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Per il settore auto la crisi Coronavirus è la peggiore di sempre

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Dopo un anno chiuso in negativo, il 2019, arriva un anno, il 2020, che rischia di essere ricordato negli annali dell’industria come il più nefasto della sua storia: per la filiera dell’automobile la sfida che le pone di fronte la pandemia di coronavirus è senza precedenti. E arriva in una fase già di per sé complicata, una fase di transizione verso assetti ancora tutti da scoprire, verso nuove motorizzazioni a minore impatto ambientale – dal gas liquido al metano, dall’ibrido al full electric fino all’idrogeno – e verso la guida autonoma. “Ma sapremo dimostrare ancora una volta, come abbiamo già fatto molte volte in passato, l’importanza, la forza, la resilienza della nostra industria”, ne è convinto Fu Binfeng, il presidente di Oica, l’organizzazione internazionale dei costruttori di veicoli a motori.

 

Nella sua nota di inizio aprile Oica ricorda che il 2019 ha segnato il primo stop, dopo dieci anni di crescita ininterrotta, con un marcato calo della produzione che ha superato il 5% e ha portato a chiudere l’anno con 91,8 milioni di vetture prodotte nel mondo. E il 2020 potrebbe essere l’anno in cui l’industria dell’automobile mondiale rischia di marcare “la peggiore crisi che abbia mai colpito il settore, come prevedono molti esperti”, compreso lo stesso presidente Fu Bifeng. Benché il coronavirus si sia manifestato da pochi mesi, il suo impatto non ha riscontro con nessun altro evento passato.

 

A gennaio l’emergenza sanitaria ha provocato la chiusura di gran parte degli stabilimenti dei costruttori cinesi, creando una scarsità di parti e componenti che si è riverberata sulle supply chain ai quattro angoli del mondo. Poi l’espansione globale della malattia ha avuto l’effetto di chiudere gran parte dell’industria e dei suoi fornitori globali. “La preoccupazione per la salute e la sicurezza dei dipendenti ha indotto molte aziende a disporre misure sanitarie drastiche, che hanno portato a una forte riduzione della produzione o alla completa chiusura di molti fabbriche, anche quando non era stata raccomandata o richiesta dai singoli governi”, scrive ancora l’organizzazione mondiale.

 

Attraverso le associazioni nazionali che aderiscono ad Oica, l’automotive continuerà nel suo impegno di proteggere dipendenti e clienti, di rispettare pienamente e persino di andare oltre le misure di restrizione e di auto-confino imposte dalle autorità. “In molti Paesi, per aiutare le persone malate di Covid 19 i costruttori di auto stanno lavorando a progetti umanitari – aggiunge la nota – dalla produzione di ventilatori polmonari all’aiuto nei trasporti di emergenza e nei servizi sanitari”. Pronte a ricominciare non appena possibile la produzione e la vendita di vetture quando la crisi sarà finita “le diverse associazioni nazionali aderenti a Oica sono impegnate in un dialogo ravvicinato e costruttivo – conclude il presidente Fu Bifeng – con i rispettivi governi per attutire l’impatto dell’emergenza e garantire una ripresa veloce dell’automotive, che è un settore chiave per l’andamento dell’economia mondiale. Non ho nessun dubbio che l’industria automobilistica mondiale, come ha già fatto molte volte in passato, saprà ripartire”.

 

Per rimanere in Europa, basta un’occhiata ai dati di vendita di marzo sui diversi mercati per comprendere quanto forte sia la scoppola sul settore: l’Italia ha segnato -85%, la Francia -72%, la Spagna -69,3%, con la Germania a -38% delle immatricolazioni e il Regno Unito a -44%, risultati che potrebbero ripetersi, o addirittura, peggiorare anche ad aprile e condizionare pesantemente l’intero 2020.

 

A confermare la “disruption”, ovvero le interruzioni e i ritardi che hanno colpito le catene produttive mondiali dell’automotive, è arrivata proprio in questi giorni la valutazione di IHS Markit, uno dei leader mondiali nell’elaborazione di analisi e studio, oltre che nel reperimento di informazioni e nella progettazione di soluzioni per le principali industrie e mercati globali, quartier generale a Londra, 50mila clienti tra cui l’80% delle aziende della Fortune Global 500.

 

Il gruppo interno che lavora sulla Automotive Supply Chain and Technology ha costruito un indice che ha chiamato Covid-19 Automotive Market Disruption (AMD) Index per tracciare l’impatto che le misure di contenimento della pandemia decise dai governi hanno avuto sulla produzione di auto nel mondo, sia per quel che riguarda i principali marchi automobilistici che per i fornitori, grazie anche all’utilizzo delle ricerche sulle misure stesse rese disponibili della Oxford University.

 

La scala di misurazione dell’indice va da 0 (nessuna misura di contenimento del virus) a 100 (lockdown completo). Il Covid-19 AMD Index ha cominciato a segnalare interruzioni di una certa gravità (indice oltre 40) all’indomani delle misure di lockdown introdotte in Italia, Spagna e Francia alla metà di marzo: l’indicatore ha continuato a salire fino a superare quota 60 dopo il 24 marzo, con la chiusura dell’India, Paese responsabile del 5,5% della produzione mondiale. Al momento l’indice segna 63,8 di scompaginamento della catena produttiva per i grandi marchi automobilisti e 62,8 per i fornitori.

 

Con un valore di 84,5 e 82,3 rispettivamente, la francese Psa e la giapponese Suzuki sono le due case automobilistiche più colpite dagli effetti del coronavirus: la prima per le chiusure decise dal governo francese, la seconda perché molto dipendente dalle forniture indiane e, ovviamente, giapponesi. Fca si posiziona al terzo posto di questa classifica in negativo con un 70,7, seguita da Ford, Yundai e Renault-Nissan-Mitsubishi, Volkswagen, Daimler, Toyota e Bmw con un indice che si colloca tra 70 e 60. Le meno colpite, con indice sotto 60 sono General Motors, Honda e la cinese Geely. Cinque i parametri in base al quale è stato costruito l’indice: chiusure delle attività produttive, restrizioni sui movimenti interni al Paese, chiusura delle scuole, limitazioni del trasporto pubblico e controlli sui viaggi internazionali.

 

Mentre il focus di numerosi stakeholder dell’industria automobilistica si concentra sulla ripresa della domanda di vetture, la conclusione di IHS Markit è che una volta che le vendite saranno ripartite sui mercati principali, i grandi costruttori e fornitori di componenti seguiranno percorsi diversi di ritorno alla normalità, a seconda della dislocazione geografica dei loro stabilimenti produttivi e delle loro supply chains, con potenziali vantaggi o svantaggi competitivi dati dall’insediamento in Paesi con restrizioni più o meno accentuate. I tempi di attenuazione delle restrizioni contro il coronavirus saranno diversi da Paese a Paese, così come all’inizio della pandemia certi Paesi sono stati rapidi nell’imporre i divieti mente altri hanno tardato.

 

Nel periodo – che si prospetta piuttosto lungo – in cui i governi cercheranno di appiattire la curva dei contagi da coronavirus è possibile che l’automotive continui a dover fronteggiare asimmetrie in termini di offerta e domanda di componenti e di vetture, con Paesi che torneranno alla normalità mentre altri saranno ancora alle prese con il lockdown. Come ora i costruttori cinesi si lamentano che la fornitura di certe linee produttive sia compromessa dalle misure adottate dai governi europei, all’opposto, tra fine gennaio e inizio febbraio erano le case europee ed americane a dover fronteggiare le interruzioni nelle supply chain dovute alla chiusura della Provincia dello Hubei.

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