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RomeCup, la robotica del Lazio incontra le scuole: “Serve un ecosistema con le imprese”

Tra università, grandi aziende e istituzioni, gli incontri che hanno popolato l’edizione 2023 della RomeCup organizzata all’Università Campus Bio-Medico di Roma da Fondazione Mondo Digitale hanno avuto un elemento in comune: un pubblico composto da ragazzi e ragazze che hanno l’opportunità di cominciare da zero in un mondo del lavoro rivoluzionato dalla tecnologia. Hanno però anche un grande svantaggio: chi li dovrebbe guidare, dalle scuole al mondo accademico, fino alle imprese, sta ancora mettendo a punto gli strumenti per formarli. Ma alcuni grandi punti di riferimento, per gli studenti, già ci sono. Un esempio è quello del territorio del Lazio, illustrato durante la tavola sull’eccellenza della robotica della regione, che si è tenuta durante il secondo dei tre giorni della RomeCup.

Il percorso che i ragazzi dovranno compiere, anche in piena rivoluzione tecnologica, è più o meno sempre lo stesso: scuola, università, lavoro. Alfonso Molina, direttore scientifico della Fondazione Mondo Digitale e Personal Chair in Technology Strategy, Università di Edimburgo, è partito proprio dalla scuola: posto che deve lavorare “in sinergia e collegamento con l’università e le imprese”, la scuola è anche un “acceleratore sociale”. E anche se di esempi positivi, soprattutto nel Lazio, ce ne sono parecchi, per “accelerare” bisogna comunque partire dagli istituti, dove spesso non sono i ragazzi, ma gli insegnanti, ad essere indietro rispetto alle nuove competenze. Tra i progetti concreti, Molina ricorda lo Smart Heart Rome: “Non c’è una smart city senza cittadini intelligenti. Nel progetto c’è una cordata verticale che comincia con istituti comprensivi, passa dalle superiori e dai dipartimenti dell’università. È un progetto di sostenibilità dell’ambiente e della persona, e questo ci ha permesso di creare un ecosistema, un sistema di orientamento che oggi non esiste: la scuola è da una parte, l’impresa dall’altra”.

Il concetto di un ecosistema virtuoso scuola-università-impresa torna durante la tavola (moderata da Alessandro Pulcini, giornalista di Fortune Italia) anche nelle parole di Luigi Campitelli, Open Innovation Hubs Operation Director di Lazio Innova. “Bisogna avere la consapevolezza di dover lavorare insieme: non possiamo pensare di trovare le soluzioni nel chiuso della nostra struttura, né solo nella nostra testa. Le soluzioni vanno costruite attraverso processi cooperativi di confronto tra competenze diverse”. Questo valore va adottato anche dai ragazzi, dice il direttore di Lazio Innova, e porta ai consigli che Campitelli elargisce ai ragazzi in sala: “Fate le cose con passione, perché è fondamentale ed è alla base della competenza. Non lavorate mai da soli: diversi punti di vista fanno trovare più velocemente la soluzione. Soprattutto, non fermatevi mai: i processi di apprendimento devono essere continui”. Il tema della formazione continua, infatti, ormai è ben radicato nelle aziende e nelle università, che iniziano a offrire anche ai più grandi nuovi programmi formativi. “La cosa più importante però, è avere la capacità di imparare dai propri errori”, conclude Campitelli.

Le opportunità per i giovani, tra università, ricerca e imprese

Con Daniele Nardi, ordinario di Intelligenza Artificiale della Sapienza Università di Roma (l’Università è presente nell’HUB della Fondazione Rome Technopole, che ha organizzato la tavola rotonda insieme a Lazio Innova), i ragazzi hanno potuto osservare su cosa concretamente stia lavorando la robotica del Lazio: il progetto Canopis, ancora in fase di sviluppo, dove gli automi vengono usati per la raccolta dell’uva nelle vigne di Tivoli. Attraverso gli algoritmi gli automi camminano tra i filari e riconoscono i grappoli da raccogliere. Un esempio di quanto la tecnologia stia cambiando anche l’agricoltura.

Ma Nardi ha anche raccontato ai giovani le tecnologie alla base di questi robot: il cuore degli sviluppi recenti è l’informatica, racconta, che proprio nelle scuole ancora latita. “In realtà i progressi più grandi non sono stati fatti nelle parti meccaniche della robotica, le grosse innovazioni vengono portate dal potere computazionale e dalle capacità di comunicazione attraverso 5G, oltre che dai sensori sempre più potenti. Questi tre elementi di per sé non sono elementi che portano a risultati se non c’è il software che elabora e gestisce tutto: l’informatica è il cuore. Oggi abbiamo parlato del digitale nella scuola: che il ministero non abbia ancora preso in considerazione l’idea di inserire l’informatica tra le materie scolastiche obbligatorie penso sia un tema dove sia necessario un ripensamento”.

Ma non servono solo giovani che sappiano utilizzare la tecnologia: saranno fondamentali anche quelli che ne svilupperanno di nuova. Francesco Scotto Di Luzio, ricercatore dell’Unità di Ricerca di Robotica Avanzata e Tecnologie centrate sulla persona dell’Università Campus Bio-medico di Roma, ha raccontato come l’Unità di robotica lavora su un alto numero di progetti finanziati in bandi competitivi, tra cui anche quelli finanziati dalla Regione Lazio: su questi ha lavorato l’ingegnere.

Un’esperienza da sottolineare soprattutto davanti ai più giovani, per capire come le esperienze sul campo siano determinanti nella carriera di un ricercatore.

“Un esempio è il progetto Heal 9000, il cui obiettivo era sviluppare un sistema di riabilitazione degli arti superiori attraverso robot, in grado di interagire sia fisicamente che cognitivamente (quindi tramite AI) con il paziente”. Obiettivo finale: riprodurre l’interazione tra un fisioterapista e un paziente. “Il progetto mi ha consentito di maturare attraverso due aspetti: la possibilità di lavorare con team multidisciplinari, dall’ingengere agli infermieri e ai medici; l’altro elemento è la possibilità di sviluppare la tecnologia coinvolgendo i pazienti e chi li assiste. Occuparsi dello sviluppo con queste premesse permette di vedere l’impiego della tecnologia e il suo impatto concreto”.

Scuole, università, ricerca, fino alle imprese: Martino Maggio, Senior Researcher di Engineering, ha spiegato come la società italiana di informatica, che ha una presenza importante proprio nel Lazio, è oggi un player globale, con 1,6 mld di euro di ricavi e 15mila dipendenti. Ma l’azienda guidata da Maximo Ibarra si concentra ancora sulla ricerca in Italia, con un importante centro proprio nel Lazio (oltre che con l’Hq di Roma).

Tra i progetti di punta della società di informatica, MAggio ha illustrato il progetto e-Vita: con l’invecchiamento della popolazione mondiale, le “società devono trovare il modo di sostenere la capacità degli anziani di invecchiare bene”, ha spiegato, aggiungendo che il coaching virtuale può aiutare rilevando precocemente i rischi. Il progetto e-Vita (nato da una cooperazione internazionale tra Europa e Giappone) aiuta gli anziani a gestire meglio la propria salute e le attività quotidiane. Questo ‘coach’ può animare ologrammi 3D, o automi, ha spiegato Maggio, anche a seconda della cultura in cui viene utilizzato. Nel progetto, frutto di una partnership tra università, aziende e centri di ricerca, Engineering si occupa della progettazione e dell’integrazione della piattaforma e-VITA basata su FIWARE e sul Digital Enabler. Un approccio che ricorda che la robotica, come L’AI, sta colmando il divario tra la tecnologia e chi la utilizza. “Una tecnologia che abbia un utilizzo naturale, e il dialogo con una macchina è la modalità più semplice”, spiega Maggio.

Alle ragazze e ai ragazzi in sala, Maggio consiglia di “continuare a studiare: faremo sempre lavori più complessi, dove l’istruzione necessaria sarà sempre più di alto livello: ora anche i lavori di ingegno sono a rischio”.

Secondo Francesco Scotto Di Luzio, i ragazzi “devono essere il più possibile curiosi: utilizzare nuove tecnologie che avete a disposizione ma di sfruttarle per apprendere sempre di più”.

Per Nardi, che ha chiuso toccando il tema della ‘fuga dei cervelli’, “il sistema universitario italiano funziona bene: c’è bisogno di crescere, sicuramente, ma mi rivolgo alle aziende e dico che il problema è che i nostri più bravi vanno all’estero perché i salari sono bassi. Una raccomandazione va quindi fatta anche alle imprese”.

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