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Imprese, quanto valgono le immobilizzazioni immateriali?

Il concetto di immobilizzazione è utilizzato di frequente in ambito contabile ed economico, definendosi come tale un “elemento patrimoniale destinato a  essere utilizzato durevolmente” all’interno delle aziende (articolo 2424 bis codice civile).

Nell’ambito delle immobilizzazioni si è assistito al crescente peso che hanno acquisito le immobilizzazioni immateriali, i cosiddetti ‘intangible assets’, come fattori critici di successo. La percezione della centralità degli intangibles ha fatto sorgere nell’impresa l’esigenza di conoscere il contributo apportato da tali risorse alla creazione del valore, nonché di dare spazio nell’informativa di bilancio alla rappresentazione e valutazione degli intangibles e in tale ottica si colloca sia la linea logica dei principi contabili internazionali IAS/IFRS sia l’attività di revisione intrapresa dall’Oic (Organismo italiano contabilità) sui principi contabili nazionali di pertinenza.

L’importanza delle immobilizzazioni immateriali come fattori critici di successo è cresciuta sempre più nel tempo e questo ha indotto ad approfondire il tema della loro rappresentazione contabile e quindi anche della loro valutazione.

A seconda della loro ‘genesi’ gli intangibles entrano a far parte del patrimonio aziendale in due modi: mediante acquisizione dall’esterno; mediante produzione all’interno. Mentre l’acquisto da terzi genera un costo generalmente determinato in modo oggettivo, la ‘produzione in economia’ dà luogo a un valore che presenta un certo grado di soggettività e di astrattezza. È inoltre possibile operare un’ulteriore distinzione nell’ambito della categoria degli intangibles, individuando: risorse immateriali strutturali; risorse immateriali non strutturali.

Le prime sono valutabili autonomamente: è il caso del capitale umano, delle tecnologie e delle licenze, dei marchi e dei brevetti.

Le immobilizzazioni immateriali nel Codice Civile

Per le società che non adottano i principi contabili internazionali ai fini della redazione del bilancio d’esercizio, le norme di riferimento per la contabilizzazione delle immobilizzazioni immateriali sono innanzitutto contenute nel codice civile. L’art. 2424 c.c. fa espresso riferimento alle ‘immobilizzazioni immateriali’ alla voce B.I dello schema di bilancio, prevedendo le seguenti sette categorie di immobilizzazioni immateriali, e precisamente: costi di impianto e ampliamento; costi di ricerca e sviluppo e pubblicità; diritti di brevetto industriale e diritti di utilizzazione delle opere dell’ingegno; concessioni, licenze, marchi e diritti simili; avviamento; immobilizzazioni in corso e acconti; altre.

L’art. 2424–bis, comma 1, chiarisce inoltre che “gli elementi patrimoniali destinati a essere utilizzati durevolmente devono essere iscritti tra le immobilizzazioni”. La destinazione a un utilizzo durevole costituisce pertanto la condizione necessaria perché una risorsa intangibile venga ricompresa nelle immobilizzazioni immateriali.

Con riferimento al valore al quale un’immobilizzazione immateriale deve essere iscritta in bilancio va tenuto presente che l’art. 2426, n. 1 del codice civile precisa che le immobilizzazioni devono essere iscritte al costo di acquisto o di produzione, laddove nel costo di acquisto debbono essere computati anche i costi accessori, mentre nel costo di produzione vanno compresi tutti i costi direttamente imputabili al prodotto, oltre ovviamente ai costi indiretti. Sempre l’art. 2426 del codice civile dispone poi che i costi di impianto e di ampliamento, i costi di ricerca, di sviluppo e di pubblicità aventi utilità pluriennale possano essere iscritti (e mantenuti) nell’attivo con il consenso del collegio sindacale ove esistente (art. 2426, n. 5, c.c.). Si tratta dunque di una facoltà concessa alle imprese e non di un obbligo. Identica facoltà viene concessa per l’iscrizione in bilancio dell’avviamento, qualora sia stato acquisito a titolo oneroso e nei limiti del costo per esso sostenuto (art. 2426, n. 6, c.c.).

Diritti di brevetto industriale

La voce accoglie i costi sostenuti dall’azienda per l’acquisizione del know-how per la realizzazione dei propri beni e servizi. Sono suddivisi in: brevetto industriale che rappresenta un diritto esclusivo di sfruttamento di un’invenzione, tutelato dalle norme di legge; brevetto per modelli di utilità e per modelli e disegni ornamentali, che ai sensi degli art. 2592 e seguenti del codice civile sono soggetti a specifica disciplina giuridica. Sono invenzioni atte a conferire a macchine o a parti di esse, strumenti, utensili oppure oggetti, una particolare efficacia o comodità di applicazione o di impiego. Il brevetto per le macchine nel loro complesso non comprende la protezione delle singole parti.

Brevetti: come valorizzare in bilancio gli asset immateriali

I diritti di proprietà intellettuale sono iscritti a bilancio per importi modesti (costi di deposito e registrazione) ed è quindi importante far emergere i maggiori valori economici attribuibili a tali beni, per migliorare i livelli di patrimonializzazione dell’impresa.

Le opportunità di finanziamento che si prospettano all’impresa grazie alla valorizzazione dei diritti di proprietà industriale sono molteplici, basti pensare al contratto di lease-back sui brevetti che consente di finanziarsi cedendo a un istituto di credito, a seguito di una valutazione specialistica del relativo valore, i propri marchi o brevetti e stipulando quindi con quest’ultimo un contestuale contratto di locazione finanziaria.

Sotto il profilo fiscale, invece, qualora sia interesse del proprietario cedere uno o più titoli, una adeguata valutazione consente di evitare il sorgere di plusvalenze, tassabili secondo le ordinarie aliquote Ires, Irpef e Irap.

Il brevetto può assumere un notevole valore fino a costituire in alcune circostanze uno tra i principali asset aziendali. Diversi sono i criteri di stima presenti in dottrina quali quelli basati sulla redditività aziendale, il metodo del costo storico o quello di mercato. Esistono, poi, altre metodologie per la valutazione di un brevetto, come ad esempio il metodo delle opzioni, il metodo dell’attualizzazione delle perdite derivanti dalla cessione del brevetto, il metodo del patrimonio differenziale. Si tratta, in realtà, di metodologie che difficilmente trovano applicazione nella quotidiana attività di stima di tale asset immateriale.

Transizione 4.0

Il piano Transizione 4.0, promosso dal ministero dello Sviluppo economico (oggi ministero delle Imprese e del Made in Italy, ndr) è ricco di iniziative volte a rafforzare la competitività delle aziende italiane, soprattutto di piccole e medie dimensioni, tramite la spinta all’innovazione, alla digitalizzazione e all’internazionalizzazione.

Tra le misure proposte credo meriti evidenziare quelle dirette ad agevolare in particolare lo sviluppo dei brevetti. Tra queste: il ‘credito di imposta ricerca e sviluppo’ e il ‘patent box’.

Si segnala che la titolarità di un brevetto (anche di uno solo) è condizione sufficiente per qualificare una società di piccole dimensioni come startup innovativa o pmi innovativa.

Nel primo caso (startup) dovrà trattarsi di una società di capitali non quotata di nuova o recente costituzione (max 60 mesi), con valore della produzione annua inferiore a 5 mln di euro e il cui oggetto sociale è chiaramente legato all’innovazione.

La qualifica di startup innovativa o pmi innovativa apre l’accesso ad una serie numerosa di specifiche agevolazioni sia di natura fiscale, che societaria, che occupazionali, che finanziarie.

 

*iscritto all’Ordine dei Dottori Commercialisti di Roma e al Registro dei Revisori Legali, si occupa di revisione legale, consulenza fiscale, tributaria ed aziendale. In PTSClas ricopre la carica di Vicepresidente e membro di collegi sindacali di primarie società.

 

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