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Proteste trattori, Giansanti: costruiamo insieme l’agricoltura del futuro

In tutta Europa i trattori degli agricoltori sfilano minacciosi per le strade, rivendicando condizioni remunerative migliori per una categoria allo stremo delle forze. Nell’occhio del ciclone sono finite le misure della nuova PAC, la Politica agricola comune dell’Unione europea che, per aderire al Green Deal, chiede agli agricoltori una svolta sul piano della sostenibilità ambientale. Ma fra vincoli di produzione, rincari dei prezzi, concorrenza sleale di altri Paesi, a venire meno è la sostenibilità economica e sociale per il settore. “Le politiche adottate dall’ultima Commissione hanno mirato alla destrutturazione produttiva dell’Europa, guardando all’ideologia ambientalista piuttosto che a un sano pragmatismo”, ha spiegato a Fortune Italia Massimiliano Giansanti, presidente di Confagricoltura.

Presidente Giansanti, le proteste divampano a Bruxelles e in tutta Europa. Ci aiuta a comprendere il contesto generale in cui si inseriscono questi eventi?

È venuto meno il senso di Europa che noi agricoltori avevamo contribuito a costituire più di sessanta anni fa. Nei fatti, le politiche agricole, insieme a quelle dell’acciaio, gettarono le basi dell’Europa attuale. Il trattato istitutivo della Comunità europea dice molto chiaramente che la politica agricola comune deve garantire l’autosufficienza alimentare, la sicurezza alimentare, un giusto reddito per gli agricoltori e una disponibilità di cibo sano al giusto prezzo per i consumatori.

Crede che questi obiettivi siano stati raggiunti?

Probabilmente no. Le politiche adottate dall’ultima Commissione hanno mirato alla destrutturazione produttiva dell’Europa, secondo dei modelli che guardano più ai temi dell’ideologia ambientalista piuttosto che a un sano pragmatismo. Oggi noi ci ritroviamo di fronte a una serie di focolai di protesta in tutta Europa, che rappresentano un chiaro sintomo del disagio vissuto dagli agricoltori europei. Parliamo di una seria contrazione del reddito degli operatori, se non addirittura di una produzione in perdita e l’Europa ci chiede di non produrre. L’Ue non ha capito che gli agricoltori non sono parte del problema, ma vittime del cambiamento climatico. 

Quali sono a suo avviso i punti più problematici della Politica agricola comune?

Oggi si parla moltissimo dell’obbligo di destinare il 4% dei terreni coltivabili ad altre attività; ma è proprio l’impostazione generale a essere sbagliata. Col precedente commissario Hogan fu inizialmente presentata la proposta di una revisione della Politica agricola comune che andava incontro all’esigenze dell’Europa di aumentare la sua capacità produttiva. Più l’agricoltura cresce, maggiori sono le garanzie per i consumatori, ma maggiore è anche il valore aggiunto e il reddito prodotto che noi poi distribuiamo anche ai nostri lavoratori. 

La nuova Commissione però ha fatto scelte diverse. 

Ha preferito definire una strategia volta al contenimento della produzione e dell’utilizzo dei prodotti fitofarmaci. Ma se non ci viene data la possibilità di curare le piante che si ammalano né ci danno piante più resistenti a siccità e nuove malattie, è evidente che non abbiamo strumenti per proteggerci. Il tema è anche quello di una scarsa attenzione per le necessità alimentari primarie dei cittadini europei. Noi oggi dovremmo, ad esempio, dare maggiore impulso alla produzione di cereali e proteine vegetali, due elementi centrali nella dieta mediterranea e in quella delle aree più interne del continente. Al contrario, la PAC ci chiede di fare rotazione delle colture. A ciò si aggiunge una complessità amministrativa estenuante, che ci porta a dedicare un terzo del nostro tempo a gestire carte invece di stare in campagna a produrre. 

Come si conciliano allora la sostenibilità ambientale e quella economica?

Bisognerebbe consentire anche agli agricoltori di partecipare alla costruzione di un progetto comune sul futuro dell’agricoltura europea. Questo dialogo però finora non c’è mai stato. Una settimana fa la presidente Von der Leyen ha presentato un progetto e ha aperto al dialogo con la categoria. Noi a quel tavolo andremo a presentare il modello dell’agricoltura del futuro. 

In che cosa consiste?

Un’agricoltura che deve basarsi sull’utilizzo delle ultime tecnologie; per mezzo della digitalizzazione noi saremo molto più accurati e puntuali e potremo ridurre l’uso dei fitofarmaci assecondando una logica di controllo del processo produttivo. Chiediamo di essere incentivati nella sostituzione del parco macchine e nell’acquisto di nuove tecnologie che renderanno l’agricoltura sempre più competitiva. E poi un modello di agricoltura legato all’economia circolare, che recupera gli scarti delle produzioni per produrre energia rinnovabile, ad esempio il biometano che può alimentare il trattore e contribuire così a ridurre le emissioni. 

In che modo la guerra in Ucraina ha complicato il quadro per gli operatori europei?

In primis, ha prodotto delle oscillazioni e delle speculazioni micidiali sul mercato, che hanno creato fortissima instabilità sui prezzi, tanto’è che gli agricoltori hanno comprato gli input della produzione ai massimi e hanno venduto le produzioni ai minimi. E poi, pur condividendo chiaramente il fatto che l’attacco russo sia da condannare, aver allentato i dazi sull’importazione dall’Ucraina, che è un colosso agricolo, ha generato un crollo dei prezzi delle produzioni europee, che ha messo completamento in ginocchio tutto il settore. Noi oggi abbiamo, per esempio, il prezzo del girasole che è un terzo del valore di due anni fa.

Fra le ragioni della protesta c’è anche l’insofferenza degli agricoltori che devono competere con prodotti di nazioni che non rispettano gli stessi standard sanitari e sociali dell’Ue. 

Questa è un’altra delle nostre grandi battaglie: il tema della reciprocità rispetto agli standard è fondamentale. Mentre noi discutiamo di standard sul benessere animale, ad esempio, importiamo nel nostro continente prodotti che da quel punto di vista sono distanti anni luce. Ancora, il settore ortofrutticolo europeo è sempre in competizione coi prodotti del Nord Africa, dove il costo del lavoro e le tutele sociali sono ben al di sotto di quelli italiani. Poter competere in un mercato globale senza strumenti di protezione è impossibile. 

Il malcontento espresso in questi giorni si fonda su un terreno comune, ma anche su istanze che variano da Paese a Paese. Quali sono le specificità del contesto italiano?

In questo momento l’agricoltura italiana sta attraversando una rivoluzione epocale. Negli anni scorsi, grazie ad Agricoltura 4.0, i nostri agricoltori hanno avviato un percorso di rinnovamento del parco macchine e in generale delle tecnologie proprio per affrontare le sfide che si presentano davanti a noi. Da una parte, l’aumento della produttività e della competitività, dall’altra, la sostenibilità ambientale. Si tratta di processi che vanno accompagnati da investimenti importanti e da questo punto di vista plaudiamo alle risorse destinate dal Governo col Pnrr. Ci farebbe molto piacere se la misura Agricoltura 4.0 potesse essere rifinanziata. 

Che cosa si sente di chiedere al Governo? 

Di sentirci attorno a un tavolo per promuovere un piano pluriennale per l’agricoltura italiana. Un piano del genere non si fa da quasi cinquant’anni. Forse è arrivato il momento di approntare un piano ambizioso di crescita, affinché si possa monitorare nel tempo dove stiamo andando. Non possiamo ridurre tutto a una discussione che dipenda solo dall’Europa: anche noi dobbiamo essere protagonisti del nostro presente e costruire insieme il nostro futuro. 

I trattori assediano l’Europa, i motivi della protesta

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