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Deborah Buttignol (LHH): quando il fallimento diventa successo

I manager che hanno imparato dai loro incidenti di percorso si riconoscono subito, dice Deborah Buttignol di LHH Executive 

“Il successo rappresenta l’1% del vostro lavoro. Il restante 99% si chiama fallimento”, diceva Soichiro Honda, il fondatore della storica casa giapponese.

Deborah Buttignol, per esperienza personale e professionale, è sicuramente d’accordo: sa cosa vuol dire ‘fallire’, per un manager. Prima di arrivare dove è ora (partner di LHH Executive, la divisione di LHH specializzata nella ricerca e selezione di senior e top manager e C-level, parte del Gruppo Adecco) anche lei ha dovuto superare la delusione di un licenziamento inatteso. “Pensavo di essere invincibile, anche grazie alle ottime performance mie e del mio team, non avrei mai pensato che sarebbe potuto accadere. È stato un grandissimo bagno di umiltà”.

Per questo, oggi che in LHH valuta altri manager, riconosce subito chi ha imparato dal proprio fallimento. “Quando incontro un candidato che ha avuto qualche ‘incidente di percorso’, capisco chi è riuscito a fare tesoro di quello che ha vissuto: vedo proprio una differenza di approccio alla managerialità”. L’importanza del fallimento non è un concetto nuovo: è una narrativa comune quando si parla di grandi imprenditori. Soichiro Honda è un esempio (prima di riuscire a fondare l’azienda ha superato delusioni, bombardamenti e terremoti), ma Steve Jobs è probabilmente quello più celebre: ha portato Apple al dominio mondiale dopo essere stato cacciato dalla sua stessa creatura.

Se consideriamo i manager che guidano non intere aziende, ma singole unità di business, è più difficile scovare grandi storie di fallimento da celebrare. Quando ci si siede al tavolo di un Cda “tutti si aspettano che il dirigente porti buone notizie, così come alcuni manager si aspettano che i collaboratori siano sempre positivi: in questo modo non c’è la libertà di esprimersi evidenziando aspetti critici, che possono essere degli alert preziosi”, dice Buttignol. È d’aiuto la definizione ‘spirale di positività’ coniata da Susan David, psicologa sudafricana che ha introdotto il concetto di ‘agilità emotiva’, secondo cui il tema del fallimento è legato al dolore: il dolore di perdere potere e immagine sociale.

Per questo, dice Buttignol, il tema del fallimento e della vulnerabilità sono così vicini. “Molto spesso chi è ai vertici sente la responsabilità di dover salvare l’azienda da solo, quando invece accettare e non nascondere la propria vulnerabilità aiuta a creare gruppo; rende il leader più umano, in grado di accogliere senza pregiudizi l’opinione degli altri”, spiega la manager di LHH Executive. Se è vero che il fallimento non sempre è negativo, anche il successo non sempre è positivo. Buttignol si è trovata spesso davanti persone cadute nella spirale della positività.

“In qualità di head hunter, ho svolto circa 10mila colloqui nella mia vita. Ho constatato che non è sempre detto che la persona a capo di una struttura sia più valida dei suoi collaboratori, ci possono essere diversi motivi per cui è arrivata a ricoprire una posizione manageriale: può dipendere, per esempio, da una congiuntura favorevole e quando questa viene meno può verificarsi il fallimento. Manager che hanno vissuto questo tipo di percorso, spesso, non hanno analizzato davvero le proprie aree di miglioramento e di sviluppo. Il fallimento allora può essere una preziosa occasione per comprendere e poi colmare le eventuali lacune”.

Lavorando spesso con dirigenti dell’industria ‘pesante’, le manager donna con cui Buttignol entra in contatto sono, “purtroppo”, poche. Ma è proprio la storia di una di loro che esemplifica meglio la forza di chi ha assaporato il boccone amaro di un licenziamento. “Dopo una grande carriera in una multinazionale, questa manager è stata spostata in una business unit poi venduta a un’altra società, e si è trovata improvvisamente senza lavoro. Grazie al forte network che si era creata in quegli anni e alla capacità di guardare fuori dalla propria azienda, è stata capace di ricollocarsi presso un suo fornitore e lì ha attuato una profonda trasformazione del management della sua nuova impresa”.

Altro professionista, altra storia incontrata da Buttignol: un top manager (uomo, stavolta) vicinissimo alla poltrona di Ad della sua azienda (macchinari industriali di condizionamento) si è ritrovato a essere spostato nella divisione più debole: un fallimento, per un aspirante Ceo. “A distanza di qualche anno, però, è riuscito a ricrearsi una squadra e, attraverso l’ascolto, a instillare una cultura che ha portato quella divisione ad essere il fiore all’occhiello dell’azienda”.

Un vero leader, dice Buttignol, “non si scoraggia di fronte a decisioni aziendali che non gli sono favorevoli”. “Questi manager hanno una fortissima umiltà: non sono remissivi, non accettano tutto con rassegnazione, hanno la capacità di mettersi a nudo, di aprirsi, di non nascondere il fatto che hanno attraversato delle difficoltà. Molto spesso i manager questo non lo dicono: invece è importante avere il coraggio di riconoscere le proprie responsabilità”.

Il fallimento, dice Buttignol, “è un processo, ha una durata e una complessità molto più grande di un errore, di una mail a una persona sbagliata. Il fallimento è l’inanellarsi di situazioni che non hai previsto”. In sostanza, si torna sempre alla vulnerabilità e al concetto di agilità emotiva: “Non ci sono emozioni negative o positive. Questa consapevolezza dà un equilibrio migliore al manager, che così è anche in grado di accettare il fallimento e trasformarlo in un’esperienza da cui trarre una nuova saggezza”.

Imparata la lezione?  

Fallire non vuol dire, naturalmente, garanzia di successo in futuro. Non tutti i manager analizzano i loro fallimenti come dovrebbero. Ecco quali sono le lezioni da tenere a mente per imparare dai propri errori (o, se si è fortunati, da quelli degli altri)

Ascoltare, soprattutto i propri collaboratori: il manager che ha sperimentato il fallimento ascolta le opinioni degli altri; è una persona che incoraggia il dissenso (“il che non è banale”, dice Buttignol) e che spinge i collaboratori a proporre idee nuove e a indicare cosa non va bene. Quella dell’ascolto sembra una qualità rara. Secondo un sondaggio Gallup solo il 22% dei lavoratori è d’accordo sul fatto che i loro manager li supportino nel definire le priorità di lavoro.

Accettare l’errore e non puntare il dito contro nessuno. Il “ciclo virtuoso della sicurezza psicologica”, dice Buttignol, si basa su questo: non ho paura di parlare perché non vengo indicato come colpevole.

Costruire un “sistema di controllo e detenzione dell’errore” che permetta di revisionare i processi aziendali in base agli errori che si compiono.

Avere ben presenti le aspettative dell’azienda: “Molto spesso non c’è allineamento tra quello che viene chiesto e il comportamento dei manager. Non viene descritta bene la mission, o semplicemente il brief iniziale sugli obiettivi è stato troppo superficiale. Questa divergenza porta al fallimento”, spiega Buttignol.

Le relazioni: per sopravvivere nei corridoi dei piani riservati a manager e C-level, le relazioni sono importantissime. “Spesso se ne sottovalutano alcune e sopravvalutano altre. Meglio invece lavorare sulla costruzione di un network ampio persino con i competitor, oltre che con i propri fornitori, e collaboratori”.

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