno Unito, ad esempio.

Il fatto che la quota di nuovi annunci di lavoro rispetto al totale delle nuove offerte di lavoro sia diminuita – in particolare in Italia – è in parte un prodotto proprio del rallentamento degli investimenti. “Man mano che garantire i finanziamenti diventa più difficile, le aziende devono gestire la velocità con cui spendono soldi. Alcuni addirittura congelano le assunzioni a titolo definitivo. Sarebbe un errore pensare che il ribasso delle assunzioni sia universale. L’Europa ha 166.000 startup, molte delle quali stanno ancora lottando per ricoprire ruoli perché c’è carenza di talenti in tutto il continente. Per questo motivo, probabilmente assisteremo a una maggiore ridistribuzione dei talenti tra le aree geografiche e molte aziende saranno molto desiderose di assorbire i nuovi talenti alla prima occasione”.

Da Atomico sottolineano il trend precedente al 2022: negli ultimi 10 anni il valore aggiunto lordo del settore tecnologico europeo è aumentato di circa 2 volte rispetto al tasso dei settori non tecnologici. E nonostante i licenziamenti, l’industria tecnologica europea impiega ora oltre 9 milioni di specialisti tecnologici, pari al 4,5% della forza lavoro totale. Dal 2012, l’occupazione nell’industria tecnologica europea è cresciuta di oltre il 50% (aggiungendo oltre tre milioni di posti di lavoro), superando la crescita totale dell’occupazione del 6,3%.

Secondo i due coautori, “la trasformazione digitale non sta scomparendo. Nuove stime suggeriscono che la sola UE dovrà raddoppiare il numero di specialisti tecnologici – e creare 11 milioni di ruoli in più entro il 2030 – al fine di soddisfare la crescente domanda di nuove tecnologie. Siamo ancora molto all’inizio del viaggio dell’Europa”. Inoltre, i soldi ci sono (alla fine del 2021, gli investitori “venture” e “growth” europei contavano su una liquidità totale di 84 miliardi di dollari, con un aumento di quasi tre volte in cinque anni) e il 2022 potrebbe trasformarsi nella prima grande prova di maturità dell’ecosistema: riuscirà il tech europeo a ripartire dopo i licenziamenti di oltre 14.000 dipendenti di aziende tecnologiche con sede in Europa, pari al 7% dei licenziamenti globali?

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