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Architettura, ma quanto costa?

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Oggi non c’è budget per l’architettura di qualità. “I piani dei progetti che arrivano al traguardo sono stati impostati 2 o 3 anni fa, e non riescono a trovare riscontro nei business plan. I budget del mondo delle costruzioni richiedono di essere strutturalmente rivisti e i business plan devono trovare riscontro nelle dinamiche che si sono venute a determinare in questo biennio post Covid”. Gianpiero Aresi, chief executive officer di Gad, società con oltre dieci anni di esperienza nel controllo degli aspetti economici dei progetti (450 architetture analizzate prevalentemente in Italia, per oltre 100 kmq quadrati di sviluppo immobiliare) e riferimento nel settore edile, fa il punto sul tema dei costi e degli investimenti dell’industria del progetto.

Il 2020 è stato uno spartiacque decisivo: l’immobiliare è decollato, si è razionalizzato il numero delle imprese che non hanno retto l’urto, si aggiunga l’iniezione di risorse pubbliche con gli incentivi edilizi e i fondi del Pnrr. Non va trascurato il fatto – commenta Aresi – che la filiera, dai fornitori ai costruttori, ha contribuito con atti speculativi a far salire i prezzi, il tutto in un momento in cui il mercato delle costruzioni ripartiva, con valori in crescita”. Qualche numero? “Fino al 2020 le voci spese generali ed utili si attestavano intorno al 10-13%, certificati da analisi e ritorni di offerte, oggi le offerte si propongono tra il 25% fino al 30 per cento“.

Le spese generali – racconta Aresi facendo tesoro della sua esperienza professionale accanto ai maggiori player dell’immobiliare ed analizzando le offerte prodotte dalle imprese – sono dell’ordine del 15-18% e con un profitto atteso tra il 10-12%, sia per edifici singoli che per le grandi opere”.

Oggi le opportunità non mancano, ma la filiera può scegliere e non si muove se non margina come desidera, questa è la lettura di Gad, e secondo Aresi le imprese del settore sono restie ad accettare impegni se si scende sotto questa soglia. Allo stesso tem- po, i costi di costruzione sono saliti, le condizioni al contorno mutano rapidamente, e gli investitori hanno difficoltà a rimodulare i propri business plan, anche in relazione all’aumento dei tassi. Ecco perchè le maxioperazioni del real estate, da Mind a Sesto San Giovanni per fare due esempi, vanno a rilento, è la prova che i business plan messi a punti anno fa, soffrono.

Porta Nuova. Nella foto una vista dall’altro del distretto di Milano, co-sviluppato e gestito da Coima a partire dal 2003. Nuova vita per un ex scalo ferroviario. Foto di COIMA

Stando alla finanza, non ci sono le condizioni per poter avere un’architettura performante. Quel servizio che si chiama “value engineering” troppo spesso viene inteso come un’accetta per tagliare i costi, ma se ottimizza o semplificando riduce, spesso a discapito dell’intento progettuale, il dubbio rimane.

Milano è la città dove l’architettura di questi vent’anni ha avuto la meglio, dove lo sviluppo immobiliare ha trovato una piazza ricettiva, dove gli investitori internazionali si sono affacciati, dove l’architettura contemporanea ha attecchito. Ma è anche la città dove ancora oggi i grandi player privati lanciano concorsi ad invito per poter scegliere il progetto in una rosa di opzioni – ancora spesso riservati alle cosiddette “archistar” internazionali, dai danesi di Big agli svizzeri Herzog e De Meuron al britannico Heatherwick, per fare degli esempi come volano per il marketing assicurato – portandosi a casa soluzioni che poi però l’imprenditoria deve riportare nei binari di file Excel rigorosi.

Sorge il dubbio se agli architetti si trasmetta adeguatamente lo scopo del lavoro o se i progettisti ignorino i budget, o proprio non li conoscano. Ne consegue che l’architettura di qualità proposta da chi la fa per mestiere si scontra con i desiderata di chi la deve rendere sostenibile. E tra gli addetti ai lavori ci si interroga sulle ragioni di tagli in fase progettuale, considerando il peso del progetto per tutta la fase successiva. “Si può benissimo spendere 200-500 euro al mq in più per sostenere la qualità di un progetto. Nel business plan complessivo – commenta Aresi – ci sono risorse per ottenere anche ritorni importanti, quelli del progetto sono extra-costi che si tramutano in investimento certo”.

Ma quanto guadagnano gli architetti? Concentrandosi sulla committenza privata più ricca, quella dei developer e dell’industria, si va da tariffe del 4-5%, fino al 15% per i grandi nomi dell’architettura internazionale. “Nel primo caso è evidente – commenta Aresi – che non c’è margine per dedicare tempo e risorse per almeno un paio d’anni
di lavoro e considerando la platea di consulenti che oggi è necessario coinvolgere, con richieste continue da parte degli investitori per l’adattamento delle soluzioni”.

MIND. 1 milione di mq di superficie, 300mila mq di parco, 490mila mq per lo sviluppo privato. Sono 15mila i mq rigenerati da Expo rifunzionalizzati entro il 2023. Foto di Filippo Podestà

In generale, mentre le imprese sono riuscite a far alzare i propri prezzi, i progettisti accettano parcelle non sostenibili e subendole, pur di non perdere il lavoro, non spronano la committenza ad adeguare le richieste e far crescere il mercato. Vale per il privato, ma non sempre il pubblico insegna: basti ricordare che nei concorsi di architettura partecipano centinaia di studi con un lavoro a sbalzo e con rimborsi spesa solo per chi si classifica nelle prime posizioni che difficilmente coprono le spese. Spieghiamoci: se per fare un concorso si impiegano un paio di mesi di lavoro, con 20-30 persone coinvolte, 500 ore di lavoro per 40-50 euro all’ora, credere nelle gare come forma di procurement è un terno al lotto. Un mercato fragile, con rischi e incertezze all’ordine del giorno che si traducono in un sistema raramente strutturato, a cui consegue ad esempio la scelta di coinvolgere collaboratori per anni a partita iva, piuttosto che inserirli nell’organico.

E per il prossimo futuro? Il mondo del real estate punta tutto su Roma, la Capitale è la città-target entro i prossimi cinque anni, lo hanno ribadito nell’ultima edizione del Forum di Scenari Immobiliari a Rapallo player del calibro di Generali Real Estate, Dea Capital, Investire e Coima. Grande interesse per operazioni come quelle degli stadi, con capitali privati e che coinvolgono committenti nuovi e progetti di grandi dimensioni, con forti ricadute sul territorio. Si attende uno scarto di novità dalle imprese, che facciano vera innovazione per cambiare il modo di costruire, investendo in ricerca e sviluppo. L’appello di chi è super partes e dialoga con tutta la filiera è di tornare ad investire su chi oggi davvero concorre alla transizione culturale del progetto, gli studi di progettazione ma soprattutto i design e project manager, che possono guidare e coordinare le diverse discipline, prendendosi cura dell’intento progettuale e traducendolo in operazioni concrete e sostenibili.

*Paola Pierotti/giornalista PPAN

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