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Intervista a Lorenza Baroncelli: “Conta più la verità che la spettacolarità” / Video

Quanto i comportamenti degli individui in società profondamente complesse sono determinati dalle condizioni estetiche ed economiche in cui questi vivono? Domanda che impone un ripensamento sull’architettura contemporanea. Negli ultimi anni molti assessori in vari comuni hanno visto trasformare la dicitura e quindi l’oggetto del proprio incarico da “Urbanistica” a “Rigenerazione Urbana” (io stessa sono stata nominata, prima in Italia, proprio con questa denominazione a Mantova nel 2015). Questo implica di certo una visione più dinamica dell’architettura, ma non basta. Credo infatti ci sia bisogno di una regia nazionale che guidi il cambiamento urbano. Ma, sia chiaro, ciò non significa dirigismo e burocrazia. Anzi, dobbiamo imparare dagli errori passati, eliminando regole troppo stringenti e coinvolgendo i privati che, nel loro ruolo complementare, restano indispensabili. Soprattutto serve saper leggere la vita dei centri urbani alla luce di ciò che accade nel mondo. Negli ultimi quindici anni abbiamo spesso vissuto situazioni di crisi o comunque di profondo cambiamento, visto molte nostre certezze e consuetudini vacillare. 

Dal 2008 ci sono state la crisi dei mutui subprime e l’instabilità finanziaria; quella dell’immigrazione, una costante, che ci porta a ragionare su integrazione e incontro non sempre facili tra culture. Ancora, l’emergenza climatica che peggiora di anno in anno; la pandemia di Covid 19 che ha avuto anche dirompenti effetti economici e sociali; infine, la guerra in Ucraina con conseguente crisi energetica. Siamo passati dalla città densa allo stop al consumo di suolo; il lockdown ha portato a considerare modelli come quello dei borghi o della città dei 15 minuti. Ora il Green Deal dell’Ue e le turbolenze sul mercato delle materie prime ci obbligano a pensare soprattutto a città smart, decarbonizzate. Una tempesta continua che ha cambiato la discussione su ruolo dell’architettura e modi di vivere. In generale mi sento di dire che vada abbandonata la sontuosità del passato. Un tempo erano soprattutto le grandi riviste di settore a conferire lo status di archistar, i cui prestigiosi progetti servivano soprattutto a impressionare il pubblico. Adesso, anche per il ruolo dirompente del web oltre che per le emergenze di cui abbiamo detto, la critica è più orizzontale. Soprattutto la verità conta più della spettacolarità. Per verità intendo prendersi cura delle reali esigenze dei cittadini. Se questo non accade i problemi deflagrano: ce lo ricorda ogni giorno la cronaca. Ovviamente architetti e urbanisti non sono responsabili e da soli non possono risolvere guai sociali o di ordine pubblico, ma il loro ruolo nel ripensare gli spazi resta decisivo. Costruire e far vivere uno spazio sociale, un centro sportivo, o anche solo illuminare una strada in un quartiere periferico può rivelarsi un semplice ma decisivo strumento di coesione e inclusione sociale. Non solo forma del vivere insomma, ma contributo alla società nel suo insieme. Questo deve essere l’architettura oggi.

*Paola Pierotti / giornalista PPAN

 

 

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