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Imprese e sostenibilità, due mondi ancora lontani

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Nel giorno della 51esima Giornata Mondiale della Terra, colpisce come sia ancora necessario creare consapevolezza sul tema della sostenibilità. In questo caso, soprattutto tra le aziende. Secondo una recente indagine Istat tra le 4,4 mln di imprese italiane, poco più di un milione è interessata ad avviare un percorso di “trasformazione sostenibile”.

Un’impresa è sostenibile quando tra gli obiettivi aziendali c’è quello di migliorare l’impatto ambientale, ma non solo. Contribuire allo sviluppo socioeconomico delle comunità in cui operano. Abbracciare una prospettiva di lungo periodo che includa nel loro business anche una dimensione sociale con un approccio trasparente.

In realtà solo una minima parte ha metabolizzato la necessità di questa trasformazione radicale e conquistato la flessibilità per aggiornarsi in maniera continua. Queste sono le cosiddette imprese ‘driver’, quelle capaci di guidare le altre, che tuttavia non arrivano allo 0,3×1000 del sistema. L’1,7×1000 è costituito invece dalle imprese ‘performer’ al lavoro per diventare “driver” e quindi dei punti di riferimento nella strada verso un futuro più green. Il 4% delle imprese sono ‘follower’, in sostanza, ci stanno ancora pensando. Il restante 95,8%, fatto soprattutto da Pmi, nel migliore dei casi, ha sentito parlare di sostenibilità d’impresa ma non crede ancora nella necessità della trasformazione sostenibile in tempi rapidi.

La sostenibilità è quindi un termine spesso abusato nel linguaggio comune e dalle stesse imprese, visto che, ad oggi, sono in realtà poche quelle che sanno realmente come praticarla e beneficiarne. Non è un caso che non arrivino a 2.000 i bilanci di sostenibilità redatti dalle aziende analizzati da ConsumerLab, il centro studi specializzato nella promozione della cultura della sostenibilità.

I dati Istat evidenziano due trend paralleli: crescono sia la consapevolezza dei cittadini e sia l’importanza della reputazione aziendale negli acquisti. Le imprese, però, non sanno come valorizzare queste due tendenze.

Il problema infatti è che imprese e consumatori non riescono a dialogare su questo tema. Le prime redigono bilanci di sostenibilità complicati. I secondi non ricevono le informazioni adeguate capaci di sensibilizzarli e renderli consapevoli a scegliere il merito. Infatti solo il 32% dei cittadini sceglie in quale impresa consumare sulla base della reputazione e quindi sulla maggiore ricerca di sostenibilità.

Per mettere in contatto le imprese e i consumatori su questo tema dal 10 al 12 giugno lo Stadio Domiziano di Roma ospiterà il congresso Future Respect. Potrà essere visto anche online ed è presieduto da Luca Bernardo, direttore del Dipartimento Medicina dell’Infanzia e dell’Età Evolutiva Ospedale Fatebenefratelli-Sacco, e da Carlo Gaudio, presidente del Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria.

Del resto, per Francesco Tamburella, coordinatore del comitato organizzativo dell’evento, “la parola sostenibilità è un paniere di significati, quindi messo da qualche parte fa la sua figura e certamente coglie qualche punto debole”. E aggiunge “le imprese tendono a sfruttare il concetto senza attività reali e concrete. Il risultato è la strumentalizzazione del termine, degradandone la portata, distorcendone il significato, impoverendone l’efficacia».

La trasformazione sostenibile, invece dovrebbe essere la chiave della concorrenza perché, i consumatori sceglieranno sempre di più sulla base del merito e dei valori. Saranno sempre meno convinti da una pubblicità tradizionale, testimonial e la rincorsa al prezzo più basso.

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