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Lavoro, per le aziende la nuova sfida è trattenere i talenti

quite quitting lavoro insoddisfatto

Sono sempre di più i dipendenti, in Italia e nel mondo, che si chiedono se il posto in cui svolgono il proprio lavoro è quello giusto, quello che hanno sempre sognato, che potrà garantirgli la carriera professionale che hanno sempre desiderato. Il fenomeno della ‘Great Resignation’, le grandi dimissioni, è in aumento anche in Italia, nonostante da noi, rispetto ad altri Paesi (si vedano gli Usa), il passaggio da un’azienda a un’altra resta ancora molto complicato. Sliding Doors, sì, ma con cautela. Nei primi nove mesi del 2022, le dimissioni volontarie italiane sono intanto aumentate del 22% rispetto all’anno precedente, arrivando a 1,66 milioni.

Ancor più recente ma altrettanto diffuso è il fenomeno del ‘quiet quitting’: una sorta di ‘abbandono motivazionale’ da parte dei dipendenti verso il proprio incarico, che consiste nel lavorare nei tempi e nei modi indicati dal contratto, senza coinvolgimento emotivo e senza assumersi responsabilità che vadano oltre l’essenzialità delle mansioni. La ‘morte cerebrale’ del più alto significato di lavoro, una sorta di ‘nichilismo occupazionale’, insomma.

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“Il coinvolgimento aziendale può essere tradotto come la forza del legame mentale ed emotivo, quindi non solo materiale, tra l’azienda e il suo personale. Più quest’ultimo è coinvolto, maggiore sarà la sua produttività e minore il rischio di abbandono volontario”, dice a Fortune Italia Francesca Verderio, Talent Acquisition Manager di Zeta Service Individua, la business unit che guida le organizzazioni nella ricerca e selezione di nuovi talenti all’interno di Zeta Service, azienda milanese che fornisce servizi HR. Un punto di riferimento nel mondo delle risorse umane, con un fatturato di oltre 25 milioni di euro totalizzato nel 2021, ben 1500 clienti, 9 sedi e 330 collaboratori e collaboratrici, di cui l’80% è donna.

‘Grande Rimorso’: il fenomeno che rimpiazza le grandi dimissioni

Secondo una ricerca di Workplace Intelligence il 74% dei dipendenti Millennial e Generazione Z è intenzionato a lasciare il posto di lavoro entro la fine dell’anno a causa della mancanza d’opportunità di sviluppo delle proprie competenze e, di conseguenza, della propria carriera professionale. È evidente dunque che anche per le imprese italiane ripensare i processi d’assunzione e trattenere i talenti è diventata la priorità principale. Secondo gli esperti del settore una soluzione per offrire ai dipendenti un’opportunità di sviluppo professionale in modo da farli rimanere più a lungo all’interno di un’organizzazione può essere rappresentata dai nuovi trend internazionali dell’‘internal reshuffle’ (la mobilità interna, ndr) e del ‘quiet hiring’ (le assunzioni silenziose, un fenomeno che si verifica quando un’organizzazione acquisisce nuove competenze senza assumere effettivamente nuovi dipendenti, ndr), grazie al quale le aziende riescono a ricollocare al proprio interno, con diversi compiti e responsabilità, risorse che avevano intenzione di abbandonare l’azienda.

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Per Verderio “lo sviluppo del legame e del senso di appartenenza dei propri dipendenti passa attraverso strategie di ascolto dei vissuti delle persone, delle aspettative e dei bisogni. È centrale condurre azioni volte a condividere successi e fallimenti dell’azienda, obiettivi e visioni che ispirino l’agire propositivo e responsabile delle singole risorse. Sollecitare l’emergere della creatività e le iniziative di responsabilità, i suggerimenti di ottimizzazione da parte dei team. Ogni azienda deve trovare una modalità di realizzare tali azioni in continuità con i propri valori, il proprio stile poiché le azioni devono essere percepite autentiche. È noto come il mercato del lavoro sia sempre più alla ricerca di talenti sia perché richiesto dal mercato (pensiamo al sustainability manager), sia perché è in atto un forte fenomeno di trasformazione digitale che richiede nuove competenze come, ad esempio, il data engineering o il software developer. Quello che verosimilmente manca approda ancora una volta a temi di coinvolgimento aziendale. Tra le spinte motivazionali documentate di queste generazioni di dipendenti c’è proprio il bisogno di sentire di contribuire ad una giusta causa, di agire da protagonisti portando valore aggiunto agli obiettivi aziendali. È possibile che alcune aziende non siano ancora pronte a sviluppare e incanalare in modo opportuno lo slancio e il bisogno di queste generazioni. Da qui nasce questa necessità delle generazioni più giovani di cambiamento e di trovare un proprio posto (o meglio ‘il’ proprio posto) nel mondo del lavoro”.

Diversi studi confermano, inoltre, la validità delle strategie di mobilità interna: secondo il Workplace Learning Report di LinkedIn, i dipendenti a cui viene data la possibilità di un nuovo incarico all’interno dell’organizzazione hanno una probabilità 3,5 volte maggiore di rimanere in azienda. Se, prima della pandemia, solo il 16% dei processi di selezione si concludeva con la riqualificazione di una risorsa interna, a partire dal 2021 la mobilità aziendale intena è arrivata a pesare quasi il 20% delle selezioni. Si tratta di una piccola crescita (+25%) ma è il segnale che qualcosa sta cambiando: “Qui è fondamentale il ruolo di consulenza delle società di selezione del personale che devono essere in grado di abilitare questi processi nelle organizzazioni sbloccando la mentalità aziendale e avvalendosi di strumenti tecnologici di talent intelligence in grado di trovare il profilo migliore. Ogni ricerca presuppone la volontà da parte di azienda e candidato di crescere e migliorare: quando ai dipendenti già presenti all’interno dell’organizzazione viene data l’opportunità di assumere nuovi ruoli e responsabilità possono portare nuove prospettive e idee. Questo può aiutare un’azienda a rimanere innovativa e ad adattarsi ai cambiamenti del mercato”, spiega sempre Verderio.

Non è sufficiente quindi promettere un aumento di stipendio, ma serve mettere in atto una ‘riformulazione valoriale’, un cambio di paradigma, che faccia cambiare idea veramente alla persona e la faccia rimanere in azienda. “Un primo consiglio è sviluppare procedure di ascolto nuove – continua la Talent Acquisition Manager di Zeta Service Individua – che consentano in primis di individuare il dipendente insoddisfatto. Strategie di ascolto efficaci e autentiche sono il punto di partenza per la costruzione di percorsi valoriali e concreti, virtuosi, a misura di dipendente, a favore dello sviluppo dell’engagement e del senso di appartenenza all’azienda. Serve un ‘ascolto empatico’, che è un ascolto generativo che consente la messa a terra di percorsi di crescita e di sviluppo delle competenze in azienda. Tali percorsi devono agire in continuità col potenziale di crescita del dipendente. Le competenze vanno coltivate e allenata sia con piani di sviluppo continuo, sia attraverso percorsi di upskilling e reskilling. Meno facilmente un’acritica e reattiva ‘offerta di promozione o salir di grado’ genera un messaggio positivo al dipendente vacillante di motivazione”.

I numeri non sono migliori anche in merito al coinvolgimento dei dipendenti nelle aziende, visto che solo 2 su 10 si sentono coinvolti nel proprio lavoro. “È chiaro che i dipendenti coinvolti nel loro lavoro rimarranno in azienda più a lungo, riducendo i costi di reclutamento e formazione di nuovi dipendenti. Per questo sarebbe molto riduttivo vedere la mobilità interna come quel processo che sposta i dipendenti da un reparto all’altro – illustra la talent manager di Zeta Service Individua –. È un processo che dovrebbe includere anche il ripensamento di come sono strutturati i lavori e abbracciare la flessibilità riguardo alle responsabilità lavorative”.

gender gap

E poi c’è (ancora!) la questione di genere, con importanti differenze salariali tra uomini e donne. Per Verderio “le differenze salariali sono certificate annualmente. In sé esse non sono necessariamente motivo di sfiducia verso la singola organizzazione da parte delle persone che la vivono poiché non necessariamente sono a conoscenza. Rappresentano, però, un problema per le aziende che non si interrogano su questa tematica. È importante e fondamentale avere una fotografia chiara dei disequilibri all’interno della singola organizzazione, un’analisi attenta di quali sono le cause. Un recente sondaggio condotto da Fondazione Libellula (realtà che nasce nel 2020 da un progetto di responsabilità sociale di Zeta Service e che oggi vanta un network di circa 80 aziende virtuose) e che ha coinvolto più di 4000 donne lavoratrici segnala ad esempio una carenza da parte nelle capacità di negoziazione: le donne non chiedono facilmente aumenti salariali. Conoscere e monitorare il gender gap, capire le origini, sostenere l’empowerment al femminile, la capacità di negoziazione e l’assertività sono azioni fondamentali: agiscono sia per valorizzare l’attrattiva l’azienda stessa per il mercato dei talenti, sia per rinforzare il senso di appartenenza dei dipendenti”.

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