Si parlava già di ‘metodo Draghi’ per le nomine di Curcio alla Protezione Civile e di Figliuolo come Commissario Covid. Quelle sono state mosse segnate da una logica elementare ma già all’insegna della discontinuità: il premier ha cercato le persone con il profilo più adatto per le mansioni, cruciali, che avrebbero dovuto svolgere. Uomini con una storia alle spalle e con una dimestichezza con i risultati collaudata.
Con Cdp e Fs, Draghi fa un passo avanti. Decide, con le nomine di Dario Scannapieco e Luigi Ferraris, che in due fra i principali soggetti attuatori del Recovery plan serve una svolta. Non perché Fabrizio Palermo e Gianfranco Battisti non siano manager capaci ma perché nelle due società che hanno guidato finora devono aprirsi stagioni diverse. Draghi ha in mente cosa devono diventare Cdp e Fs, qualcosa di nuovo rispetto a quello che sono state finora, e sceglie quelli che reputa essere i due profili più adatti a portare avanti questa trasformazione.
Chi all’interno di Cdp e Fs ha puntato sulla carta della continuità, convinto anche della forza della moral suasion della politica (soprattutto Cinquestelle, in questo caso), è stato spiazzato dalla linearità con cui il premier ha portati avanti i suoi piani. Il lavoro preparatorio degli advisor, quei cacciatori di teste che negli ultimi anni avevano smesso di fare il loro lavoro indipendente, quello del consulente economico Francesco Giavazzi, poi il consulto con Daniele Franco, al Tesoro, quindi la decisione.
Draghi ha scelto le persone che ritiene più adatte a fare il lavoro che serve. Gli uomini giusti, o almeno quelli che ritiene più adatti, al posto giusto. Come ha fatto finora e come continuerà a fare. È la strada che ha sempre percorso, quella che collega l’obiettivo da raggiungere alle persone più funzionali a raggiungerlo. La svolta c’è stata. Ora, come ripete anche ai suoi più stretti collaboratori, servono i risultati.
