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Iran vs Usa, l’impatto della guerra sui mercati

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La risposta dell’Iran è arrivata. Con un doppio attacco missilistico a basi americane in Iraq è iniziata l’operazione ‘Suleimani martire’. Una prima ritorsione (da circa 80 morti, riferiscono le prime fonti) per l’uccisione del generale iraniano che porta ancora di più Teheran e Washington verso un conflitto aperto. Una situazione che potrà avere conseguenze pesanti su chi si farà trovare impreparato, politicamente ed economicamente. E che incide anche sul delicato equilibrio che i mercati del 2020 sembravano aver trovato, dopo un burrascoso 2019.

“Neanche una settimana nella nuova decade e i mercati sono già sull’altalena”, dice Roberto Rossignoli, Portfolio Manager di Moneyfarm. L’escalation della situazione iraniana (che, senza andare troppo indietro nel tempo, è iniziata a fine dicembre) successiva all’uccisione di Suleimani “ha colto di sorpresa i mercati finanziari che hanno inizialmente reagito con perdite generalizzate (poi in parte recuperate prima della chiusura), mentre il petrolio si è apprezzato di oltre il 4% sulla scia di timori su possibili ripercussioni lato offerta”.

Ora, dopo i missili iraniani sulle basi Usa di stanotte, i mercati sembrano ancora più spaventati. L’oro, bene rifugio per eccellenza, ha sfondato il muro dei 1600 dollari l’oncia rivedendo, prima di recuperare lievemente, i massimi da marzo 2013: è la prima volta da sette anni. Anche i prezzi del petrolio in netto rialzo. Sui mercati asiatici le quotazioni del Brent sono aumentate del 3,6 per cento superando quota 70,50 dollari, prima di ripiegare intorno a quota 69 dollari (pari a un incremento di circa l’1% sulla seduta precedente). Rialzo anche per
il WTI che in pochi minuti è risalto da 62,70 a 64,20 dollari mentre al momento viene scambiato a 63,20 dollari il barile. Sale la tensione sui mercati asiatici. Tokyio ha chiuso le contrattazioni pesante, con un calo del Nikkei
dell’1,57%, recuperando almeno parzialmente le perdite in apertura abbondantemente sotto il 2%. Male anche la Cina dove lo Shanghai cede l’1,24%; l’Hang Seng perde l’1,14%. Partono in calo anche le principali piazze
finanziarie europee. Milano apre con il Ftse mib che nei primi minuti cede lo 0,71%, Londra con Ftse 100 lo 0,44%, Francoforte, dove pesa anche il calo degli ordini industriali (-1,3%), vede il Dax perdere lo 0,65% e Parigi arretra dello 0,55%. Ieri il Dj ha chiuso in calo dello 0,42%. In rialzo le quotazioni del petrolio.

Secondo Rossignoli, che ha fornito il suo commento prima dell’attacco missilistico iraniano alle basi Usa, “è importante provare a capire quali sono le effettive possibilità di un’escalation armata, visto che le relazioni tra Usa e Iran sono ormai da mesi ai minimi storici. Innanzitutto, “a differenza dell’amministrazione precedente”, Trump “ha individuato in modo chiaro l’Iran come una minaccia con cui non è utile dialogare. In breve tempo Trump ha recesso dall’accordo di non-proliferazione nucleare firmato dal suo predecessore e ristabilito le sanzioni economiche verso Teheran”.

“Un’altra caratteristica della politica estera di Trump è stata quella di non avere paura di agire con azioni mirate anche molto decise in casi di escalation come deterrente”, dice Rossignoli. “Una sorta di escalation ‘controllata’ dei conflitti con l’obiettivo di mostrarsi pronto a ogni soluzione e scoraggiare ulteriori azioni da parte dei propri avversari. Questa strategia di ‘escalation controllata’ è molto rischiosa (e crea una buona dose di incertezza) ma ha funzionato, anche con una certa efficacia, contro la Nord Corea e contro Assad in Siria. Lo scontro con l’Iran potrebbe avere obiettivi, o perlomeno esiti, diversi. L’azione questa volta va a colpire direttamente una delle figure più importanti dell’establishment di un Paese sovrano, ostile all’occidente ma non in aperto conflitto con esso. La situazione resta fluida e aperta a molteplici possibilità, non necessariamente si risolverà nelle prossime ore, ma potrebbe restare un tema ricorrente anche per i mercati nei prossimi mesi”.

 

La crisi in Medio Oriente, secondo Rossignoli, non è l’unico fattore a pesare sui mercati. “Poco prima della fine dell’anno Usa e Cina hanno annunciato la firma di un nuovo accordo commerciale il 15 gennaio. L’accordo pone un freno all’escalation della guerra dei dazi, almeno nel breve termine. Una soluzione di questo tipo, per quanto temporanea, era il naturale approdo della dialettica degli ultimi mesi, almeno fino alla data delle prossime elezioni che forniscono un incentivo (per Trump) per spingere ulteriormente la situazione. Meno chiaro se esso costituirà la base per uno smantellamento delle tariffe impostate nell’ultimo anno. Nell’immediato questa ipotesi sembra tutt’altro che scontata”.

Proprio dalla Cina “è arrivata un’altra notizia che ha rasserenato i mercati. Il governo di Pechino, attraverso la Banca Centrale, ha operato una forte ricapitalizzazione del sistema bancario, per sostenere l’economia che sta crescendo ai tassi di crescita più bassi degli ultimi 30 anni. La mossa è arrivata inaspettata e potrebbe preludere a un ulteriore diminuzione dei tassi di riferimento da qui a fine anno. La notizia – insieme alla schiarita sulle tensioni commerciali, precisa il portfolio manager di Moneyfarm – aveva dato ulteriore spinta ai mercati azionari che il 2 gennaio avevano raggiunto i massimi storici”.

Intanto, dalle economie più avanzate d’Europa, arrivano notizie di ripresa. “Il mercato del lavoro tedesco, nel 2019, ha fatto registrare un anno da record, nonostante la crescita economica sottotono: la locomotiva d’Europa ha creato quasi 500mila posti di lavoro, con salari reali in crescita. Degno di nota è il fatto che solo il 15% di questi posti di lavoro è arrivato dal comparto industriale, sintomo di un’economia molto dinamica capace di creare posti di lavoro di qualità anche nel settore dei servizi. Questi dati sono un segnale della maturità del ciclo economico in Germania e ciò potrebbe avere una ripercussione sul livello dei prezzi per l’anno nuovo. A dicembre, infatti, l’inflazione ha sorpreso in positivo sia in Francia sia in Germania. Questa potrebbe non essere una buona notizia per i mercati a causa degli effetti avversi che un’inflazione sopra le aspettative potrebbe avere sulla direzione della politica monetaria che, per adesso, rimane un fattore decisivo e positivo per l’andamento dei mercati”.

In generale, “se l’equilibrio si mantenesse, le asset class europee potrebbero avere quest’anno la possibilità di recuperare parte di quanto hanno pagato negli ultimi anni rispetto a quella americana. Non bisogna però sottovalutare i molti elementi di incertezza: il quadro politico rimane instabile, gli ultimi dati dell’Eurobarometro mostrano come la fiducia dei cittadini europei verso l’Ue sia ai minimi storici, anche in Paesi fondatori come la Francia (interessata da diffuse proteste contro la riforma delle pensioni) e l’Italia. La debolezza dell’Ue, di certo, non è un presupposto positivo alla vigilia del divorzio del Regno Unito e di un lungo negoziato che sarà guardato con attenzione da tutti gli euroscettici che continuano a crescere in ogni parte del continente”.

Insomma, conclude Rossignoli, “dopo un anno (e un decennio) da record per i mercati finanziari il 2020 si è aperto all’insegna della preoccupazione per questioni vecchie e nuovi: in un contesto economico che comunque sembra in miglioramento”.

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January 7, 2020, Tehran, Iran: Iranians attend a gathering to commemorate the memory of the former IRGC Qods Force commander Qasem Soleimani in central Tehran, Iran. Qasem Soleimani, the head of the Iranian Islamic Revolutionary Guards Corps (IRGC) Quds Force killed during an American airstrike in Baghdad airport on Friday, January 3, 2020. The leader of Iran’s Revolutionary Guard threatened on Tuesday to ”set ablaze” places supported by the United States over the killing of a top Iranian general in a U.S. airstrike last week. (Credit Image: © Rouzbeh Fouladi/ZUMA Wire)
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