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Venezia 80, un’edizione indimenticabile

Si è aperta il 30 agosto la Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia. Le premesse che sia un anno da ricordare ci sono tutte, a cominciare dalla qualità dei film fino allo sciopero di Hollywood che comprometterà la presenza di una parte delle star americane. Mai il cinema italiano così prolifico e valorizzato: sono addirittura 6 i film “di bandiera” in concorso.

L’Edizione numero 80 della Mostra del Cinema sarà indubbiamente da ricordare. Si spera per la qualità dei film, e per le promesse mantenute di un programma sulla carta impeccabile, e non per gli effetti degli scioperi di sceneggiatori e attori hollywoodiani che stanno colpendo il cinema americano e che al momento ha portato alla defezione dell’annunciato film di apertura (“Challengersdi Luca Guadagnino, sostituito in corsa da “Comandante” di Edoardo De Angelis) e per ora a nessun’altra grande rinuncia nota da parte del direttore Alberto Barbera.

Come dunque annunciato da numerose anticipazioni, il concorso della Mostra avrà molti dei grandi film americani in produzione quest’anno, dai biopic “Ferrari” di Michael Mann (forse il più atteso, un progetto a lungo sognato da uno dei più grandi registi viventi), “Priscilla” di Sofia Coppola, dedicato alla moglie di Elvis Presley, Priscilla per l’appunto, e “Maestro” di Bradley Cooper, con l’attore e regista nei panni di Leonard Bernstein, ai nuovi lavori di Yorgos Lanthimos (“Povere creature!”, commedia grottesca con echi di “Frankenstein”), David Fincher (“The Killer”, un «noir brutale» come l’ha definito il suo autore) e Ava DuVernay (che con “Origin” torna a parlare di questioni razziali).

Semmai il problema riguarderà tutto ciò che ruota attorno a questi film, che di norma rappresenta buona parte dell’interesse mediatico di un festival, causa la probabilissima assenza delle star al seguito: Adam Driver, Brad Pitt, Emma Stone, Carey Mulligan, Mark Ruffalo, Michael Fassbender, Jessica Chastain (quest’ultima protagonista di “Memory”, film di produzione americana del messicano Michel Franco).

Per non parlare, delle delegazioni dei film Fuori concorso, quest’anno di grande richiamo: “The Caine Mutiny Court-Martial” di William Friedkin, con Kiefer Sutherland e Jason Clarke; “Hit Man” di Richard Linklater, con Glen Powell; “Aggro Dr1ft” di Harmony Korine, regista che è già di per sé la star del suo film; “The Wonderful Story of Henry Sugar” di Wes Anderson, mediometraggio tratto da Roald Dahl con Dev Patel, Benedict Cumberbatch, Ben Kingsley e Ralph Fiennes, e soprattutto i nuovi film di due registi scomodi per l’industria cinematografica: Woody Allen, con il “francese” “Coup de chance”, e Roman Polanski, con “The Palace”, scritto come agli esordi con l’amico Jerzy Skolimoski.

Il peggio che potrà capitare, comunque, sarà che la stampa mainstream dovrà accontentarsi di interpreti non americani (non ne mancheranno, da Favino alla Rohrwacher, da Léa Sydoux a Penelope Cruz, e a seguire Lily James, Franz Rogowski, Toni Servillo) o magari provare a interessarsi ai film e non tanto alle loro facce. Non sembra una cosa impossibile.

Del resto, a Venezia 80 non mancheranno soluzioni. Gli italiani, ad esempio, che oltre a “Comandante” (con protagonista il solito, immancabile Favino) contano in concorso “Io capitano” di Matteo Garrone, “Lubo” di Giorgio Diritti, “Finalmente l’alba” di Saverio Costanzo, “Adagio” di Stefano Sollima e “Enea” di Pietro Castellitto.

Pierfrancesco Favino con il regista Edoardo De Angelis arrivano alla proiezione del film ‘Comandante’

E poi i francesi, con il ritorno di Luc Besson (“Dogman”), Stéphane Brizé (“Hors-saison”, con Guillaume Canet e Alba Rohrwacher) e soprattutto il Bertrand Bonello dell’ambiziosissimo “La bête”, tratto da Henry James, con la Seydoux.

E dopo ancora i nuovi film di registi affermati come Ryusuke Hamaguchi, che torna con “Il male non esiste” dopo il capolavoro “Drive My  Car”, o le registe polacche Agnieszka Holland (“Il confine verde”) e Małgorzata Szumowska (“Kobieta Z…”, diretto con Michał Englert), e le possibili sorprese, come il tedesco Timm Kröger e il suo sperimentale “Die Theorie von Allem” e “Bastarden” di Nikolaj Arcel.

Restano, infine, le cose cosiddette laterali, che sarebbero poi quelle che rispondono al criterio di scoperta e indagine di un festival e che per quanto seguite quasi esclusivamente da cinefili e stampa specializzata ne definiscono l’identità (non dimentichiamo che Venezia ha l’espressione “arte cinematografica” nel suo nome ufficiale).

I film di Orizzonti, ad esempio, il secondo concorso della Mostra, che visto l’attuale sistema di finanziamento conta in selezione soprattutto opere prime (per l’Italia, ad esempio, il primo lungo del disegnatore Simone Massi, “Invelle”), ma presenta anche i lavori di alcune importanti figure del cinema di ricerca: il giapponese Shinya Tsukamoto, l’ungherese Gábor Reisz, gli americani Bill e Turner Ross; i documentari fuori concorso, dove due grandi vecchi del cinema contemporaneo presentano i loro lavori come sempre unici e senza cedimenti: Yervant Gianikian, che con “Frente a Guernica” lavora come sempre con le immagini girate con la compianta moglie Angela Ricci Lucchi, e Frederick Wiseman, che con “Menus Plaisirs – Les Troisgros”  filma per quattro ore uno dei ristoranti stellati più quotati al mondo; le due serie d’autore, firmate dal francese Xavier Gianolli (“D’argent et de sang”, con protagonista Vincent Lindon) e dalla bosniaca Jasmila Žbanić (“Conosco la tua anima”).

E infine le sezioni indipendenti Le giornate degli autori e La settimana internazionale della critica, prima del rifugio a cui tutti i cinefili  della Mostra, quando spossati dall’umidità del Lido – spesso annoiati dalle cose nuove che vedono – si rivolgono al cinema di un tempo, restaurato e tirato a lucido in Venezia classici. Quest’anno ci sarà, per intenderci, una versione inedita di “Un sogno lungo un giorno” di Coppola, come a dire che il futuro del cinema, mai come oggi incerto, può sempre tornare al suo passato.

 

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