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Difficile (ma non impossibile) fare peggio

Si chiude l’esperienza del governo giallo-verde. In un anno ha fatto poco, e male, come abbiamo raccontato passaggio dopo passaggio. Ha scontato soprattutto il peccato originale di un contratto che aveva la presunzione di mettere insieme due programmi alternativi, che si sono dimostrati inconciliabili. I due vicepremier, Matteo Salvini e Luigi Di Maio, che del governo hanno assunto chiaramente la responsabilità politica, hanno tentato anche di trovare margini di manovra a discapito dell’equilibrio nei conti pubblici, alzando il livello della tensione con l’Europa ma vedendosi poi costretti a ripiegare per evitare una sanguinosa procedura d’infrazione.

Sono passate le due principali misure di bandiera, il reddito di cittadinanza e quota 100. Sono misure temporanee, non sbagliate nel merito ma sicuramente costruite male. Con una palese approssimazione. Per il resto, gli sbandierati, e discutibili, provvedimenti sul fronte sicurezza e migranti e, soprattutto, nessuna risposta alle esigenze prioritarie per l’economia, a partire da lavoro e industria.

Con il passare dei mesi sono emerse due figure di mediazione, diventate anche di garanzia: quelle del premier Giuseppe Conte, che ha progressivamente legittimato una leadership che nessuno gli riconosceva, e quella del ministro dell’economia Giovanni Tria, che è stato capace di tenere invalicabili i confini di una corretta gestione del bilancio pubblico.

L’alleanza giallo-verde, costruita artificialmente dopo le ultime elezioni politiche, è naufragata quando con le elezioni europee è cambiato l’equilibrio interno alla maggioranza. Il consenso raccolto ha autorizzato Salvini a spingere per ribaltare i rapporti di forza all’interno del governo, evidenziando ogni singola differenza, aumentando quotidianamente la distanza tra le posizioni gialle e quelle verdi. Poi è arrivata la crisi di Ferragosto, evidentemente conseguenza di un calcolo politico sbagliato, e poi l’epilogo di oggi, che apre uno scenario che potrà chiarirsi solo nei prossimi giorni.

Quello che verrà difficilmente potrà essere peggiore di quello che è stato. Che si trovi una nuova maggioranza nell’attuale Parlamento, o che si passi dalle elezioni. A patto, però, che si arrivi a formare un governo che possa contare su un programma coerente e su una maggioranza solida. Condizioni al momento difficili da concretizzare ma a cui il Quirinale, con il Capo dello Stato Sergio Mattarella, ha già chiarito in via informale, ma netta, di non voler rinunciare. Al contrario, un nuovo compromesso che si regga solo su interessi di parte potrebbe produrre ulteriore danno. In gioco ci sono la credibilità del Paese e la fiducia dei mercati internazionali, che restano due fattori determinanti per evitare di ripiombare nella crisi finanziaria.

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