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Confindustria boccia il reddito di cittadinanza: è uno spreco

Il reddito di cittadinanza potrebbe costare molto (30 miliardi di euro o più rispetto ai già elevati 17 miliardi prospettati dal M5S) e “comportare uno spreco ingente di risorse pubbliche, poiché verrebbe concesso anche a individui che poveri non sono”. Lo afferma il Centro studi Confindustria in un rapporto sullo strumento nel quale sottolinea che sarebbe sbagliato “affrettarsi a sostituire” il reddito di inclusione (Rei). Con il reddito di cittadinanza invece – dice il Csc – sarebbe “alto il rischio che disincentivi il lavoro”.

In Italia – ricorda il Centro studi di Confindustria – la povertà è cresciuta molto con la crisi con 1,6 milioni di famiglie in povertà assoluta per un totale di quasi 5 milioni di individui. L’indigenza- spiega – “è legata a doppio filo alla bassa partecipazione al mercato del lavoro”. Da gennaio è attivo il Reddito di inclusione, uno strumento universale di contrasto alla povertà su scala nazionale. Il Rei è disegnato per raggiungere le famiglie in povertà, attraverso soglie di accesso sia reddituali sia patrimoniali. Tuttavia – prosegue il Csc “è partito con scarsi finanziamenti (2,1 miliardi di euro nel 2018) e si stima che potrà coprire solo la metà della platea”. Il reddito di cittadinanza secondo la proposta avanzata dal Movimento Cinque stelle nel 2013 (e al centro della campagna elettorale) coprirebbe – ricorda il Csc – una platea più ampia (2,8 milioni di famiglie) e garantirebbe un beneficio molto più elevato (fino a 780 euro mensili per un single, rispetto ai 188 del Rei). Secondo il Centro studi di Confindustria è “alto il rischio” che il reddito di cittadinanza “disincentivi il lavoro, dato l’elevato importo del beneficio e l’assenza di un meccanismo di cumulo con il reddito da lavoro. Per incentivare la partecipazione, inoltre, prevede solo l’obbligo di iscrizione ai Centri per l’Impiego, strutture che necessitano di una profonda e costosa riforma per poter garantire risultati apprezzabili nel facilitare l’avviamento al lavoro”. “Ad oggi affrettarsi a sostituire uno strumento appena partito – conclude la nota – significherebbe creare incertezza e allungare i tempi di implementazione. Più opportuno darsi il tempo per condurre una seria valutazione, specie delle modalità di attivazione al lavoro, e nel frattempo indirizzare le risorse per aumentare platea e beneficio”

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