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Superbonus, il dilemma dello stop a una misura già costata 68,7 mld

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Dopo la toppa contabile alla ‘falla’ del Superbonus nei conteggi del deficit italiano (la riclassificazione dei bonus in base ai criteri definiti da Eurostat, che ha ‘peggiorato’ il deficit degli anni dal 2020 al 2022 ma probabilmente migliorato i tendenziali dal 2023 in poi), per la misura bandiera del secondo Governo Conte sarebbe esclusivamente tempo di bilanci, se non fosse che la chiusura improvvisa dei rubinetti ha provocato abbastanza reazioni (dalle imprese e dalle opposizioni) da aprire a nuove strade per rendere meno rigida la transizione verso il rigore decisa dal Governo Meloni. Che ora si interroga su uno dei suoi dilemmi più difficili: quali aperture vanno concesse a una misura costata 68,7 mld di euro?

Le cifre sui costi e gli effetti del Superbonus 110% sono contenute in un’analisi dell’Osservatorio conti pubblici italiani di Unicatt.

Archiviati nel triennio passato gli aumenti del deficit (2020: da 9,5% a 9,7%; 2021: da 7,2 a 9,0; 2022: da 5,6% della Nadef a 8%), il deficit tendenziale del 2023 e degli anni successivi dovrebbe migliorare.

Ma quale sarà il bilancio effettivo una volta considerato l’impatto dello stop improvviso sull’attività economica?

L’analisi dell’osservatorio ridimensiona di molto i meriti del Superbonus e sottolinea come la misura sia molto lontana dall’avvicinarsi al pareggio, dal punto di vista del peso sul bilancio dello Stato. Ma sottolinea anche che “è evidente che ora va trovata una soluzione ponte per salvare quei proprietari di case e quelle imprese che facevano affidamento sulla cedibilità dei crediti e che ora si trovano in grande difficoltà”.

Superbonus, l’analisi dell’osservatorio: gli effetti su crescita e conti italiani

Per comprendere quali siano state le conseguenze del Superbonus bisogna distinguere tra i suoi due impatti principali: quello sul Pil, e quindi sulla crescita italiana, e quello sul bilancio dello Stato. Aggiungendo, naturalmente, l’effetto sugli investimenti post pandemia.

Se nel primo caso l’impatto è stato positivo, nel secondo “siamo molto lontani dal pareggio”, dice l’analisi dell’osservatorio. Ma l’analisi di Giampaolo Galli, Francesco Scinetti e Nicoletta Scutifero parte dalle basi: gli investimenti.

  • I conti tornano, secondo l’analisi, se si va a vedere a quanti investimenti ha portato il Superbonus. “Secondo i dati dell’ENEA il superbonus 110%, dal momento della sua introduzione (luglio 2020) fino a dicembre 2022, è costato 68,7 miliardi e ha attivato 46,6 miliardi di investimenti. Se si considerano anche gli investimenti avviati, si arriva a 62,5 miliardi. Quest’ultimo dato è coerente con l’ammontare della spesa legata all’incentivo in quanto 62,5 x 110% = 68,7 miliardi”. Il totale degli investimenti in abitazioni da inizio 2021 a fine 2022 è stato di 204,8 miliardi, sottolinea l’osservatorio, quindi parliamo di cifre rilevanti per il Superbonus. Ma viene anche sottolineato che molti degli investimenti che sono stati finanziati con il superbonus 110% (dai cappotti termici agli impianti di riscaldamento) sarebbero stati fatti comunque. Per questo viene citato uno studio preliminare della Banca d’Italia, secondo cui solo metà degli investimenti contabilizzati dall’ENEA avrebbe “carattere aggiuntivo”, ossia 31,3 miliardi (su 62,5). Partendo da questo scenario, senza il Superbonus ci sarebbero stati minori investimenti sia nel corso del 2021 (8 mld) che del 2022 (23 mld).

 

  • Effetto sul Pil: considerando che gli investimenti in abitazioni rappresentano un po’ meno del 5% di crescita, in tre anni il bonus ha portato a un effetto cumulato del +1,4% sul Pil. L’incentivo ha avuto un effetto aggiuntivo sulla crescita del Pil 2020-2021 di circa lo 0,5%. “Si tratta di un dato molto rilevante, anche se inferiore rispetto a quanto è stato spesso propagandato nel dibattito recente”, si legge nell’analisi. Nel 2022, l’effetto aggiuntivo alla crescita è stato maggiore e pari allo 0,9%: la crescita del Pil sarebbe stata quindi del 2,8%, invece che del 3,7 stimato da Istat.

 

  • Effetti sul bilancio dello Stato: in questo caso l’analisi utilizza i dati Enea per confrontare la spesa dello Stato nel triennio con il gettito fiscale prodotto dalla misura. Secondo l’analisi siamo molto lontani dal poter dire che la misura si è autofinanziata con il gettito. La spesa nel triennio è stata da 68,7 mld, con una variazione del Pil da 1,4% e un gettito fiscale aggiuntivo da 13,7 mld: il Superbonus non si è quindi ripagato da solo, dice l’Osservatorio. Il prezzo per lo Stato, anzi, è di 55,1 mld.

 

L’incognita dello stop

Ma una volta fatti i conti si quanto sia costato il Superbonus finora, rimane da vedere quanto possa costare il suo stop. E una prima tappa decisiva per capire quali modifiche arriveranno sarà lunedì 6 marzo, termine per la presentazione degli emendamenti al decreto legge del 16 febbraio.

Per Confindustria ci sono “considerazioni imprescindibili” alla base dell’intervento del Governo sul superbonus ma secondo la dg Francesca Mariotti 8che ha parlato in audizione in Commissione Finanze della Camera) “non possono validare le modalità con cui è stato attuato il repentino blocco delle operazioni di sconto in fattura e cessione”. Gli industriali stimano che si debba “garantire lo smaltimento (tramite cessioni) dell’ampio stock di crediti già maturati, il cui ammontare è stimato in circa 19 miliardi di euro”.

Intanto si penserebbe a delle misure per alleviare gli effetti della decisione del Cdm di sospendere la cessione dei crediti (“arrivati a 110 mld”, ha detto allora il ministro dell’economia Giorgetti), risalente a metà febbraio, lasciando la sola possibilità della detrazione d’imposta.

Teoricamente, entro il 31 marzo va segnalata infatti l’avvenuta cessione del credito, ma i tempi di lavorazione delle pratiche minacciano molte delle pratiche. Un’ipotesi allo studio del Parlamento per la cessione dei crediti non ancora ceduti alle banche è la modifica del meccanismo di registrazione sulla piattaforma dell’Agenzia delle Entrate, secondo quanto riferisce l’Ansa citando fonti parlamentari. Con la modifica, basterebbe aver effettuato l’apertura della pratica per superare il termine del 31 marzo.

Potrebbero poi arrivare altri aggiustamenti, secondo quanto dichiarato al Sole 24 ore dal relatore del provvedimento alla Camera Andrea de Bertoldi (Fdi): dagli aggiustamenti sull’edilizia libera (cioè per chi ha sfruttato il bonus per il cambio di caldaia, ad esempio) a quelli sulle pratiche ancora da presentare relative al Sismabonus, fino a un maggior sostegno a case popolari e Onlus e a una proroga ‘parziale’ per le villette.

Intanto, gli allarmi sullo stop al Superbonus non arrivano solo dalle imprese. L’Adnkronos riporta che oltre alle “50mila” imprese a rischio fallimento, anche i condomini “potrebbero essere chiamati a pagare cifre inaspettate, con la conseguenza che potrebbero essere milioni le case pignorate e quindi messe all’asta”. Con l’agenzia ha parlato Giuseppe Izzo, ceo di Uese Italia spa, una delle società che assiste le imprese per la richiesta della Soa, l’attestazione che permette alle aziende edili di partecipare ad appalti pubblici: “Diverse imprese edili si stanno rivolgendo ai proprietari di casa per ottenere il denaro necessario per procedere al completamento dell’opera iniziata. Una cifra che va dai 25mila ai 30mila euro che spesso non può essere onorata da chi, senza la garanzia della cessione del credito, non avrebbe mai dato il via libera alla ristrutturazione del proprio immobile”.

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