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Parla Freni: Il Pnrr? Revisione necessaria per adeguarsi alla realtà economica e geopolitica | VIDEO

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Il sottosegretario al Ministero dell’Economia e delle Finanze, Federico Freni, fa il punto con Fortune Italia sullo stato di attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). Il contesto economico e geopolitico mutato ha imposto una revisione necessaria del Piano, l’interlocuzione in corso con la Commissione europea per adeguare gli obiettivi e le tempistiche alle nuove sfide è positiva. Le polemiche politiche che seguono non fanno bene al Paese ma vanno registrate perchè fanno parte del dibattito pubblico. Freni giustifica la rimodulazione del Pnrr sottolineando l’impatto della crisi della supply chain e dell’aumento dei prezzi dei materiali, che hanno lasciato il loro segno sui piani iniziali. Alcuni obiettivi potrebbero non essere realizzati nei tempi previsti, come ad esempio gli asili nido, a causa dei costi elevati dei materiali.

La revisione del Piano – spiega Freni – dovrà seguire due direttrici fondamentali. Innanzitutto, prendere atto della realtà economica attuale, con i cambiamenti avvenuti dal 2020 ad oggi. Inoltre, sarà fondamentale considerare ciò che produce sviluppo per il Paese, poiché alcune iniziative potrebbero non essere più strategiche. Sarà necessario rivedere anche i microprogetti che potrebbero non essere più rilevanti.

Sulla questione della capacità di spesa del Paese, Freni riconosce che è un problema atavico, ma con il Pnrr si è avviato un percorso per semplificare e accelerare l’allocazione dei fondi. L’obiettivo è garantire una spesa più rapida ed efficace per creare un Paese più funzionale per le generazioni future.

“Dal 2020 a oggi è passata un’era geologica, un ciclo economico: non possiamo non tenere conto dei recenti sconvolgimenti”, così Federico Freni, sottosegretario leghista, giustifica la necessità di rimodulare il Piano nazionale di ripresa e resilienza. Crisi della supply chain, aumento esponenziale dei prezzi dei materiali, inflazione dilagante: gli obiettivi e le tempistiche del Pnrr vanno giocoforza rivisti. Si spiega così, secondo Freni, il ritardo italiano sulla spesa. “È vero, l’Italia ha un problema atavico nello spendere i fondi europei – confessa il sottosegretario – ma dopo la revisione del Piano allocheremo la spesa in modo più rapido ed efficace”.

Sottosegretario, come procede l’interlocuzione con la Commissione europea?

L’interlocuzione procede molto bene, lungo i binari che abbiamo concordato con la Commissione. È un’interlocuzione progressiva: ristrutturare il Piano non è una cosa che si fa in un giorno. Va assestato in modo da garantire quella progressione del Pil di cui il nostro Paese ha bisogno e per cui stiamo facendo il debito, perché non dimentichiamoci che buona parte del Pnrr è debito.

Come andrà rimodulato il Piano? 

La rimodulazione dovrà seguire due direttrici fondamentali. Anzitutto il principio di realtà: dobbiamo cioè accettare che dal 2020 ad oggi è passato un ciclo economico e gli sconvolgimenti che abbiamo vissuto hanno lasciato più di una scoria. Su tutte, la crisi della supply chain e l’aumento esponenziale dei prezzi dei materiali. Alcuni obiettivi non potremo più realizzarli nei termini originariamente previsti. Le faccio un esempio: gli asili nido. Non è che non vogliamo realizzarli, ma le gare sono andate deserte perché il costo dei materiali è lievitato del 30%. 

E poi? 

La seconda direttrice è quella che guarda a ciò che produce Pil e sviluppo per il nostro Paese. È passata un’era geologica da quando il Piano è stato ideato e non è detto che ciò che creava Pil allora lo crei anche oggi. C’è in realtà una terza direttrice assai importante: rivedere tutti quei microprogetti, circa 150mila, che sono davvero pulviscolari, poiché arrivano anche a 70mila euro e forse non hanno più ragione di esistere. 

La capacità di spesa è un problema atavico del nostro Paese. Perché troppo spesso non siamo in grado di spendere i fondi europei nei tempi e nei modi previsti?

È vero, è un problema atavico connesso a un’incapacità del sistema amministrativo italiano di allocare la spesa in modo veloce. Col Pnrr questo problema è stato in buona parte risolto, in quanto le opere e le misure che lo riguardano viaggiano su binari amministrativi completamente diversi da quelli ordinari, una corsia preferenziale di sorpasso super accelerata. Dobbiamo però continuare a semplificare e snellire l’azione amministrativa. Il mondo non finisce col Pnrr. Ci sono i fondi di coesione e tanti altri fondi che dovremo essere in grado di spendere nei prossimi anni, anche oltre il 2026. Migliorare i processi oggi significa garantire ai nostri figli un Paese più funzionale. 

Riusciremo a invertire il trend col Pnrr? Al momento abbiamo speso una quota minima dei fondi programmati per il 2023. 

Certo, riusciremo ad invertire questo trend quando avremo ultimato la revisione del Piano. Se abbiamo speso una minima parte dei fondi è perché molte gare sono andate deserte e perché abbiamo rallentato l’esecuzione di molti obiettivi, non ritenendoli più strategici. Il ritardo nella spesa, tanto enfatizzato, è assolutamente fisiologico ed è connesso alla volontà di rivedere il Piano. Oggi noi, con responsabilità, stiamo dicendo agli italiani che il Pnrr è bellissimo, ma va assestato rispetto ai bisogni del Paese: spendere per spendere, senza costrutto né pianificazione, non è nel nostro costume.

Qual è ad oggi lo stato di attuazione del Piano?

Il Piano era diviso sostanzialmente in due macrosettori: riforme abilitanti e interventi strutturali. La prima è stata pressoché completata in buona parte dal Governo Draghi ed è in corso di perfezionamento. La seconda è invece un po’ indietro. Stiamo rinegoziando – e non rivoluzionando – i contenuti del Piano. Non stiamo cambiando casa, la stiamo ristrutturando. 

Quanto hanno inciso sui ritardi la carenza di materie prime e l’impennata dei costi in seguito allo scoppio del conflitto russo-ucraino? 

Moltissimo. Se i bandi di gara vanno tutti deserti, non possiamo certo chiedere alle nostre imprese di lavorare in perdita. Se un bando prevede un prezzo a base d’asta incompatibile con l’attuale costo delle materie prime, perché quel prezzo è stato deciso nel 2020, è ovvio che andrà rivisto. L’incidenza di questi due fattori è immensa. 

C’è anche un problema di carenza di figure professionali, un mismatch in alcuni campi, come quelli legati alla transizione digitale e green? 

Sì. Credo che uno degli obiettivi più o meno espressi del Pnrr sia proprio quello di colmare questo mismatch, questa carenza di professionalità che troppo spesso affligge il nostro Paese. Tante professionalità in realtà ci sono ma se ne vanno all’estero e allora noi dobbiamo imparare a tenercele strette. Io sono convinto che in Italia non manchino gli ingegneri, gli architetti e tutte le altre figure che ci servono: dobbiamo solo imparare a farle crescere e a valorizzarle.

 

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