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Questione d’immagine

Il ‘nodo’ dei diritti d’immagine. Spesso, quando una società di calcio deve acquistare un nuovo giocatore, il problema da superare è proprio quello dei diritti d’immagine. Il calciatore in questione e il suo manager vogliono gestirli in proprio, per, magari, stipulare contratti di sponsorizzazione con aziende, cedendo loro la propria immagine, in cambio di soldi. Una fonte di guadagno che, nel caso dei calciatori più famosi e seguiti, diventa una miniera d’oro davanti alla quale qualsiasi stipendio (soprattutto se corrisposto dalle non ricchissime società italiane) può impallidire. Ne abbiamo parlato con l’avvocato Mattia Grassani*, esperto di diritto sportivo.

Mattia Grassani

Qual è il valore economico dei diritti d’immagine nel calcio e nello sport? Come viene determinato?

Utilizzando un termine borsistico, i diritti d’immagine nello sport rappresentano, a mio avviso, un ‘titolo’ in continua ascesa, perché negli ultimi anni la componente commerciale ha assunto un’importanza sempre maggiore nella gestione di un atleta professionista, nelle discipline individuali come in quelle a squadre. Addirittura, soprattutto negli sport individuali, esistono atleti che percepiscono redditi maggiori dallo sfruttamento della propria immagine piuttosto che dalle prestazioni ‘sul campo’. Per la determinazione del valore, comanda la legge del mercato: non esistono norme, regolamenti o anche soltanto formule particolari che guidino la valutazione dei diritti d’immagine, determinandosi, quest’ultima, sulla base delle richieste degli sponsor, dei ‘click’ degli internauti, delle reazioni del pubblico ai post del o sul campione. È prassi recente, che ritengo virtuosa, seguita da alcuni atleti di prima fascia, affidarsi, prima di negoziare i rapporti aventi ad oggetto lo sfruttamento della propria immagine, a società di consulenza. Questo affinché, preliminarmente alla trattativa, realizzino una sorta di perizia, dati alla mano, che porti a una quantificazione di massima del valore, offrendo all’interlocutore una possibile simulazione dei potenziali profitti derivanti dall’abbinamento di un marchio commerciale a quello dello sportivo.

Esistono dei paletti come quelli del Regno Unito? Come vengono sfruttati i diritti d’immagine? Quanto sono diventati importanti, nell’epoca dei social, rispetto alla normale retribuzione degli sportivi?

Il decreto legislativo 36/2021 per la prima volta introduce, con rango di legge, l’obbligo per i club di depositare, presso la Federazione di appartenenza, i contratti di sfruttamento dei diritti di immagine dei calciatori per essi tesserati. Tuttavia, non è previsto formalmente alcun limite o vincolo agli importi riconosciuti agli atleti a tale titolo. Appare rilevante, sotto questo profilo, l’art. 43, comma 3, L. n. 289/2002 secondo cui i compensi corrisposti a titolo di cessione dello sfruttamento economico del diritto d’immagine sono esclusi dalla base contributiva e pensionabile nei limiti del 40% dell’importo complessivo percepito per prestazioni riconducibili alla medesima attività lavorativa. Detta previsione, di fatto, introduce un tetto massimo alle somme percepite a titolo di sfruttamento dei diritti d’immagine, in quanto superando la soglia del 40% del totale sono assimilati a redditi da lavoro. Nella prassi, poi, i club virtuosi sono soliti rimanere abbondantemente ‘sotto soglia’, limitando gli importi riconosciuti a titolo di sfruttamento dei diritti d’immagine intorno al 20% dei compensi complessivi erogati in favore dell’atleta.

Come vengono gestiti i diritti d’immagine in Italia? Ci sono differenze con l’estero?

In Italia non esiste una cultura profonda dello sfruttamento dei diritti d’immagine, a differenza dei Paesi anglosassoni e degli Stati Uniti. L’unica società, in Serie A di calcio, che gestisce i diritti di immagine di tutti i propri tesserati, come precisa policy aziendale, è il Napoli. Non è infrequente, poi, soprattutto tra i grandi club, che all’atto dell’ingaggio dell’atleta, vi sia una condivisione con il giocatore dei proventi derivanti dallo sfruttamento dell’immagine generati dall’attività di marketing della società. Nel basket è maggiore la diffusione di questa prassi, sia per una diversa cultura, sia per i valori oggettivamente diversi che, spesso, rendono poco appetibile l’immagine di un cestista se disgiunta da quella del club.

Quali sono le tendenze attuali nella gestione dei diritti d’immagine nel calcio a livello internazionale?

Soprattutto nei big five – Italia, Inghilterra, Francia, Spagna, Germania – i club più importanti prestano sempre maggiore attenzione ai ricavi derivanti dallo sfruttamento dei diritti d’immagine, cercando di trovare forme di compromesso tra l’acquisizione sic et simpliciter e il mantenimento degli stessi in capo all’atleta, ma il terreno è ancora poco battuto: un po’ a causa di una storia che ha visto il mondo del calcio, a differenza ad esempio del basket, avvicinarsi tardivamente a certi temi, ma anche perché l’interesse primario al conseguimento del risultato sportivo porta i club più importanti a ingaggiare giocatori di grande fama internazionale meno inclini a discutere, all’atto della negoziazione del contratto, la cessione dei diritti di sfruttamento dell’immagine, in quanto produttivi di ricavi assolutamente considerevoli.

Quanto è ‘unico’ l’approccio del Napoli (il nodo dello sfruttamento dell’immagine torna spesso)? Quali conseguenze ha sulla sua capacità di attirare e trattenere calciatori?

È unico perché ha introdotto la gestione dei diritti di immagine dei calciatori per essa tesserati come policy aziendale e, dunque, come requisito pregiudiziale per l’ingaggio di un atleta. Probabilmente rende meno agevole il tesseramento di atleti di fama internazionale, delle cosiddette ‘stelle’, ma rappresenta un esempio di gestione aziendale virtuosa e un modello da seguire nell’ottica della sostenibilità di sistema. Anche perché, come la stagione scorsa ha dimostrato, vincere senza fare follie, garantendo la continuità aziendale, è possibile.

Il tema del fisco

La tassazione dei proventi dai diritti d’immagine è la stessa del reddito da lavoro, ma il discorso si complica ai livelli più alti.

Quanto è vantaggiosa la tassazione nel caso dei diritti di immagine?

Secondo Grassani “la tassazione dei proventi derivanti dallo sfruttamento dei diritti d’immagine è la medesima di quelli da lavoro, perché rileva il luogo in cui il reddito è prodotto. Per uno sportivo che presta attività di lavoro subordinato in Italia, non può che essere l’Italia e dunque a tutti i ricavi si applica la medesima tassazione”.

Diverso è il caso, dice, “per gli sportivi che praticano sport individuali e spesso attività itineranti, come il tennis, la Formula Uno, il motociclismo. È anche per questo che molti dei nostri talenti scelgono di trasferirsi all’estero, anche se è bene ricordare che, ai fini fiscali, sono considerate residenti anche le persone che pur non avendo la residenza in Italia hanno nel territorio dello Stato italiano il proprio domicilio, ossia la sede principale dei propri affari e interessi”.

Alcuni calciatori all’estero per questo avrebbero aperto società offshore per pagare meno tasse. È un fenomeno diffuso?

Per Grassani “soprattutto a livelli di eccellenza è un fenomeno piuttosto diffuso. Esistono Paesi in cui i regimi fiscali sono molto vantaggiosi rispetto all’Italia e, dunque, soprattutto chi produce redditi di grande rilevanza, può valutare certe scelte. Le competenti autorità sono molto attente a questi fenomeni e si è provato a intervenire anche a livello legislativo. Ad esempio, l’art. 24 bis del TUIR prevede che i neo-residenti in Italia – dopo almeno nove anni di residenza in Paese straniero – possono scegliere di aderire, per un periodo di 15 anni, ad una imposta sostitutiva forfettaria per i redditi prodotti all’estero versando al fisco la somma di 100.000 euro. Si pensi ai benefici per autentici ‘brand umani’, quali Cristiano Ronaldo, che prestino la loro attività principale – se ancora l’attività sportiva si può definire come principale – in Italia, producendo, però, redditi in misura almeno paritaria in conseguenza dello sfruttamento dell’immagine all’estero mediante società costituite ad hoc”.

 

*Laureato nel 1988 presso l’Università degli Studi di Bologna, è esperto di diritto sportivo, societario e contrattualistica.

 

 

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