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Aids, tra progressi scientifici, privacy e discriminazione

Il 1° dicembre è stata la giornata mondiale per la lotta contro l’Aids, istituita nel 1988 dall’Organizzazione mondiale della Sanità con l’obiettivo di sensibilizzare sui rischi connessi a Hiv e Aids.

Sebbene gli anni ‘90 e gli ormai antiquati spot in televisione con l’alone viola che mettevano in guarda contro l’Hiv – “Aids, se lo conosci lo eviti” – siano lontani, il virus non ha mai smesso di circolare. Negli ultimi anni la sua incidenza non si è fermata e i nuovi casi sono stati rilevati soprattutto tra i più giovani e tra gli over 40: il dato allarmante è che il 60% scopre di avere l’Hiv dopo molti anni.

Nel corso del tempo sono stati compiuti passi da gigante dalla scienza e dalla ricerca alla lotta all’Hiv: non è un caso che uno degli obiettivi di sviluppo sostenibile fissati dalla comunità internazionale per il 2030 sia per l’appunto la fine dell’epidemia di Hiv/Aids.

Tra gli strumenti a disposizione per la prevenzione, oltre al tradizionale preservativo e ai test, oggi vi è la profilassi pre-esposizione (PrEP), ovvero l’uso di farmaci antiretrovirali in persone Hiv-negative che corrono il rischio di contrarre l’Hiv: questo strumento contribuisce a ridurre sensibilmente il numero delle infezioni, diventando un’arma in più nella lotta al virus e un ottimo strumento per garantire la salute pubblica e diminuire i costi a essa collegata. Anche in Italia, grazie al lavoro incessante di tante associazioni che hanno esercitato a lungo pressione sulle autorità, la PrEP è finalmente diventata gratuita, rimborsabile e accessibile a tutti.

Purtroppo sul fronte culturale permane invece lo stigma relativo all’Hiv, che si declina in ogni ambito della sfera sociale: da quello personale, al famigliare, passando per i rapporti amicali, sentimentali e ovviamente terminando nel mondo del lavoro.

Uno stigma che sembra avere radici quasi ataviche, irrazionali, e che trova facile appiglio nell’ignoranza e nella paura verso il prossimo, per ragioni di mera conservazione personale: una misura di ciò viene data dai dati di alcuni sondaggi realizzati nel 2022 da Gay.it, il più autorevole magazine LGBT+ d’Italia, secondo i quali esistono tuttora persone, anche facenti parti della comunità, che hanno paura a sedersi accanto ad una persona Hiv positiva oppure a bere dallo stesso bicchiere.

In Italia lo Statuto dei lavoratori vieta tassativamente al datore di lavoro di compiere in maniera diretta accertamenti inerenti lo stato di salute del dipendente; in particolare la provvidenziale legge 135/90 vieta espressamente al datore di lavoro lo svolgimento di indagini volte ad accertare lo stato di sieropositività all’Hiv.

L’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO o OIL) – l’agenzia delle Nazioni Unite che si occupa di promuovere la giustizia sociale e i diritti nel mondo del lavoro – ribadisce che non è consentito effettuare discriminazioni sulla base di una effettiva o presunta positività all’Hiv, e che a nessun lavoratore deve essere richiesto di effettuare il test Hiv o di rilevare il proprio stato sierologico, come avveniva in fase di colloquio e persino nel corso di alcuni concorsi pubblici: alla luce dei progressi scientifici e delle conoscenze a nostra disposizione, ciò che è importante ribadire è che il diritto alla privacy deve essere considerato prioritario anche e soprattutto per quanto riguarda lo stato di salute di ognuno.

Durante il primo anno di attività dello sportello del Centro antidiscriminazione del Circolo Mario Mieli sono arrivate numerose segnalazioni di casi di richiesta di test Hiv durante la periodica visita di salute organizzata dal datore di lavoro: come abbiamo visto non si tratta affatto di un atto dovuto, ma in caso di rifiuto è tutt’altro che raro – come abbiamo potuto constatare – che vi siano risvolti negativi nella forma di un soft mobbing da parte di colleghi e risorse umane.

La questione, in un mondo in cui l’Aids è diventata una malattia importante ma al pari di molte altre, è molto sentita e quanto mai attuale: nei prossimi mesi arriverà alla Camera dei deputati il nuovo testo del disegno di legge che andrà ad aggiornare e sostituire la 135/1990 in materia di Hiv/Aids; le associazioni che si occupano di Hiv e quella che presiedo hanno richiesto tra le altre cose che vengano rafforzati gli articoli che riguardano la discriminazione sul lavoro relativamente all’Hiv e alle altre malattie sessualmente trasmissibili.

D’altro canto la lotta all’Hiv, come quella della salute e della prevenzione, è parte integrante della storia del Mario Mieli: negli anni ‘80, agli albori dell’epidemia, i membri del Circolo si sottoposero volontariamente ai primi screening in Italia presso l’ospedale Spallanzani, e l’Istituto superiore di sanità raccolse dati fondamentali per mettere a punto protocolli all’avanguardia.

Il Mieli, insieme a 9 associazioni partner, ha di recente lanciato la rivoluzionaria campagna informativa “U=U: impossibile sbagliare” che mira a far conoscere ciò che studi ed evidenze scientifiche dicono chiaramente: oggi una persona con Hiv, che sia in terapia e con carica virale non rilevabile, non può trasmettere il virus. L’obiettivo dello spot e della campagna è proprio quello di cambiare l’immaginario sul tema e di fornire un’informazione corretta per liberarci finalmente, dopo più di 40 anni, dallo stigma sociale che avvolge ancora chi ha incontrato questo virus. 

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