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I Bitcoin e la difficile sfida della sostenibilità

bitcoin mining

Alcuni, come Elon Musk, sognano una criptovaluta sostenibile. L’impronta ambientale dei Bitcoin riuscirà davvero a migliorare? La versione originale di questo articolo è disponibile sul numero di Fortune Italia di ottobre 2021.

ELON MUSK STESSO difficilmente avrebbe potuto immaginare un ambiente più idilliaco per un miner di Bitcoin. Fondata nel 2017, Bitfarms è un’azienda canadese con cinque centri di calcolo altamente specializzati situati vicino ai fiumi Yamaska e Magog in Quebec, a est di Montreal.

Le strutture sono server farm ad alto consumo di elettricità piene di macchine che eseguono algoritmi 24 ore su 24, 7 giorni su 7, per risolvere enigmi matematici e sbloccare nuove unità della criptovaluta Bitcoin, in un processo noto come “mining”. Ma poiché funzionano interamente con l’energia idroelettrica, queste server farm nella campagna canadese potrebbero semplicemente rappresentare la più ecologica tra le operazioni di crypto mining del pianeta.

E non è solo l’impronta ambientale di Bitfarms a essere esemplare. Lo stesso vale per i margini di profitto della società, quotata al Nasdaq, soprattutto perché il prezzo di Bitcoin è aumentato vertiginosamente nell’ultimo anno. Consideriamo l’incredibile ascesa dell’azienda nei profitti giornalieri. Nel marzo del 2020, Bitfarms ha registrato un profitto di 35mila dollari ogni 24 ore. All’epoca, un Bitcoin valeva circa 6.300 dollari. Poi, lo scorso autunno, il prezzo ha iniziato a salire. A gennaio, con il prezzo superiore a 30.000 dollari, i profitti giornalieri del miner sono balzati a 163mila dollari. E a marzo, quando il prezzo ha superato i 60mila dollari, Bitfarms guadagnava circa 330mila dollari al giorno e 85 centesimi di profitto lordo per ogni dollaro di Bitcoin estratto.

Poiché l’elettricità è di gran lunga la spesa maggiore per l’estrazione di Bitcoin, i costi operativi dell’azienda sono quasi interamente fissi. Fino alla fine di luglio, le azioni di Bitfarms si erano moltiplicate sette volte da dicembre, dandogli un valore di mercato vicino a 550 mln di dollari. Il prezzo del Bitcoin è crollato dall’inizio di maggio, attestandosi a poco meno di 35mila dollari per la maggior parte di luglio. Ma, incredibilmente, Bitfarms sta intascando tanto profitto quanto ha fatto al massimo della valutazione del Bitcoin, perché sta ottenendo circa il doppio delle monete.

Dall’inizio del 2021, i suoi guadagni sono raddoppiate da sette a 14 monete al giorno. E secondo la stima di Fortune, la sua spesa per Bitcoin è scesa da 8.500 a circa 4.500 dollari. “Le nostre entrate, con lo stesso costo operativo di prima, sono appena raddoppiate”, dice il chief mining officer di Bitfarms, Ben Gagnon. Qual è la spiegazione di questo incredibile aumento dell’efficienza operativa e della redditività? La risposta a questa domanda si collega direttamente a uno sviluppo rivoluzionario nel mondo del mining di Bitcoin, che avrà enormi implicazioni per il crescente dibattito sull’impatto ambientale delle criptovalute.

IN PAROLE POVERE, Bitfarms è uno dei maggiori beneficiari della decisione del governo cinese di metà giugno di vietare sostanzialmente l’estrazione di Bitcoin. Il 19 giugno, le province di Sichuan e Yunnan hanno ordinato a tutti i miner di andarsene. Pochi giorni dopo, il governo centrale ha imposto quello che equivaleva a un divieto a livello nazionale ordinando alle banche cinesi di porre fine a tutti i rapporti con i produttori di Bitcoin. Secondo Alex de Vries, un economista il cui sito web Digiconomist tiene traccia del consumo energetico di Bitcoin, i minatori cinesi hanno chiuso circa il 90% della produzione prima della fine di giugno e hanno iniziato a cercare posti promettenti in cui trasferirsi, dal Kazakistan al Texas.

Per la maggior parte dei 12 anni di esistenza del Bitcoin, la Cina è stata la più grande forza nel business del mining. De Vries calcola che fino a settembre 2019, la Cina rappresentava il 75% dell’intera rete. Detto questo, anche prima della repressione, il dominio della Cina è diminuito negli ultimi anni poiché alcuni minatori cinesi si sono avventurati all’estero, forse temendo l’intervento del governo. In meno di due anni, la quota statunitense del mining di Bitcoin è passata dal 4% al 17%, quella irachena dal 2% al 6% e quella del Kazakistan dall’1% al 5%. L’improvviso arresto dell’attività in Cina, tuttavia, significa che aziende come Bitfarms hanno molta meno concorrenza per sbloccare nuove monete, almeno per ora. Secondo de Vries, dal suo picco del 19 aprile, la potenza computazionale globale dedicata al mining di Bitcoin era diminuita di circa la metà alla fine di giugno.

La decisione della Cina di vietare l’estrazione di Bitcoin è stata guidata principalmente dal desiderio di Pechino di frenare le transazioni di criptovaluta al di fuori del sistema bancario. Ma la mossa potrebbe far sì che la produzione globale diventi molto meno sostenibile, almeno nel breve termine. L’energia idroelettrica pulita rappresentava gran parte della produzione cinese di Bitcoin, principalmente nel Sichuan e nello Yunnan. Da maggio a ottobre di ogni anno, le forti piogge nelle due province producono un ricco surplus di elettricità prodotta dalle loro centrali idroelettriche. “I minatori dello Xinjiang trasportavano letteralmente il loro hardware in quelle province meridionali per sfruttare sei mesi di energia super economica”, afferma de Vries, descrivendo la migrazione annuale ormai terminata delle operazioni cinesi. In autunno, l’attrezzatura tornava a Nord di 3.000 miglia fino allo Xinjiang, dove, per i successivi sei mesi, i miners passavano dall’elettricità prodotta dall’acqua a cascata all’energia generata dal carbone. Ora quei miners cercheranno a livello globale nuove fonti di elettricità disponibile a basso costo e la probabilità è che il mix energetico, a conti fatti, sarà meno sostenibile.

QUESTO CAMBIAMENTO RADICALE nella dinamica di sostenibilità del Bitcoin si sta verificando in un momento in cui l’impatto climatico della criptovaluta è sotto i riflettori, anche perché l’aumento dei prezzi delle criptovalute nell’ultimo anno ha attirato personaggi come Elon Musk nel dibattito sull’etica di Bitcoin. Il Ceo di Tesla ha acquistato 1,5 mld di dollari della criptovaluta all’inizio di quest’anno, dando il via a un gigantesco rally, poi ha fatto marcia indietro a maggio twittando che Tesla non avrebbe più accettato Bitcoin come pagamento per i suoi veicoli elettrici a causa della sua pesante impronta di carbonio, innescando una svendita di criptovalute. Sembrava che Musk potesse abbandonare Bitcoin all’inizio di giugno, quando ha pubblicato un meme su una coppia che si separava. Due settimane dopo, il principale showman dell’industria automobilistica ha twittato che Tesla avrebbe ripreso ad accettare Bitcoin se la situazione fosse migliorata. “Quando ci sarà conferma di un ragionevole [circa il 50%] utilizzo di energia pulita da parte dei miners”. A luglio, Musk ha partecipato a una discussione tanto attesa sulla questione della criptovaluta sostenibile in un evento virtuale (chiamato “The B Word”) con due sostenitori del Bitcoin, il cofondatore di Twitter Jack Dorsey e il Ceo di Ark Invest, Cathie Wood. Musk ha notato “una tendenza positiva” verso l’estrazione con energia pulita.

DUE DOMANDE DETERMINERANNO in gran parte se Musk ha ragione o meno su questa tendenza positiva. Dove andranno ora i minatori cinesi di Bitcoin? E quale fonte di elettricità useranno per alimentare le loro macchine? Gagnon di Bitfarms, che ha lavorato a lungo in Cina, prevede che ci vorranno più di due anni prima che i minatori cinesi costruiscano nuove fabbriche all’estero. E il grado di difficoltà nell’organizzazione della logistica sarà molto più alto. In Cina, dice Gagnon, i miners potrebbero presentarsi in una centrale a carbone o in una diga idroelettrica e iniziare a lavorare quasi subito. “Berranno un paio di drink con i proprietari della centrale, poi ceneranno e chiuderanno un accordo con una stretta di mano. Il giorno dopo arriveranno con la loro attrezzatura”. Gli appaltatori elettrici e gli altri lavoratori lavoreranno 18 ore al giorno, sette giorni alla settimana, per erigere l’impianto che contiene i computer. “Dormiranno sul posto”, dice Gagnon. “Questo non succede nel resto del mondo”.

Negli Stati Uniti o in Europa, i miners cinesi dovrebbero ottenere permessi, negoziare accordi con i servizi pubblici e assumere appaltatori che lavorano a un ritmo molto più lento. Anche garantire energia idroelettrica economica e pulita come nello Yunnan o nel Quebec non è facile. Sì, i minatori potrebbero affollarsi in luoghi che offrono energia in eccesso fornita da fonti rinnovabili, come lo Stato di Washington, ricco di risorse idriche. Tuttavia, avrebbero bisogno di ottenere permessi separati dalle singole contee e dal governo federale per sfruttare le reti. Un’altra opzione è una fonte trascurata che non emette CO2 ma non è considerata “verde”. Lo specialista di mining Standard Power, ad esempio, ha appena firmato un accordo quinquennale in Ohio per produrre Bitcoin utilizzando l’energia nucleare. Ma il più grande affare minerario di tutti finora punta nella direzione opposta sulla scala della sostenibilità. Il 15 luglio, una piccola compagnia energetica con sede in Nevada chiamata Black Rock Petroleum ha annunciato un accordo che, se effettivamente avverrà, trasferirà la parte maggiore dei minatori cinesi di Bitcoin nella provincia canadese dell’Alberta, ricca di petrolio, dove i miner attingeranno a energia a gas naturale.

 

“Ho studiato questo settore per cinque anni e pochi annunci mi hanno scioccato più di questo”, afferma de Vries. “Anche a causa della grandezza dell’accordo. E in secondo luogo, perché anche se accadesse solo in parte, i minatori che dovessero spostarsi dalla Cina all’Alberta aumenterebbero la dipendenza dell’industria dai combustibili fossili”. Il comunicato stampa di Black Rock Petroleum afferma che la società ha raggiunto un accordo con Optimum Mining Host Ltd per fornire elettricità a ben 1 milione di computer specializzati che generano Bitcoin da tre siti di produzione di gas naturale in Alberta.

Le prime 200.000 unità funzionerebbero con l’energia dei pozzi nei campi di Quirk Creek a Millarville, un villaggio appena a sud di Calgary. È gestito da Caledonian Midstream, una società con cui Black Rock Petroleum ha raggiunto un accordo per l’acquisto solo 11 giorni prima di concludere l’intesa con Optimum. Nelle fasi successive, Bkrp fornirebbe elettricità per altri 300.000 computer in una seconda sede e 500mila in una terza sede, con località ancora da determinare. Dati i volumi pianificati, Optimum sembra essere un’impresa che rappresenta un certo numero di minatori cinesi. Il comunicato stampa afferma che il milione di macchine sono quelle precedentemente utilizzate in Cina che ora sono state messe fuori servizio in magazzino. I computer “verranno trasferiti da località in Cina ed esportati in Canada per essere distribuiti da Black Rock Petroleum”.

In questo momento, l’unico modo per garantire che l’impronta di Bitcoin si riduca, salvo ulteriori divieti del governo, è che il prezzo scenda ulteriormente. I minatori seguono i soldi. Quindi, quando i profitti diminuiscono, lo fa anche il mining. Ma nel frattempo, essere ecologici e abbracciare Bitcoin allo stesso tempo è un esercizio da equilibristi. Basta chiedere a Elon Musk.

La versione originale di questo articolo è disponibile sul numero di Fortune Italia di ottobre 2021. Ci si può abbonare al magazine di Fortune Italia a questo link: potrete scegliere tra la versione cartacea, quella digitale oppure entrambe. Qui invece si possono acquistare i singoli numeri della rivista in versione digitale.

 

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