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Un capitale da conservare

Il tessuto imprenditoriale italiano ha una forte connotazione familiare: il 65% delle imprese italiane è di tipo familiare, ma meno del 30% supera il terzo passaggio generazionale. Un aspetto sul quale riflettere unitamente alla circostanza che, nell’ultimo decennio, sono aumentati dal 17 al 26% i leader ultrasettantenni.

La strutturazione del percorso fra le generazioni viene elaborato e attuato solo nel 9 per cento dei casi con la preparazione di un piano di successione articolato su un orizzonte pluriennale con la sinergia di mani esperte che devono collaborare per offrire una consulenza ritagliata sul caso concreto: sulle specificità ed esigenze delle singole persone che compongono la famiglia e sulla tipologia di azienda da trasmettere.

Ed invero è connaturato alla impresa o, meglio alle persone fisiche che la compongono, che la vita di ognuno di noi abbia una durata, variabile, ma che a un certo punto termini e tale evento comporta necessariamente una successione nell’impresa. Ma se la successione non è preparata, per i più diversi motivi: perché l’imprenditore capostipite non è mai anziano, perché non ritiene i suoi discendenti idonei a prendere il suo posto o anche perché questi non ci si sono ancora (o non ci saranno mai?), il passaggio non avviene con la conseguente perdita, sul piano economico e non solo, dell’impresa.

Dove sta il problema? Quali sfide devono essere colte per affrontarlo ed addivenire ad una efficiente soluzione? Le sfide sono di due tipi. Quelle a lungo termine, rappresentate dalla pianificazione di un percorso graduale e di condivisione sul campo fra le generazioni teso al mantenimento del family business ed alla valorizzazione tanto dei valori economici sottesi quanto di quelli socio emotivi della  famiglia; quelle a breve termine, che oggi vengono richieste alle imprese, in termini di digitalizzazione, sostenibilità ed internazionalità.

Fra gli strumenti giuridici che ha a disposizione l’imprenditore sicuramente vi è il trust. In Italia, nell’ultimo decennio, si sta facendo sempre più ricorso al trust che è ormai riconosciuto dai nostri giudici patrimonio a disposizione delle famiglie e delle imprese, divenendo- se correttamente utilizzato-   un efficiente veicolo che può soddisfare molteplici esigenze.

Il trust può essere una valida risposta perché si inserisce nel ciclo temporale dell’impresa ed evita la fine o il cattivo andamento della stessa.  Molto spesso al momento del passaggio del testimone gli attori non sono pronti a viverlo.

Con il trust si mantiene unito il patrimonio e si acquista il tempo necessario per mezzo della concentrazione della proprietà dell’impresa familiare in un unico soggetto, il trustee, che si obbliga professionalmente, quale unico socio, a gestirla secondo i principi economici ed i valori morali, da sempre perseguiti dall’imprenditore-fondatore.

In più la partecipazione, essendo intestata al trustee, non cade nella successione dei singoli soci ma si trasmetterà, al termine del trust, solo a coloro che si vuole beneficiare per mezzo dello strumento.

La circostanza che il trust evita il frazionamento del patrimonio societario conduce anche ad un’altra importante conseguenza: lo tutela tanto da attacchi dei terzi quanto da atti dismissivi non avveduti da parte dei membri della famiglia stessa.

La presenza di un unico proprietario, sebbene temporaneo e finalizzato, aiuterà a gestire anche le relazioni familiari con tempestività e dialoghi costruttivi, separando le questioni familiari da quelle aziendali. Spesso tali dialoghi in famiglia vengono rinviati o semplicemente non affrontati.

Il trust resterà fintanto che non ci sarà un successore dell’imprenditore e, se non ci sarà mai, finchè se ne avrà la necessità o lo vorrà la famiglia. Il trustee tiene pertanto «sospesa» l’azienda, in una logica di mantenimento della continuità aziendale, al riparo da una mala gestione e dalle dinamiche familiari che possono portare dei conflitti tra i membri della stessa, litigiosità che non fa bene alla tutela del patrimonio familiare.

Il trustee adotterà una governance personalizzata attraverso la quale si realizza una separazione fra la gestione e la proprietà.

Durante il periodo in cui la società è in trust possono avvenire, senza alcuna fretta e con il supporto dei tecnici, membri estranei alla famiglia, tutti i percorsi volti alla individuazione dei talenti all’interno della famiglia dell’imprenditore e, quindi, del suo successore ed alla loro formazione. Può altresì realizzarsi un periodo di collaborazione, nella governance, fra le nuove e le vecchie generazioni agevolato dalla separazione anzidetta tra la proprietà e la amministrazione.

Non solo. Il trustee, determinerà, con il supporto dell’organo amministrativo che potrà essere rappresentato dalla famiglia e dai manager, i reinvestimenti diretti alla maggiore efficienza dell’impresa e quelli a vantaggio dei beneficiari del trust. I beneficiari del trust sono verosimilmente i discendenti diretti dell’imprenditore: la categoria di soggetti ai quali egli intende riconoscere, di regola, le utilità del trust. Tali attribuzioni saranno effettuate secondo le concrete e mutevoli, nel tempo, esigenze di vita degli stessi potendo il trust essere un valido strumento per far fronte alle concrete necessità finanziarie dei beneficiari.

Va da sé che lo scenario sarebbe ben diverso se la compagine sociale rimanesse, in ogni ciclo della vita della impresa, in capo direttamente alla famiglia dell’imprenditore.

*Avvocato, senior partner studio legale Lupoi

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