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Contante, abbiamo un problema

Sul tetto all’utilizzo del contante si può dire tutto. E il contrario di tutto. Poi, però, ci sono le dichiarazioni pubbliche che aiutano a rimettere insieme le cose. Due, in particolare, alimentano il dibattito. La prima, di Matteo Salvini, durante il faccia a faccia con Renzi. “Non voglio sapere cosa fanno gli italiani con i loro soldi. Possono farci quello che vogliono”. Il leader della Lega è per il contante senza limiti. La seconda, di Giorgia Meloni. “Se un papà vorrà donare più di 1000 euro al proprio figlio dovrà per forza farlo con bonifico, altrimenti multa salata”. Anche il leader di Fdi è per il contante senza limiti. Le motivazioni sono identiche e, semplificando, convergono su un concetto semplice: la libertà dell’individuo viene prima della lotta all’evasione fiscale. Anzi, la lotta all’evasione fiscale diventa un limite esplicito rispetto alla libertà individuale.

Messa così, una posizione legittima, di parte, diventa un via libera neanche troppo implicito all’evasione fiscale: è chiaro che l’utilizzo illimitato del contante vanifica qualsiasi possibilità di controllo. Poi, ci sono posizioni intermedie, di chi sostiene una soglia (i 3.000 euro di Matteo Renzi), piuttosto che un’altra (i 1000 euro fra tre anni ipotizzati dall’impostazione voluta dal premier Giuseppe Conte). C’è, infine, chi il contante lo vorrebbe, di fatto, abolire. Quasi sempre, la discussione tra fazioni contrapposte finisce con la distinzione tra grande evasione (difficile trovare qualcuno che la giustifichi) e piccola evasione (da molti considerata fisiologica, quasi da incoraggiare). Così come, quasi sempre, si finisce a lamentarsi dello Stato ‘grande fratello’ e delle tasse che opprimono. Il problema è più profondo. E’ culturale prima ancora che tecnico.

Ci sono concetti difficili da difendere che restano però alla base di una società sana. Nel 2007, l’allora ministro dell’Economia Tommaso Padoa-Schioppa lo fece con una frase tanto infelice sul piano della propaganda quanto inattaccabile sul piano sostanziale: “le tasse sono una cosa bellissima, un modo civilissimo di contribuire tutti insieme a beni indispensabili quali istruzione, sicurezza, ambiente e salute”. Bene, ogni tanto vale la pena ricordarla. Per continuare a difendere il concetto che le tasse servono, che vanno pagate nella giusta misura e possibilmente da tutti.

Non c’è una formula magica e la guerra al contante, che pure serve, non risolve il problema. Il primo governo che avrà la forza (serve una maggioranza stabile e un orizzonte almeno di una legislatura) di fare una riforma fiscale capace di alzare la quota di emersione del nero, di mettere chiarezza nella giungla di detrazioni e deduzioni, e di abbassare le tasse dove sono troppo alte, a partire dal lavoro dipendente e dalla partite Iva che realmente lavorano, potrà passare alla storia come un governo rivoluzionario. Per ora, c’è la battaglia sul tetto al contante. Si sposterà in Parlamento nelle prossime settimane e riserverà uno spettacolo che, viste le premesse, difficilmente sarà godibile.

Su un punto, però, servirebbe un po’ di ipocrisia in meno. Sostenere che si vuole fare la lotta all’evasione e sostenere allo stesso tempo che l’utilizzo al contante può essere senza limite non è logicamente possibile. Almeno nel contesto italiano. Invocare la Germania, dove non c’è tetto ai contanti ma c’è anche un sistema tributario completamente diverso, oppure gridare allo scandalo per l’evasione di Google &co, che comunque devono pagare le tasse dove producono i loro utili, sono diversivi. Meglio, allora, sostenere che meno tasse si pagano e meglio è. A prescindere dalle leggi, strizzando l’occhio a piccoli e grandi evasori e, soprattutto, alla faccia di chi le tasse le paga comunque.

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