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Silicon Valley Bank, le piccole startup Usa vittime dimenticate

Sulla scia del crollo della Silicon Valley Bank, seguito dalla decisione della FDIC (la Federal Deposit Insurance Corporation, agenzia del governo Usa, ndr) di compensare tutti i depositi SVB (anche se non erano assicurati), in tanti hanno definito la situazione un ‘salvataggio per ricchi’. Basta seguire alcuni account su Twitter per essere portati a pensare che la lista dei clienti di SVB consistesse esclusivamente di miliardari. Ora, se queste critiche fossero rivolte esclusivamente agli investitori più ricchi, non avrei nulla da obiettare. Nessuno verserà una lacrima per le società di venture capital – e nessuno dovrebbe. Se qualcuno vuole parlare di come la mentalità da gregge del nostro settore abbia contribuito al destino di SVB, è giusto.

Ciò che non è giusto, tuttavia, è agire come se tutti quelli con un conto SVB fossero uguali, non riuscendo a distinguere tra creditori e correntisti, o tra grandi e piccole imprese. È facile descrivere situazioni come questa in maniera approssimativa, se sei convinto che solo i ricchi siano stati colpiti. Ma perché non dovremmo avere un minimo di empatia anche per persone normali e laboriose, solo a causa della banca che hanno scelto?

Sì, quando noi di Eniac* investiamo in una startup, crediamo che possa diventare il prossimo unicorno o decacorno e che dovrebbe rendere ricchi i suoi fondatori nel processo. Ma anche se speriamo che il nostro portafoglio di investimento sia pieno di futuri Jobs e Zuckerberg (o addirittura qualcuno di meglio!), la parola chiave è futuro.

Mentre SVB non ha rilasciato dettagli, mi è stato detto che la banca aveva migliaia di correntisti con meno di 20 dipendenti. La realtà quotidiana di quei correntisti è quella di piccoli team che cercano di costruire qualcosa nonostante probabilmente potrebbero fare più soldi lavorando in una delle grandi aziende del loro settore. Oggi, il business americano viene portato avanti da questi imprenditori, che stanno costruendo aziende nel clima, nella sanità, nel fintech e altro ancora.

Questi sono i fondatori con cui il nostro team ha parlato. Li abbiamo ascoltati mentre elaboravano strategie su come garantire la sopravvivenza della loro piccola impresa oltre le prossime settimane e mentre si angosciavano su cosa questo avrebbe significato. I loro dipendenti hanno iniziato a chiedersi se avrebbero ricevuto i prossimi stipendi o se avrebbero potuto perdere il lavoro.

Queste sono storie che i fondatori dovrebbero raccontare, non io. La maggior parte di loro, ovviamente, si è concentrata più sul mantenere a galla la propria azienda che sulla comunicazione esterna. Quindi sono stato grato a quei pochi che sono stati disposti a condividere pubblicamente le loro esperienze:

  • Sara Mauskopf, co-fondatrice e CEO di Winnie, che si è affrettata a raccogliere 200.000 dollari per le buste paga e ha usato le sue carte di credito personali per mantenere in piedi la sua attività.
  • Lindsay Michaelides, fondatrice e CEO di Strongsuit, che  ha spiegato che non fa parte dell’élite tecnologica ma è piuttosto “una mamma in Ohio che si alza ogni giorno e lavora il più duramente possibile per crescere buoni umani e costruire qualcosa che renderà il mondo migliore per tutti i nostri figli”.
  • Vanessa e Kim Pham, fondatrici di Omsom, che  hanno osservato che  quando le grandi istituzioni apportano cambiamenti, sono “spesso i gruppi più piccoli e più emarginati che ne avvertono l’impatto più pesante”

Criticate i miliardari e i Venture capitalist quanto volete, ma ricordate che non sono la maggioranza dei risparmiatori interessati dal crollo. Molti futuri innovatori americani hanno tirato un sospiro di sollievo quando si sono resi conto che le loro aziende sarebbero sopravvissute un altro giorno, e che avrebbero potuto continuare a dare lavoro a persone laboriose che hanno bisogno delle loro buste paga per mettere il cibo in tavola.

L’articolo originale a firma di Nihal Mehta, co-fondatore e partner di Eniac Ventures, è disponibile nella sezione ‘Commentary’ di  Fortune.com. Le opinioni espresse nella sezione ‘commentary’ appartengono esclusivamente ai loro autori e non riflettono necessariamente le opinioni di Fortune.com.

 

 

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