Il documento finale salva l’obiettivo di mantenere il riscaldamento globale entro 1,5 C° dai livelli preindustriali ma non dice nulla sulla riduzione o eliminazione delle emissioni da carbone e fossile. La versione completa di questo articolo è disponibile sul numero di Fortune Italia di dicembre 2022 – gennaio 2023.
Si è conclusa lo scorso novembre in Egitto la 27esima Conferenza delle Parti sul clima, Cop27, tra oltre 35 mila rappresentanti istituzionali, organizzazioni, imprese e attivisti e una buona dose di incoerenze e sfide aperte.
Si sarebbe dovuta trattare, secondo gli esperti, di una Cop ‘tecnica’, volta a mettere a terra gli accordi di Parigi e i successivi impegni internazionali. Il focus principale è stato, come previsto, il tema del Loss & Damage, ovvero i fondi da destinare ai Paesi più colpiti dagli effetti del cambiamento climatico per contrastare perdite e danni. Due le fazioni contrapposte: i Paesi focalizzati sul chiudere l’accordo immediatamente definendo più aspetti possibile, e i paesi (Stati Uniti in testa) impegnati a concordare prima una roadmap per chiudere i dettagli entro il 2024.
Alla fine, dopo nottate estenuanti e un ritardo di quasi due giorni rispetto alla conclusione prevista dei lavori, è stato raggiunto un accordo storico per istituire un “fondo di compensazione” verso i Paesi più colpiti dalla crisi climatica. L’ammontare da destinare, e chi rientrerà tra i finanziatori del fondo, rimane però tutto da decidere.
Una conferenza che non ha portato novità eclatanti né in ambito di mitigazione né in tema di climate finance, ma che ha messo quantomeno una pietra miliare in ambito giustizia climatica e, si spera che possa restituire fiducia nei negoziati sul clima, che ora proseguiranno in vista di Cop28 a Dubai alla fine del 2023.
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