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Tutti possiamo essere digitali: la scelta di Mckinsey

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Negli ultimi cinque anni McKinsey ha cambiato pelle. Una trasformazione guidata dalla digitalizzazione che ha riscritto le regole della consulenza strategica. Nel segno della formazione continua, a prescindere dall’età anagrafica, e di un rapporto sempre più stretto con le aziende-clienti.

Basso profilo, grandi competenze e idee chiare. Massimo Giordano dal 2018 è alla guida dell’ufficio del Mediterraneo di McKinsey & Company. Parla con Fortune Italia, nella sua sede milanese, affrontando il tema della trasformazione digitale da un osservatorio privilegiato: la sua azienda è tra le prime al mondo nella consulenza strategica alle imprese e, da quasi un secolo, fa delle idee innovative una risorsa imprescindibile. In oltre un’ora di conversazione, al centro dell’attenzione ci sono sempre i clienti, le loro esigenze, i loro obiettivi. Perché McKinsey cresce e cambia insieme a loro.

Due sono i concetti principali che emergono: la rapidità del processo di trasformazione e la necessità di coinvolgere tutti, non solo i giovani. “Negli ultimi anni abbiamo iniziato a reclutare profili con un solido background scientifico: assumiamo matematici, fisici, esperti di modelli quantitativi. Investiamo su noi stessi, sui nostri talenti, puntando tutto sulla formazione”, racconta. A sostegno di questa affermazione, ci sono i numeri. Gli investimenti di McKinsey in knowledge development e capability building sono pari a 600 milioni di dollari all’anno; sono circa 5.000 gli esperti di digital e analytics nel mondo, e il lab di Milano al momento conta oltre 20 professionisti in questi ambiti.

Giordano sintetizza in maniera efficace la velocità della trasformazione in atto: “Più del 50% di quanto facciamo oggi appena cinque anni fa non esisteva e gran parte della nostra crescita proviene da quello che abbiamo innovato”.

Le tre direttrici principali dell’innovazione sono il digitale, l’intelligenza artificiale e il restructuring. “Sono tre ambiti sviluppati in costante combinazione con la nostra tradizionale esperienza nel mondo della strategia e dell’organizzazione aziendale”, puntualizza il manager. Altra novità ‘storica’ per il marchio McKinsey è stata la scelta di fare una serie di acquisizioni, 14 dal 2011. In particolare, due sono significative. QuantumBlack, spiega Giordano, “è una società nata da un gruppo di matematici per studiare le corse della Formula 1: l’abbiamo acquisita ma è rimasta autonoma, crescendo da 30 a quasi 400 dipendenti e vedendo le sue capacità di analisi estendersi anche ad altri settori: quello farmaceutico, quello bancario, assicurativo, energetico”. Poi, c’è Lunar, che fa product design: “studia come rendere più efficiente e gradevole il design di prodotti e servizi”.

Ormai si lavora in una logica di open innovation e l’intelligenza artificiale è un fattore determinante. “Non si può fare consulenza senza una forte componente di A.I: vogliamo aiutare i nostri clienti a fare grandi trasformazioni digitali, che sono strategiche e spesso mettono in gioco la sopravvivenza stessa dell’azienda. E anche sui progetti tradizionali non si può prescindere dall’impatto dell’A.I”, spiega Giordano. In questo contesto, rientra il tema della blockchain: “lo stiamo affrontando come uno degli elementi del cambiamento”. Ricorre un aspetto chiave nell’analisi che porta avanti il manager, la centralità delle risorse umane. “Siamo un business di persone e se non ci rinnoviamo continuamente non stiamo al passo. Tanti investimenti di knowledge li facciamo insieme ai nostri clienti”, dice, evidenziando che le imprese “vogliono risultati concreti e innovativi”. Per questo, “il ruolo del consulente è cambiato di conseguenza: non più solo raccomandazioni, ma un supporto finalizzato a eseguire le raccomandazioni. Non ci sostituiamo mai all’azienda, ma la aiutiamo a realizzare i suoi obiettivi e a sviluppare le competenze di cui ha bisogno”.

E in questo lavoro, secondo Giordano, è indispensabile smontare un luogo comune. “Le competenze digitali non riguardano solo i giovani: non è vero, ad esempio, che solo loro utilizzano i canali digitali, pensarla così sarebbe un grave errore di mercato. Inoltre, tutti noi dovremmo lavorare per aiutare anche le persone con profili professionali più maturi a riqualificarsi. È un tema a cui tengo tantissimo. Le aziende dovranno rivestire un ruolo trainante nella riqualificazione”.

Quando chiediamo quale sia la sensibilità delle imprese rispetto al tema della trasformazione digitale, Giordano indica un percorso avviato, ma certamente non concluso. “Iniziamo a vedere numerose aziende italiane che si pongono il problema in maniera molto seria. Serve una pianificazione di lungo termine, è necessario pensare alle risorse che serviranno tra dieci anni. Capire i lavori che andranno a scemare e quelli che andranno a crescere. Si tratta di lavori digitali, ma anche di lavori relazionali. In un mondo digitale la capacità di interagire con i clienti è sempre più importante”. In alcuni call center, fa notare, “oggi si osserva una qualità impressionante, proprio in termini relazionali. In alcuni casi si parla con operatori in grado di porsi a un livello elevato anche sul piano emozionale”.

Quanto a un bilancio complessivo, “l’Italia è indietro, sicuramente dietro a Usa e Cina, in una fascia intermedia”. È un ritardo che va recuperato, anche perché l’intelligenza artificiale può dare un contributo pari all’1% annuo alla crescita del pil. È comunque un Paese che va a velocità diverse. “Ci sono ancora ampi divari sul territorio: di infrastrutture, di istruzione, di capacità di formazione. Divari di incentivi e investimenti. C’è ancora molto da fare. Si sta creando un gap tra chi è in grado di innovare e chi no: da una parte, le grandi imprese, le startup e le iniziative che nascono già digitalizzate e sono molto brillanti, anche se il mercato del venture capital è ancora molto piccolo; dall’altra, le imprese di minori dimensioni, che hanno meno capacità di investire e quindi non hanno sufficiente forza per trasformarsi”.

Tra i settori in più rapida trasformazione, Giordano indica quello bancario, con molti istituti di credito che stanno investendo risorse sul tema, quello energetico e le telecomunicazioni. “Non riesco a immaginare una grande azienda che non operi già in modo agile e con logiche evolute”. Anche il settore della meccanica “con Industria 4.0 ha vissuto un salto in avanti che però non è stato ancora completato”.

Quando pensa al futuro di McKinsey, il managing partner per il Mediterraneo indica tre direttrici principali. Il tema delle donne, e quello della diversity in generale. “Considerando che già assumiamo il 50% di donne, non siamo ancora quello che vorremmo essere: vogliamo avere un gruppo di professionisti egualmente bilanciati e lavoreremo ancora sul tema della diversità perché crediamo che sia un driver importante”. Poi, il sostegno ai clienti. “Vogliamo aiutarli nelle loro grandi trasformazioni, che sono anche culturali. Vogliamo aiutarli ad autorigenerarsi e a creare innovazione. L’obiettivo è aiutare le aziende a diventare campioni”.

Infine, ma non da ultimo, il rapporto con il Paese. In questo contesto, si inserisce il progetto Generation. Un tema in cui Giordano crede fermamente. “È un’iniziativa globale non profit creata nel 2015 per aiutare i giovani disoccupati a trovare lavoro attraverso la formazione, al momento è presente in 9 Paesi nel mondo. La metodologia utilizzata parte dalle esigenze delle aziende, per capire di che tipo di professionalità hanno bisogno, si selezionano gli studenti e si avviano programmi di formazione tecnica, comportamentale e motivazionale, ottenendo dalle stesse aziende l’impegno ad assumere se i profili individuati rispondono alle loro necessità”. Giordano ne parla con passione. “Nel 2018 Generation ha avviato le sue attività anche in Italia attraverso una fondazione non profit, con un piccolo progetto pilota a Roma che ha dato lavoro a circa 40 ragazzi nel settore dei centri commerciali. L’obiettivo, ambizioso, è aiutare a trovare lavoro fino a 5-6.000 giovani in Italia. Abbiamo trovato terreno fertile sul territorio. Ad esempio, di recente Generation ha avviato una collaborazione con Intesa Sanpaolo e con un grande attore big tech. Speriamo che questa iniziativa sia da volano per lo sviluppo di altre iniziative. Perché ogni ragazzo in più che facciamo assumere è un regalo al Paese”.

Articolo di Fabio Insenga apparso sul numero di Fortune Italia di marzo 2019.

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