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Massimiliano Dona: Servono regole chiare per i Content Creator

Avvocato, presidente dell’Unione nazionale consumatori, ma al contempo content creator e profondo conoscitore dei social network e della creator economy. Con Massimiliano Dona abbiamo approfondito il funzionamento di un comparto in grande crescita, ma che ha bisogno di regole chiare per evitare distorsioni e ambiguità.

L’intervista

Che cosa si intende oggi per content creator economy?

Sull’argomento c’è un po’ di confusione. Si tratta in effetti di un concetto abbastanza esteso: si va dal classico influencer commerciale ai divulgatori di contenuti di valore, fino alle social media company come Will, Torcha, Freeda o Geopop. Mettere ordine in uno scenario così complesso non è facile, perché non è facile stabilire regole valide per tutti.

Quali sono state le principali evoluzioni che hanno attraversato il fenomeno negli ultimi anni?

L’evoluzione che mi sembra più appariscente è il passaggio da canali puramente commerciali, quelli dei classici influencer che sponsorizzano prodotti e servizi, a veri e propri canali media, che mettono l’accento sulla produzione di contenuti di qualità. Da qui nasce un uso delle piattaforme con una connotazione sociale: consentire alle persone di informarsi in modo rapido e in alcuni casi pure approfondito.

Non crede però che questi canali giochino su un campo diverso rispetto a giornali e media tradizionali, legati a precise regole deontologiche?

Nel momento in cui l’informazione si sposta dai canali tradizionali a quelli social le regole vanno aggiornate. Però potrei farle tanti esempi di comunicazione commerciale camuffata anche sui media tradizionali. Sulla carta stampata non di rado ci si imbatte in contenuti commerciali mascherati da articoli. In televisione le telepromozioni sono sempre più innestate nella narrazione televisiva. A Sanremo è lo stesso conduttore che, dopo aver presentato un cantante, scende in platea e inscena un siparietto con uno sponsor. Non veicolerei il messaggio che soltanto online c’è confusione fra contenuto e pubblicità.

Come si esce da questa ambiguità?

La distinzione fra contenuto e pubblicità va resa il più evidente possibile. Sui social i cosiddetti hashtag della trasparenza non bastano più: bisognerebbe etichettare il contenuto pubblicitario anche con un messaggio in sovraimpressione. La pubblicità deve essere palese, percepita come tale affinché il consumatore possa guardarla con maggiore spirito critico.

Quali regole si devono rispettare per i ‘branded content’?

Fanno fede le linee guida dell’Antitrust e quelle dello Iap, l’Istituto dell’autodisciplina pubblicitaria con la sua digital chart. Ogni contenuto sponsorizzato va accompagnato dall’hashtag ad o adv, seguito dal tag dell’azienda. Se invece il prodotto è fornito gratuitamente al creator, l’hashtag da utilizzare è ‘supplied by’ o ‘fornito da’. Ciò vale anche se sono stato ospitato in una struttura alberghiera della quale racconto meraviglie. Non mancano le zone grigie: è il caso di chi fa pubblicità a un suo prodotto. Qui il discrimine è dato da quanto è evidente per il consumatore che si tratti di un’auto-promozione. Laddove non è palese, bisogna inserire gli hashtag della trasparenza.

Qual è la normativa che disciplina l’attività dei content creator?

L’Agcom è al lavoro per elaborare un codice di condotta che vedrà la luce fra qualche mese. In attesa di una normativa ad hoc, adottiamo anche per i social le regole generali sulla pubblicità e sulla trasparenza, contenute nel Testo unico dei servizi di media audiovisivi, oltre alle già citate linee guida dell’Antitrust e dello Iap.

Crede il diritto si troverà sempre a inseguire la tecnologia?

Il diritto sarà sempre in ritardo, soprattutto perché siamo di fronte a fenomeni globali. Oggi una delle principali minacce è rappresentata dai deepfake, che usano le immagini di personaggi famosi a loro insaputa per pubblicizzare trading online o diete miracolose. L’AI Act stabilisce che ogni prodotto realizzato con l’intelligenza artificiale dovrà presentare una scritta in sovraimpressione che ne chiarisca l’origine.

Lei è un avvocato, uno strenuo difensore dei diritti dei consumatori, ma anche un content creator con un grosso seguito. Come coniuga queste due attività?

Io uso i social con una funzione di utilità sociale, per fare informazione e prevenzione, arrivando ai consumatori prima che siano caduti in una truffa e non dopo. In questo i social sono uno strumento incredibile. Per questo motivo l’Unione nazionale consumatori, insieme ad Assoinfluencer, Iulm AI Lab e Volocom, sta lanciando Sprint, un progetto che mira a valorizzare creator e contenuti ad alto impatto sociale, per dimostrare che sui social ci si può informare, ma a condizione di scegliere i contenuti giusti.

Che cosa direbbe ai content creator che pubblicizzano a pagamento prodotti e servizi?

Direi loro che fare pubblicità è un’attività del tutto lecita. Ma la relazione con il loro pubblico è la cosa più importante. Tradire quella fiducia per guadagnare qualcosa in più per una campagna opaca vuol dire gettare al vento l’investimento sulla propria community. Chi lo fa è destinato ad avere vita breve; chi invece, magari avanzando più lentamente, consolida la relazione con i follower, potrà fare maggiori fortune in futuro, perché avere un pubblico sui social è importantissimo.

 

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