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Superbonus, con i ‘crediti incagliati’ per lo Stato perdita netta da 70 mld

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Nelle ultime settimane di vita del Superbonus, la partita dei ‘crediti incagliati’ può essere decisiva per l’economia italiana. Sul piatto della bilancia, per il governo, ci sono numeri importanti: da una parte 32mila imprese fallite e 170mila disoccupati, secondo l’Ance. Dall’altra un conto totale relativo alle uscite, per le casse dello Stato, da 70 mld netti, attenendosi alle stime pubblicate qualche giorno fa dall’Osservatorio conti pubblici Unicatt. “La questione dei 19 miliardi di crediti incagliati deve essere risolta, e se viene risolta con l’F24 (una delle ipotesi su cui si sta lavorando in Parlamento, ndr), questo diventa evidentemente debito pubblico”, spiega a Fortune Italia Giampaolo Galli, vice direttore dell’Osservatorio dei Conti Pubblici, co-autore dell’analisi e docente di economia politica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore.

Superbonus, le prossime tappe

Partiamo dalle prossime tappe: la Commissione finanze della Camera procederà al voto dei 300 emendamenti presentati al decreto Superbonus tra il 20 e il 24 marzo, mentre la discussione generale sul provvedimento di Montecitorio è attesa dal 27. Manca ancora un po’, insomma, per definire quali deroghe verranno concesse dal Parlamento dopo lo stop completo del Superbonus deciso dal Governo a metà febbraio. I nodi da scogliere sono tanti. Su tutti, i 19 mld di crediti ‘incagliati’ che, secondo l’Ance, se non liquidati, significheranno “32mila imprese fallite e 170mila disoccupati in più nel settore delle costruzioni, che raddoppiano se si considera l’indotto”, ha detto la vicepresidente di Ance, Vanessa Pesenti, in audizione presso la commissione Finanze del Senato.

Ponendo che le richieste del comparto vengano esaurite per tutti i 19 mld, quale diventerebbe la spesa totale sul Superbonus per le casse dello Stato?

Una perdita netta da 70 mld

I conti del Superbonus per il bilancio italiano sono pesanti, secondo le stime dell’Osservatorio. L’uscita netta le casse dello Stato, al 2022, è stata di circa 55 mld: 68,7 mld di spesa totale meno 13,7 mld di gettito aggiuntivo arrivato con l’istituzione del Superbonus. Va ricordato che, come scrive Galli insieme ai due altri autori dell’analisi, “il principale motivo per cui l’operazione è in perdita è che, in qualunque ragionevole scenario controfattuale, una parte notevole della spesa sarebbe stata fatta comunque. Se invece assumessimo che tutta la spesa fosse aggiuntiva, l’aumento del Pil sarebbe nell’ordine dei 70 miliardi e il gettito fiscale aggiuntivo sarebbe di circa 30 miliardi, anziché di 13,7. L’operazione sarebbe comunque in perdita, ma per 40 miliardi anziché 55”.

Ma a quanto arriverebbe quella perdita con tutti i 19 mld (di cui parla l’associazione dei costruttori) di crediti incagliati? Basta ipotizzare una proporzione simile a quella degli anni precedenti anche per il gettito fiscale (perché va considerata “l’attività economica che ripartirebbe” con lo sblocco dei crediti, dice Galli) eventualmente prodotto dai crediti incagliati: 3,7 mld.

Sbloccare quei 19 mld, quindi, significherebbe una perdita netta di 15,3 mld. Il totale del Superbonus arriverebbe, così, a 70 mld, considerando i 55 contenuti nell’analisi dell’Osservatorio.

Superbonus, il dilemma dello stop a una misura già costata 68,7 mld

Eppure, dice Galli, l’impasse va sbloccata. Da una parte “il Superbonus è stato molto dannoso per le casse dello Stato, un danno molto serio. Quello che è rientrato è solo una piccola parte di quello che è stato speso. Quindi su questo non c’è dubbio”. Dall’altra c’è l’’esigenza di limitare l’impatto economico di una cessazione improvvisa del Superbonus.

Tra condomini, proprietari di case e imprese che hanno già degli affidamenti, “secondo me non possono essere tutti bloccati. Tutto sommato agivano sulla base di una legge dello Stato, quindi in piena legittimità, salvo casi di truffe naturalmente, e quindi di questi crediti lo Stato se ne deve fare carico. Altrimenti viene meno quel poco di rapporto di fiducia tra Stato e contribuente. Verrebbe messo gravemente a rischio se lo Stato non si facesse carico di questi di questi crediti di imposta”.

D’altronde sul Pil non c’è stato un effetto modesto, “pensando che si parla di un settore, l’edilizia residenziale, che è il 5% del Pil. C’è stato un effetto rilevante. Da qui a dire, però, che il rimbalzo post Covid è merito del Superbonus… francamente questo non è vero. Ci sarebbe stato lo stesso”.

È interessante notare come l’analisi dell’Osservatorio abbia tenuto in considerazione il fatto che parte degli interventi del Superbonus si sarebbero comunque fatti. “Quando bisogna valutare gli effetti di una misura, devi sempre avere in mente uno scenario controfattuale. Dire che se spendo 70 mld questi equivalgono a 70 mld di investimenti aggiuntivi non ha senso”, spiega Galli.

Superbonus e riconversione degli edifici, cosa fare ora?

Ma una volta appurato che il capitolo finale della storia del Superbonus potrebbe costare caro, secondo Galli bisognerà comunque “trovare un sistema sostenibile per fare la riconversione energetica dei nostri edifici residenziali: questo problema rimane. Bisognerà che lo Stato continui a venire in aiuto dei proprietari di case, anche se non potrà farlo come è stato fatto finora. Una parte dei soldi la devono mettere i proprietari di case, perché altrimenti le spese vanno fuori controllo”. Serve quindi “un aiuto pubblico alla riconversione, che sia anche calibrato, probabilmente in base al reddito. Per cui che abbia un carattere di progressività, e che i redditi più bassi siano aiutati di più”.

Con il Superbonus, conclude Galli, “pagava tutto Pantalone. È questa la cosa che non funziona, ma ci deve comunque essere un incentivo. Altrimenti la riconversione degli edifici mi sembra molto difficile. Peraltro è una parte essenziale della transizione verde”.

 

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